Mondo
Profughi ucraini, le norme frenano l’accoglienza di famiglie e Terzo settore
Nei sei mesi dall'inizio del conflitto, in Italia sono arrivate poco meno di 160mila persone dall'Ucraina, per lo più donne e bambini. Ma l'applicazione delle normative sta creando parecchi problemi a famiglie ed enti: sinora sono state firmate soltanto 9 delle 20 richieste di convenzione da parte del Terzo settore approvate dalla competente Commissione. Postiglione, vice capo Protezione civile: «Dobbiamo per forza attenerci al Codice degli appalti»
Sei mesi fa la Russia invadeva il territorio ucraino. È una guerra che rischia di protrarsi a lungo, con gravi conseguenze non solo sotto il profilo umanitario ma anche economiche, a livello globale. Dal 24 febbraio 2022 ad oggi sono in progressivo aumento le persone in fuga dall’Ucraina. Quelle che sinora hanno varcato le frontiere italiane sono 158.800 (fonte: Dipartimento della Protezione civile). Di queste, sono 111.016 gli adulti (di cui 83.148 donne) e 47.784 i minori. Sono invece 150.803 gli ucraini che hanno presentato la richiesta di protezione temporanea agli uffici immigrazione delle questure.
L’Italia non si è tirata indietro neppure stavolta, nell’accoglienza. Da una parte c’è stata la risposta delle istituzioni a tutti i livelli; dall’altra la generosità di tante famiglie, che si sono mosse in autonomia, spesso in ordine sparso. Tutto bene, dunque? Non proprio. La Commissione di valutazione che ha esaminato le manifestazioni di interesse pervenute alla Protezione civile nazionale, per lo svolgimento di attività di accoglienza diffusa esclusivamente a beneficio delle persone in fuga dall’Ucraina, ha ricevuto 48 domande da parte degli enti del Terzo settore. Soltanto una è stata esclusa dalla valutazione perché non è stata presentata la documentazione richiesta. Sulle restanti 47 manifestazioni esaminate, 29 sono state valutate positivamente, per un totale di 17.012 posti disponibili, mentre le altre 18 hanno ricevuto una valutazione negativa; però oggi, soltanto 9 soggetti del Terzo settore hanno effettivamente firmato la convenzione, per 5.219 posti disponibili. Quindi al momento sono stati congelati 11.793 posti. E nel frattempo la Commissione ha dovuto prendere atto di ulteriori cinque defezioni, mentre altre 4 non sono state attivate. Così il totale complessivo degli Enti è sceso a 20.
Già da alcuni mesi erano emerse le prime criticità, per esempio quelle di natura economica legate alla lentezza nell’erogazione dei rimborsi per i privati che ospitano i profughi ucraini. Oggi i problemi sono altri. Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci e coordinatore del Tavolo asilo e immigrazione, spiega che «abbiamo firmato la convenzione il 4 agosto, nel bel mezzo delle vacanze estive che semi-paralizzano l’intero Paese e ingessano anche le associazioni di volontariato. Anche le famiglie che ci avevano dato da tempo la disponibilità ad ospitare, sono al mare. In più, occorrono i tempi necessari per valutare la compatibilità. Ci sono costi aggiuntivi inutili: alcune Arci locali hanno preso in affittoun certo numero di immobili sin dal mese di aprile. E nel frattempo, molti operatori del Terzo settore hanno prestato la loro opera. Noi abbiamo anticipato attingendo dalle nostre risorse ma i rimborsi partiranno dal 4 agosto in poi, dunque ci rimetteremo dei soldi. Ma questo è il problema minore, se vogliamo. Se ci inviano una famiglia da ospitare il 13 agosto, non solo devo avere la casa, ma anche gli operatori sociali operativi. Vi lascio capire che cosa è accaduto alle porte del ferragosto. È stata messa in piedi una macchina amministrativa enorme e ci è stata chiesta una documentazione pazzesca. L’Arci è capofila del progetto che ha presentato più posti a livello nazionale, insieme alla a quello della Caritas (1.459 la prima, 1.489 la seconda, ndr), dunque abbiamo dovuto produrre migliaia di documenti per poter attivare la convenzione per ogni singolo rifugiato. Inizialmente avevamo dato una disponibilità pari a 2.300 posti, però li abbiamo dovuti ridurre drasticamente in seguito all’esclusione di tre regioni del Sud (Sicilia, Calabria e Basilicata), in quanto non c'erano profughi ospitati negli alberghi. In più, ci sono state defezioni anche tra i Comuni, parecchi enti locali hanno ritirato la disponibilità data con la lettera d’intenti firmata attraverso l’Anci: l’accordo di partenariato andava siglato successivamente con ogni singolo Comune, e spesso i dirigenti e i politici si sono rimpallati la responsabilità di firmare. Hanno chiesto garanzie che nessuno poteva dargli. Noi eravamo pronti da giugno, invece la macchina è partita con due mesi di ritardo, nel periodo più anomalo dell’anno. Conosciamo bene la burocrazia della pubblica amministrazione in Italia, che è asfissiante. Ma a volte bisogna avere anche un po’ di coraggio, soprattutto nelle emergenze».
Titti Postiglione, vice capo Dipartimento della Protezione civile, spiega i motivi che hanno portato a tempi più lunghi del previsto: «Questa è una misura interamente nuova, si tratta di una piccola ma importante innovazione. Il Paese non aveva un’esperienza consolidata in tal senso, ci siamo presi la responsabilità di provare strade differenti rispetto a quelle ordinarie, come i Cas, i Sai e le strutture del Ministero dell’Interno. Perciò è comprensibile che i tempi siano risultati un po’ dilatati. Ci sono persone che sono state accolte in una località e poi si sono dovute spostare: in alcuni casi ci sono state delle resistenze. Il Dipartimento, con l'avviso pubblicato ad aprile, ha chiesto una disponibilità pari a 15.000 posti, di cui 8.000 riservati ai rifugiati ospitati negli alberghi: anche loro hanno diritto a servizi più efficaci. La restante parte si riferisce a coloro che sino a ieri magari erano accolti da amici, parenti o da una piccola associazione che però non hanno più la disponibilità di ospitarli. C’è poi da dire che parlare di burocrazia è un po’ generico. In realtà ci sono le norme dello Stato, le quali stabiliscono che per attivare una convenzione con gli enti del Terzo settore non esiste una normativa specifica: ahimè, in questo il Codice del Terzo settore è un po’ carente. Pertanto, ci siamo dovuti rifare al Codice degli appalti e, dunque, richiedere il Durc, il certificato antimafia e il casellario giudiziale. Sono le regole di questo Paese. Non spetta a noi modificarle, noi le dobbiamo applicare. Dirò di più: un decreto legge varato appositamente per l’emergenza ucraina, prevede norme ancor più restrittive per prevenire situazioni poco chiare nella gestione sia dei minori che degli adulti. Perciò, i controlli si sono moltiplicati notevolmente. Detto questo, gli enti del Terzo settore e i soggetti del privato sociale sono una risorsa del nostro Paese, come dimostra questa iniziativa: stiamo lavorando a stretto contatto con loro, sin dall’inizio. La logica della coprogettazione e della coprogrammazione va proprio in questa direzione. Loro devono essere i veri protagonisti, non dei semplici attuatori. Mi rendo conto che, per un ente capofila, è difficile aggregare i dati quando deve fare i conti con tante associazioni, talvolta realtà molto più piccole. Se poi pensiamo che questa iniziativa è andata a coincidere con le elezioni amministrative, è facile comprendere quali difficoltà abbiano dovuto affrontare certi Comuni».
Refugees Welcome è una delle associazioni che fanno parte della cordata guidata dall’Arci, e figura anche in altri partenariati, tra cui quello di Gea in Emilia Romagna. «Dall’inizio del conflitto, con risorse della nostra Associazione, abbiamo ospitato circa 500 persone su tutto il territorio nazionale», spiega Valentina La Terza, program manager di Refugees Welcome Italia. «La maggior parte di quelle persone si trova ancora in Italia, ospiti delle famiglie. Nel frattempo, abbiamo dato una nuova disponibilità alla Protezione civile per sistemare nelle private abitazioni una parte dei profughi che ancora stanno in albergo. Può sembrare strano, ma un grosso problema è causato dalla massiccia presenza di animali domestici al seguito di questi rifugiati: non tutte le famiglie sono disponibili ad accoglierli, per motivi di spazio, di igiene o di incompatibilità con altri animali. Domani (giovedì 25 agosto, ndr) partiranno le nuove convivenze: di solito parliamo di una mamma con un figlio o di una nonna con un nipotino. I problemi sono tanti, soprattutto al Nord non eravamo abituati alle prime accoglienze. Noi eravamo abituati ad ospitare in famiglia i migranti provenienti soprattutto dall’Africa, con profili personali diversi: in gran parte maschi intorno ai vent’anni, mentre dall’Ucraina giungono in netta prevalenza donne e bambini. Senza contare i numerosi malati oncologici che non potevano più essere seguiti nelle strutture ospedaliere ucraine. Con le elezioni alle porte, si pone un altro interrogativo: le convenzioni scadranno il 31 dicembre 2022. E oggi nessuno ha una risposta per la domanda che tutti si stanno ponendo: che cosa accadrà dal 1° gennaio? Stiamo con il fiato sospeso, è una situazione surreale che rischia di colpire non solo le persone più fragili e i minori, ma anche coloro che cercano di fare un percorso di inserimento lavorativo».
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