Mondo

In mille a bordo di navi Ong in attesa di un porto sicuro: “Naufraghi ostaggi del dibattito politico”

Sono tre le navi delle Ong che da oltre dieci giorni attendono l'assegnazione di un porto sicuro di sbarco con più richiami alle autorità maltesi e italiane. Centinaia di minori non accompagnati a bordo. Tra i superstiti le storie di chi parte per avere diritto alle cure, come nel caso di una bambina di 11 mesi a bordo della Geo Barents con mamma e papà. L'esperto Fulvio Vassallo Paleologo: "Il ministro Piantedosi afferma che i naufraghi dovrebbero essere sbarcati nel paese di bandiera della nave soccorritrice, nel caso che si tratti di una Ong. Un’affermazione priva di basi legali e foriera di altre denunce e di altri casi di abbandono in mare"

di Alessandro Puglia

Quasi mille persone in fuga da guerre e persecuzioni sono da oltre dieci giorni in mare a bordo di tre navi Ong senza alcun minimo cenno da parte del governo maltese e del governo italiano di permettere lo sbarco in un porto sicuro. Su quella che era stata la scia tracciata dal 2018 al 2019 dall’ex ministro dell’Interno Matto Salvini, oggi vice premier con il governo Meloni, a essere criminalizzato è nuovamente il soccorso in mare da parte delle navi della società civile.

Sulla Geo Barents di Medici Senza Frontiere ci sono 572 persone soccorse tra il 27 e il 29 ottobre in sette operazioni di salvataggio, tra i sopravvissuti oltre 60 minori, il più piccolo ha soltanto 11 mesi. Le storie raccolte a bordo dal team di Msf raccontano il dramma di chi parte per poter avere il diritto di curarsi, come nel caso di una famiglia del Togo, con il padre e la madre che si stringono attorno alla loro piccola di 11 mesi nata con il labbro luperino e che oggi ha difficoltà a reclutare. Sfruttati in Libia i genitori hanno cercato di mettere da parte i soldi per poter curare la loro piccola, ma oggi, come riferisce Medici Senza Frontiere sono state già quattro le richieste ancora disattese di vedersi assegnato un porto sicuro da parte di Malta, tre invece le richieste al governo italiano.Tra le storie a bordo della Geo Barents c’è chi è stato intercettato per ben quattro volte dalla guardia costiera libica, finendo poi ogni volta in quelli che la comunità internazionale ha definito “lager libici” dove i migranti sono esposti alle più atroci delle torture.

Sono invece 179 i migranti soccorsi dalla nave Humanity 1 della Ong tedesca Sos Humanity, di cui oltre 100 sono minori non accompagnati, il più piccolo a bordo ha sette mesi. “É inaccettabile e contro ogni principio del diritto internazionale lasciare in mare i superstiti per settimane prolungando così la loro sofferenza. Le autorità italiane e maltesi informate dei nostri salvataggi non ci hanno dato informazioni, né coordinato e ora non ci danno indicazioni per avere un luogo sicuro di sbarco”, spiega Mirka Schafer, Advocacy officer di Sos Humanity.

Nella stessa situazione si trovano i 234 naufraghi a bordo dell’Ocean Viking di Sos Mediterranee anche in questo caso sono numerosi i minori non accompagnati a bordo. Con il team della ong internazionale c’è personale della Croce Rossa: “Queste persone non possono permettersi di aspettare ancora, hanno bisogno di cure immediate a terra”, aggiunge Frido Herinckx, responsabile delle operazioni della Croce Rossa a bordo di Ocean Viking. “Mantenere i sopravvissuti a bordo delle navi come ostaggi del dibattito politico sarebbe un drammatico fallimento per gli stati membri europei”, dice Alessandro Porro, presidente di Sos Meditarranee Italia.

“Non ci faremo carico delle vostre navi”, sono state invece le parole del neo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che si aggiungono alle dichiarazioni della premier Giorgia Meloni: “Se fai la spola tra le coste africane e l’Italia per traghettare i migranti, violi apertamente il diritto del mare”.

Ma il diritto del mare è inequivocabile. “Il ministro Piantedosi afferma che i naufraghi dovrebbero essere sbarcati nel paese di bandiera della nave soccorritrice, nel caso che si tratti di una Ong. Un’affermazione priva di basi legali e foriera di altre denunce e di altri casi di abbandono in mare”, spiega Fulvio Vassallo Paleologo, già docente di diritto d'asilo all'Università di Palermo e vicepresidente dell'associazione Diritti e frontiere.

Il giurista fa riferimento alcune delle più importanti normative che regolano il soccorso in mare: “In base al punto 3.1.9 della Convenzione SAR (Search and Rescue) di Amburgo del 1979, lo Stato di bandiera e gli Stati costieri devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile. L’art.94 della Convenzione ONU di Montego Bay (UNCLOS) è chiarissimo e non prevede per lo stato di bandiera alcun obbligo di indicare un porto di sbarco. Si prevede infatti tra gli “obblighi dello Stato di bandiera” che “ogni Stato esercita efficacemente la propria giurisdizione e il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera”. La competenza dello Stato di bandiera si limita dunque alle questioni che riguardano i certificati e le dotazioni delle navi, e ancora requisiti tecnici, i contratti e la tutela dei lavoratori del mare che vi sono imbarcati. In questo senso anche una decisione della Corte di giustizia Ue del primo agosto scorso. In base agli articoli 10 e 117 della Costituzione atti dei ministri e leggi dello Stato non possono derogare queste disposizioni del diritto internazionale anche per l'espresso richiamo che ne fa il Regolamento europeo Frontex n.656 del 2014, direttamente vincolante per le autorità italiane.”

Nonostante le norme chiare che regolano il soccorso in mare la crociata contro chi salva vite umane è appena ricominciata e come se non bastasse le Ong impegnate nel Mediterraneo centrale ricordano che oggi scadeva il termine per modificare il Memorandum tra Italia e Libia. Solo quest’anno sono oltre 16 mila i migranti intercettati dalla guardia costiera libica e trasferiti nei centri di detenzione sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

Credit Foto: in copertina i migranti in attesa a bordo della nave Humanity 1 – foto Sos Humanity

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.