Famiglia
Cara Meloni, facile dire “allontanamento zero”: ma l’alternativa qual è?
Torna il dibattito su affidi e allontanamenti zero. Ma nella realtà esistono tantissime famiglie in difficoltà e tantissimi bambini che hanno bisogno di tutela. Chi sta sul campo chiede alla politica coerenza: «Vogliamo chiudere le comunità? Ci si dica qual è l'alternativa. Lasciamo i minori in famiglia, sempre, per poi scandalizzarci quando succede l'irreparabile? Se si collude con la rabbia delle famiglie, lavorare con loro diventa impossibile. Noi abbiamo bisogno di entrare in relazione con quella rabbia, e di costruirci»
«Permettetemi di dire un’altra cosa: noi abbiamo assunto l’impegno di limitare l’eccesso di discrezionalità nella giustizia minorile, con procedure di affidamento e di adozione garantite e oggettive, perché non ci siano mai più casi Bibbiano. Intendiamo portare a termine questo impegno»: sono le parole della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel suo discorso programmatico alla Camera, martedì. Più o meno nelle stesse ore in Piemonte il Consiglio Regionale approvava il disegno di legge “Allontanamento zero”, presentato dall’assessora regionale Chiara Caucino, della Lega. Un filo rosso lega le due cose, ed è la visione dell’affidamento a una famiglia o a una comunità non come uno strumento per sostenere prima di tutto i bambini e i loro diritti (ma insieme anche i loro genitori, temporaneamente in difficoltà), ma come un “portare via” i figli percepiti come proprietà dei genitori, una indebita ingerenza in quelle che devono essere solo e soltanto “questioni di famiglia”.
«Quello che noi vediamo e che ci porta ad essere preoccupati è il fatto che – volenti o nolenti – esistono tantissimi bambini che hanno bisogno di tutela, di servizi di tutela e di certezza del diritto», afferma Samantha Tedesco, responsabile Programmi e Advocacy di Sos Villaggi dei Bambini, una realtà che in Italia di prende cura di 700 bambini, ragazzi e delle loro famiglie, attraverso cinque Villaggi SOS. «Quando si affrontano questi temi non bisogna scordarsi che esistono bambini invisibili, che non vengono intercettati nemmeno dai servizi, quelli di cui purtroppo poi leggiamo sulle cronache come è capitato troppo spesso anche di recente. Ovvio che servono controlli e verifiche sulle comunità e sulle decisioni che vengono prese – controlli peraltro che già sono previsti ed esistono e devono essere intensificati mettendo adeguate risorse negli organismi deputati a farlo come le Procure Minorili – ma non possiamo negare che un sistema di tutela, che interviene quando c’è bisogno, serva. Sarebbe come dire pretendere di chiudere gli ospedali perché ci sono pazienti che in ospedale non hanno ricevuto tutte le cure adeguate». Tedesco aggiunge anche le tante testimonianze di ragazzi e donne che sono passati dai Villaggi SOS: «Molti hanno riconosciuto l'importanza di quella fase di protezione nella loro vita, che gli ha dato l’opportunità di crescere come bambino, in un contesto in cui era visto come bambino, dal momento che i suoi genitori in quel momento non erano in grado di farlo. Ma anche testimonianze belle di donne che alla fine ci hanno ringraziato, perché hanno recuperato non solo il rapporto con i figli ma anche la propria vita, magari perché hanno trovato così la forza di lasciare un compagno violento da cui non riuscivano a staccarsi. È un settore delicato insomma, in cui è importante non lasciarsi andare a rischiose semplificazioni».
Non possiamo scordarci che esistono bambini invisibili, che non vengono intercettati nemmeno dai servizi, quelli di cui purtroppo poi leggiamo sulle cronache. Ovvio che servono controlli e verifiche sulle comunità, ma non possiamo negare che un sistema di tutela, che interviene quando c’è bisogno, serva.
Samantha Tedesco, SOS Villaggi dei Bambini
Facile dire allontanamenti zero, ma dei figli di quelle famiglie che invece non ce la fanno, che ne facciamo? Chi si prende cura di quei bambini e ragazzi? Liviana Marelli, responsabile dell’area minori del CNCA, ribalta la questione. «La delibera della Regione Piemonte e quanto detto alla Camera dalla prima ministra Giorgia Meloni vanno nella stessa direzione, quella di perpetrare una narrazione negativa, insulsa e decontestualizzata sulla protezione dei bambini e dei ragazzi. Narrazioni negative, che strumentalizzano casi specifici, non rendendosi conto in realtà che oggi la questione della tutela e della protezione oggi interroga fortemente la società civile. Ci stanno dicendo che il male è nell'allontanamento, come se il male fosse nello strumento di risposta. Ma il male è una società che non ha politiche di protezione del minore e di sostegno alle famiglie. E che poi si scandalizza davanti alla morte della piccola Diana». È un fiume in piena, Marelli: «Dobbiamo uscire dall’ambiguità e fare una scelta: se si ritiene che le comunità vadano chiuse e gli affidi eliminati, facciamolo. Ma prima ci si dica qual è l’alternativa che si immagina: dove stanno questi bambini? Restano tutti sempre in famiglia? Anche quando la famiglia è un contesto che esprime violenza? La soluzione qual è, lì lasciamo lì e poi ci scandalizziamo quando succede l’irreparabile? È a queste domande che dobbiamo rispondere, non basta parlare di “allontanamento zero”, facendo finta che tutte le famiglie siano perfette. Lo vorremmo, ma la realtà non è questa. Noi quotidianamente riceviamo richieste di accoglienza, soprattutto per adolescenti. E se arrivano a bussare alle comunità da adolescenti, vuol dire che nessuno si è preoccupato di loro prima. Vuol dire che la politica è mancata. Perché ricordo che la responsabilità della tutela dei minori è una responsabilità pubblica, non del privato sociale. Almeno ci sia un atto di coerenza».
Ci stanno dicendo che il male è nell'allontanamento, come se il male fosse nello strumento di risposta. Ma il male è una società che non ha politiche di protezione del minore e di sostegno alle famiglie. E che poi si scandalizza davanti alla morte della piccola Diana. Chiudiamo le comunità se pensiamo che siano il male e che non servono: ma dei bambini, chi si prende cura? Dove li mettiamo? È a queste domande che dobbiamo rispondere, non basta parlare di “allontanamento zero”, facendo finta che tutte le famiglie siano perfette. Lo vorremmo, ma la realtà non è questa.
Liviana Marelli, responsabile area Minori del CNCA
Prevenire l’allontanamento è un obiettivo del tutto condivisibile, abbiamo un programma nazionale – il programma PIPPI – che è il fiore all’occhiello delle nostre politiche per l’infanzia e che fin dal nome dichiara proprio questo obiettivo: "Programma di Intervento per la Prevenzione dell'Istituzionalizzazione". Non è questo quindi il punto. Il punto è come si persegue questo obiettivo. «Sul sostegno alla genitorialità siamo tutti d’accordo e pure sulla prevenzione dell’allontanamento. Ma per fare prevenzione servono gli organici, le comunità educanti, le misure preventive, l’accompagnamento del reinserimento in famiglia. Di questo dovremmo parlare. Di come lavorare per fare sempre più affidi preventivi e consensuali, di accomodamento alla famiglia, di ricucire la relazione quando i figli sono in comunità. Invece c’è il deserto delle politiche di prevenzione e sostegno, come se non ci si rendesse conto di quante sono oggi le famiglie che non sono in grado di accompagnare i figli nella crescita», prosegue Marelli.
Non è una difesa del sistema, è difesa della possibilità di lavorare bene con i bambini e con le famiglie, di creare o meno opportunità di cambiamento. «Se la politica alimenta una narrazione per cui l’allontanamento è una cosa negativa, lavorare con queste famiglie diventa ancora più difficile. Colludi con la loro rabbia. Invece noi abbiamo bisogno di entrare in relazione con la rabbia di questi genitori. Noi operatori sappiamo benissimo che c’è la rabbia, nessuno si aspetta che la famiglia sia felice di separarsi dal figlio, ma fa parte delle nostre competenze peofessionali aiutare la famiglia a capire che quella soluzione, in quel momento, aiuta anche lei. Su questa assunzione di consapevolezza si lavora, con le risorse che si hanno. Questo però si può fare se c’è una narrazione che non ti mette la famiglia contro. Se invece ti colludi, dicendo che la famiglia ha ragione e che ha subito un torto… non riesci più a lavorare: non riesci ad aiutare né i genitori né i bambini».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.