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Mamadou porta in scena il “Racconto personale” del suo viaggio
Con il suo monologo teatrale dal titolo “Racconto personale”, Mamadou Diakité porta in scena con la Bottega degli Apocrifi la sua storia, il viaggio che dalla Costa d’Avorio lo ha portato in Italia. Come per tanti migranti che hanno attraversato deserto, Libia e Mare Mediterraneo, anche il suo è stato un percorso durissimo. Per questo, ha deciso di scriverci un testo e di portarlo in teatro
Mamadou porta in scena il suo “Racconto Personale”. Lo porta sul palco, quando si rivolge al pubblico presente in teatro, agli studenti delle scuole, ai giovani, a quanti hanno voglia di ascoltare la sua storia. Una storia simile a quella di tanti migranti che si mettono in viaggio con il sogno di costruire in Italia, in Europa, un futuro migliore, o per sfuggire a povertà, diritti negati, violenze. Mamadou lo spiega bene. Lo racconta in piedi su quel palco, facendo diventare protagonista la sua storia, la sua «ricerca di libertà». Perché questo viaggio migratorio gli ha fatto scoprire anche l’amore per il teatro e la recitazione. Tutto è partito dalla Costa d’Avorio, il suo Paese. Era il 2016 e Mamadou Diakité non aveva ancora idea di quello che sarebbe stato il suo cammino.
«Non sono andato via dalla mia terra per necessità, per un valido motivo, per sfuggire ad una guerra o a qualche violenza. So solo che non mi sentivo più me stesso. Ero stanco del fatto che fosse la mia famiglia a dover decidere ogni cosa per me, con chi mi sarei dovuto sposare, cosa avrei dovuto fare. Ma è così che vuole la tradizione, è così che succede in molto Paesi dell’Africa. Questa situazione» racconta «mi ha spinto ad andare via per trovare la mia libertà, per poter fare le mie scelte, anche sbagliate, ma che fossero mie e mi aiutassero a crescere». Per questo, con in tasca un biglietto di solo andata del pullman, il giovane ivoriano si mette in viaggio.
Attraversa il Burkina Faso, il Niger. Arriva ad Agadez, al confine con la Libia, luogo di transito dei migranti diretti verso l’Europa. «Abbiamo viaggiato tutti ammucchiati sopra un fuoristrada. E’ stato un viaggio duro, durissimo, però io sono riuscito a resistere». Mamadou lo snocciola nel suo monologo teatrale. «Racconto i primi tre giorni del mio viaggio, iniziato nell’ottobre 2016 e terminato nel marzo 2017. Racconto ciò che mi è accaduto per strada, l’incontro con altre persone che con me si sono messe in viaggio, dei trafficanti che ci accompagnavano. Racconto del sostegno che ci siamo dati a vicenda per farci forza, perché ognuno di noi aveva un obiettivo comune: quello di arrivare in Italia».
Quando si comincia a parlare di Libia, la voce di Mamadou diventa meno vibrante, quasi come se un panno si mettesse davanti alla bocca per attutire le parole. E forse, anche il dolore. «Il periodo di permanenza in Libia è stato molto difficile» confida.
«Ho provato a partire per raggiungere l’Italia almeno quattro volte e solo l’ultima è andata bene. Per due volte sono stato rapito e riportato in Libia. Mia madre ha dovuto pagare anche un riscatto per liberarmi. La quarta volta, invece, la nostra imbarcazione è stata recuperata in mare da una ONG (Organizzazione non governativa) che ci ha accompagnati in Sicilia, a Catania. Subito dopo, sono stato trasferito nel Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia». E’ qui, in quello che era il CARA più grande del Mezzogiorno, a 33 anni inizia la seconda vita di Mamadou. Al CARA, infatti, rimane affascinato dalle lezioni di teatro dell’insegante Irma Ciccone.
Una passione che da quel momento non è andata più via. Anzi. La “Bottega degli Apocrifi” di Manfredonia e Mamadou si conoscono nel 2018, quando la compagnia teatrale lancia una call per attori e danzatori italiani e africani per la realizzazione dello spettacolo “Uccelli” di Aristofane. La compagnia, infatti, sin da quando è nata cerca di essere istigatrice di relazioni, privilegiando la costruzione di una comunità teatrale, mescolando professionisti e non professionisti, fino a generare il format della Produzione di Comunità.
«La mia insegnante mi ha incoraggiato a partecipare a quella call ed aveva ragione. Dopo quello spettacolo ho partecipato anche alla rappresentazione de “I sonetti” di William Shakespeare e durante il periodo del covid ho deciso di dare vita al mio progetto, al mio racconto personale. Avevo già iniziato a scrivere una sorta di diario sulla mia esperienza del viaggio, che poi grazie alla drammaturga Stefania Marrone è diventata un monologo teatrale».
Mamadou, quindi, con il suo “Racconto personale” si rimette in cammino. Oltre 80 repliche tra teatri, scuole, festival. «Ogni volta che salgo sul palco» confida emozionato «è come rivivere il passato. La paura, gli affanni, l’ansia mi assalgono per tutto il tempo. Mi chiedo spesso se ce la posso fare. Ma con questo racconto cerco di far conoscere un popolo intero a chi non conosce nulla di noi. Parlo di me per parlare di tutti i migranti, di tutti gli africani che hanno lasciato la loro terra per trovare una vita migliore, una speranza. Nulla è inventato». E lo hanno compreso anche gli spettatori che in questi giorni nel Teatro della Polvere di Foggia hanno assistito allo spettacolo.
Oggi Mamadou ha 38 anni. Si divide tra il lavoro come cameriere in un bar di Foggia ed il teatro. E’ rimasto in contatto la sua famiglia ma se dovesse tornare indietro rifarebbe la scelta che ha fatto. «Ho trovato la mia libertà» evidenzia entusiasta «sono soddisfatto del mio percorso, della risposta al mio viaggio migratorio. Mi piace raccontare, scrivere, condividere attraverso l’arte le mie idee, le mie sensazioni». Anche per questo, Mamadou scrive canzoni e melodie, proprio come un cantastorie. Un altro suo modo per avvicinare la gente al tema dell’immigrazione, per far conoscere le storie dei migranti, per condividere attraverso quest’altra forma d’arte il suo “Racconto personale”.
Foto di Ercole Capuano
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