Formazione
Un’insegnante di sostegno scrive ai colleghi e colleghe
Sono una docente neo specializzata nelle attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità presso l'Università di Genova attualmente in anno di prova presso una Scuola Secondaria di Primo Grado a Settimo Milanese. “Le strategie inclusive non sono vantaggiose solo per alcuni alunni bensì per tutti i componenti della classe perché ognuno di loro ha i propri bisogni, che sono diversi da quelli degli altri”
di Ilaria Fiore
Care colleghe e cari colleghi,
sono lieta di aprire con queste righe il primo Consiglio di Classe dell’anno 2022-2023.
Nella scuola dei miei sogni, ogni Consiglio si apre con la lettera di un insegnante/ un’insegnante della scuola che funge da ricarica, da bussola, da monito su tutto ciò che siamo chiamati ad attuare quotidianamente sin dal primo giorno in cui abbiamo deciso di varcare la porta di un’aula scolastica.
Ogni mattina, mentre la nostra frenetica vita passa rincorrendo il tempo, i problemi, una stabilità che fatica ad arrivare, una vacanza da troppo rimandata, abbiamo davanti a noi dei futuri adulti nei quali, come ha affermato Maria Montessori, dobbiamo “gettare […] i semi dell’interesse; non tener conto di questo imprenscindibile principio, è come progettare una casa senza pensare alle fondamenta” (Montessori, 1970).
In questa lettera, con la quale vorrei aprire le danze di quella che desidero diventi una tradizione epistolare, vi parlerò di unicità.
Credo che se ognuno di noi facesse proprio questo concetto, riusciremmo a dare alla scuola quell’impronta culturale rivoluzionaria che necessita da tempo.
Credo che se ognuno di noi facesse proprio questo valore, riusciremmo ad avere una scuola senza pregiudizi, senza etichette da incollare qua e là come dei bollini del supermercato.
La Convezione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ci dice che, sulla base della ricerche cliniche effettuate, l’educazione scolastica deve tener conto dell’unicità di ogni individuo e, quindi, avere un approccio alla persona e ai suoi bisogni. Infatti, la Convezione si fonda sul principio di dover garantire “il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone” (Convenzione ONU, art. 3).
Quindi, è importante che durante il triennio tutti noi lavoriamo affinché al termine del primo ciclo ogni alunno abbia il profilo delineato dalle Indicazioni Nazionali ovvero quello di una persona autonoma, responsabile, consapevole delle proprie potenzialità e che abbia uno stile di vita sano, la cura e il rispetto di sé.
Se consideriamo e trattiamo ogni alunno come un adulto, gli permettiamo di sviluppare il senso di autoefficacia ovvero il senso di “potercela fare” che accrescerà la sua autostima e gli consentirà di diventare sempre più autonomo e stabile. Se lo nutriamo ogni giorno con il verbo modale “potere”, lo rendiamo protagonista di un percorso di scelta, di possibilità e di responsabilità di cui noi abbiamo le chiavi d’accesso.
Tutto ciò può concretizzarsi se costruiamo insieme a lui il suo progetto di vita pensandolo già adulto; perché ogni alunno è un unico, futuro adulto.
Questo postulato serve a capire l'importanza dell’eterogeneità di una classe al punto che, se valorizzata, diventa la sua fonte di ricchezza. Vantare tale preziosità richiede un’azione educativa sulla persona, sulla singola persona da accettare e valorizzare. Per tali ragioni, tutti gli alunni hanno diritto a una didattica individualizzata e non standardizzata che metta in evidenza i differenti stili di apprendimento e che consideri i punti di partenza di ognuno di loro. Lavorare in modo individualizzato non significa lavorare con il singolo bensì guardare agli apprendimenti di ognuno in funzione di un risultato che si basi su dei criteri di valutazione comuni a tutta la classe e alla scuola intera. Ne consegue, evidentemente, che la gestione dell’unicità degli alunni debba essere alla base della progettazione didattica la quale prevederà delle tipologie di intervento preventive e non riparatorie.
Quello che è indispensabile ricordarsi sempre è che le strategie inclusive non sono vantaggiose solo per alcuni alunni bensì per tutti i componenti della classe perché ognuno di loro ha i propri bisogni, che sono diversi da quelli degli altri.
Quindi, la scuola necessita di flessibilità per garantire l’inclusione: non può concentrarsi solo sui problemi e sulle mancanze ma deve cercare soluzioni e risorse. Il primo luogo in cui agire a tal fine è il contesto. Osservandolo con attenzione possiamo individuare i facilitatori e le barriere causati dagli atteggiamenti, dall’ambiente fisico e da quello sociale che possono, a seconda dei casi, ostacolare o favorire lo sviluppo della persona e dei suoi apprendimenti. Ne consegue che tale individuazione consente di abbattere le barriere, evitando che diventino disabilità, e permette di valorizzare i facilitatori negli interventi educativi e didattici.
Puntare a una scuola di qualità significa assicurare la partecipazione attiva di tutti. Infatti, i compagni di classe sono la risorsa che può generare quella che Robert Roche ha definito reciprocità positiva (Robert R., 2002) prodotta da tutti quei comportamenti che favoriscono e valorizzano l’altro senza volere in cambio nulla: la così detta prosocialità. Affinché ciò accada è necessario eliminare gli ostacoli alla partecipazione e favorire, invece, il senso di appartenenza a un gruppo grazie a continui incoraggiamenti e sollecitazioni e compiti di realtà da svolgere insieme e con curiosità.
Per concludere, è importante che non ci dimentichiamo di credere negli alunni; sempre. Secondo l’effetto Pigmalione o effetto Rosenthal se un insegnante/ un’insegnante crede che un alunno/un’alunna sia meno dotato/dotata, lo tratterà, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri e l’alunno/alunna si comporterà di conseguenza e secondo le attese (Rosenthal, R. e Jacobson L., 1986).
Possiamo applicare quotidianamente questo principio ma per ricordare agli alunni che per noi sono tutti egualmente dotati e che ognuno di loro, anche in presenza di disabilità, può aspirare al proprio livello di eccellenza; e questo perché “ciascuno cresce solo se sognato” (Dolci D., 1974).
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