Welfare

Out of the box: ripensare insieme la formazione delle professioni educative

Cosa significa oggi ridare valore al lavoro educativo? Uscire dalla zona di comfort per fare proposte nuove, coraggiose e concrete. Sapendo che in una rete, gli attori portano obiettivi diversi, anche conflittuali. «Trovo paradossale che oggi, con il bagaglio di esperienze e conoscenze di cui disponiamo sulla cura, ancora balbettiamo. Se l’università e le reti del welfare si uniscono, forse si può arrivare là dove la politica fino a oggi non ha saputo portarci»

di Laura Formenti

24 maggio 2022: conversazione online a più voci tra università, garante per l’infanzia del Comune di Milano organizzazioni del Terzo settore, associazioni professionali e degli studenti sul tema “come valorizzare il lavoro educativo nelle comunità per minorenni”. Di questi tempi, creare uno spazio dove le diverse voci possano dialogare e confrontarsi offrendo una pluralità di sguardi e letture, ci sembra il modo più opportuno per esercitare appieno il ruolo dell’università nel sistema integrato del welfare. Un ruolo attivo, di interconnessione pensosa. Quando le discussioni e le scelte su ecosistemi complessi avvengono in “scatole” separate, si restringe la creatività del sistema nel rispondere alle sfide e nel garantire – in questo caso – la migliore esperienza educativa possibile ai bambini e alle famiglie vulnerabili.

Il rischio di dare risposte lineari a problemi complessi è molto elevato quando non c’è l’abitudine al lavoro sistemico. È paradossale, perché se c’è un paradigma sbandierato a livello programmatico e nelle dichiarazioni di molti attori, oggi è proprio quello sistemico. Ma più se ne parla e meno lo si agisce. Questo per evidenti motivi: mancanza di una cultura del confronto e della coprogettazione, giochi competitivi al massacro tra diversi portatori di interessi, incapacità di pensare “out of the box”. Proprio questo è stato un leitmotif della conversazione online, ricca di spunti e fortemente improntata alla ricerca di una riflessività complessa, critica e creativa. È evidente che le sfide attuali necessitano di sinergie e lavoro di rete. In una rete, gli attori portano specificità e obiettivi diversi, anche conflittuali. Non si tratta di stilare documenti programmatici, ma di uscire dalla zona di comfort per fare proposte nuove, coraggiose e concrete.

Proposte nelle quali la formazione e la ricerca hanno un ruolo cruciale. Come direttrice di un Master sulle “Buone pratiche del lavoro educativo in comunità minori” e presidente della Rete Universitaria Italiana per l’Apprendimento Permanente sono molto sollecitata a pensare quale possa essere il ruolo delle università in una crisi che si preannunciava già prima della pandemia, ma che ora è palese e riconosciuta anche dai non addetti ai lavori, talmente evidente e definitiva da accendere l’interesse dei media, tradizionalmente (e colpevolmente) disinteressati ad argomenti così poco seducenti come il lavoro educativo e sociale. Ma – ci siamo chiesti – siamo capaci di comunicare la centralità della cura ai cittadini, ai media, ai politici?

La crisi – che riguarda tutte le professioni del sociale – appare come una “crisi vocazionale”, forse benefica se indica che le nuove generazioni non considerano più la cura come una vocazione e, accogliendo l’idea che sia un vero lavoro, si aspettano sicurezza economica, trattamento equo, riconoscimento professionale.

La crisi – che riguarda tutte le professioni del sociale – appare come una “crisi vocazionale”, forse benefica se indica che le nuove generazioni non considerano più la cura come una vocazione e, accogliendo l’idea che sia un vero lavoro, si aspettano sicurezza economica, trattamento equo, riconoscimento professionale.

Dare valore significa mettere in discussione premesse antiche, innanzitutto le nostre. Come definiamo la professionalità? Conoscere un contesto, imparare a muoversi al suo interno, mettere a punto strategie di adattamento e calibrazione, richiede l’esercizio della riflessività, una meta-competenza che si impara solo esercitandola ripetutamente e con feedback adeguati. La laurea triennale, finalmente riconosciuta come titolo necessario per iniziare a lavorare, non ci esime dal riconoscere che l’apprendimento permanente è essenziale in questo tipo di lavoro. Nei tre anni della formazione di base si apprende la trasversalità dell’educativo, la visione d’insieme, gli strumenti di base che consentono di avviare un percorso di professionalizzazione personalizzato e permanente. Il titolo specifico sancisce il valore del sapere educativo, teorico e pratico. Una conquista, un “punto di non ritorno” secondo alcuni interventi. Poi però servono approfondimenti specializzanti: nessuna laurea triennale è oggi sufficiente per preparare a lavorare in situazioni complesse. Serve l’apprendimento permanente: formazione continua, lavoro d’équipe, supervisione pedagogica per continuare a formare e trasformare l’identità professionale.

L’università non può disinteressarsi delle condizioni necessarie a lavorare bene. Il lavoro decente, retribuito il giusto, tutelato nella sua qualità e quantità, oltre che negli aspetti organizzativi e progettuali, dev’essere un prerequisito a qualsiasi discorso sulla qualità del lavoro educativo. Da anni l’università è chiamata a collaborare con i soggetti istituzionali, pubblici e privati, preposti al lavoro sociale. Una collaborazione che diventa connivenza, se gli stessi soggetti sono in fallo nel garantire ai nostri laureati le condizioni per crescere professionalmente. Non “per colpa loro”, si è detto. Le responsabilità sono di tutti, come scriveva in queste pagine Silvio Premoli all’inizio del mese. E allora serve un metodo per favorire la riflessività sistemica e il dialogo tra tutti i soggetti istituzionali. E per parlare alla politica.

Si è parlato ad esempio della perversione di alcune logiche al ribasso: la logica degli appalti, dei progettini, dell’erosione costante di tutto ciò che dovrebbe garantire ai bambini e alle famiglie utenti la migliore esperienza educativa possibile. Ma i dovuti e imprescindibili cambiamenti a livello di macrosistema e di politiche del welfare nazionali e regionali non ci esimono dal chiederci “quale formazione?”.

ll titolo specifico sancisce il valore del sapere educativo, teorico e pratico. Una conquista, un “punto di non ritorno”. Poi però servono approfondimenti specializzanti: nessuna laurea triennale è oggi sufficiente per preparare a lavorare in situazioni complesse. Serve l’apprendimento permanente

Alcune risposte sono uscite dai diversi interventi: l’importanza della riflessività come meta-competenza che dà valore, potere e voce al professionista. La ricerca: la formazione universitaria dovrebbe offrire dati, modelli, metodologie ed esperienze per costruire pratiche valutabili, modificabili e adattabili a diversi contesti, per formare educatori ed educatrici capaci di interrogare le pratiche e i contesti, di osservare, ascoltare, documentare, progettare. Il progetto ERCCI (Empowering Residential Child Care through Interprofessional training), di cui sono stata la responsabile italiana, partiva proprio dal bisogno di formazione rigorosa, research-based e autoriflessiva come base per sostenere la capacità d’azione degli operatori in un lavoro difficile, di costante messa alla prova.

Quali indicazioni portiamo con noi? La formazione universitaria, di base e avanzata, dovrebbe essere co-progettata in dialogo costante con i territori, i datori di lavoro e la società civile. Dovrebbe puntare di più alle competenze trasversali e cercare un giusto equilibrio tra teoria e pratica: la prima senza la seconda è un esercizio astratto e ideologico, la seconda senza la prima è un fare insensato e scontato. Si dovrebbero cambiare e flessibilizzare le tabelle ministeriali, che prevedono insegnamenti a volte poco pertinenti con la professionalizzazione. Tuttavia, attenzione alle derive funzionaliste ed empiriciste: le scienze umane, la filosofia, la storia, le varie scienze sociali, sono saperi cruciali nel dare una visione complessa della condizione umana. Come inserire in modo armonico ed efficace le pratiche nel percorso formativo? Allargare le esperienze concrete, l’apprendimento sul luogo di lavoro, le forme di apprendistato. Valorizzare i tirocini con un accompagnamento formativo di qualità. Moltiplicare l’offerta di alta formazione, ma non a carico del singolo cittadino: il sistema del welfare dovrebbe impegnarsi nel garantire la formazione continua di qualità e il diritto degli operatori all’apprendimento permanente.

Trovo paradossale che oggi, con il bagaglio di esperienze e conoscenze di cui disponiamo sulla cura, l’educazione e le condizioni di una vita buona, ancora balbettiamo nel trovare modi per rendere praticabili questi saperi. L’unione fa la forza: se l’università e le reti del welfare si uniscono, forse si può arrivare là dove la politica fino a oggi non ha saputo portarci

Serve anche un orientamento più puntuale: molti educatori ed educatrici segnalano un forte disorientamento già nella scelta iniziale del percorso di studi – “non sapevo a cosa andavo incontro” – e poi nel proseguo, fino ai racconti agghiaccianti di neo-laureati “sbattuti in prima linea” – in comunità, in educativa domiciliare, con adolescenti difficili – senza adeguato accompagnamento. Tutto questo accentua la sensazione di essere in balia di un sistema che non si comprende. La tentazione di fuga è alimentata anche da paure e insoddisfazioni che non trovano spazio di rielaborazione e trasformazione.

Trovo paradossale che oggi, con il bagaglio di esperienze e conoscenze di cui disponiamo sulla cura, l’educazione e le condizioni di una vita buona, ancora balbettiamo nel trovare modi per rendere praticabili questi saperi. L’unione fa la forza: se l’università e le reti del welfare si uniscono, forse si può arrivare là dove la politica fino a oggi non ha saputo portarci.

*Laura Formenti è Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale, insegna Pedagogia della Famiglia e Consulenza Pedagogica presso all'Università Bicocca. Coordina il Laboratorio Permanente di Ricerca Pe.Tra.Lab. (Pedagogia delle Trasformazioni del Lavoro) ed è Presidente della RUIAP, Rete Universitaria Italiana per l’Apprendimento Permanente. In Bicocca dirige il Master sulle “Buone pratiche del lavoro educativo in comunità minori”.

Foto Unsplash

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