Non profit
Quanto donano le aziende italiane?
Continuano a essere pochissime le società italiane che donano. Ma la pandemia potrebbe cambiare la tendenza: quanta parte dell’incremento del giving diventerà strutturale? Uno stralcio dell'inchiesta pubblicata sul numero del magazine di gennaio
di Redazione
Sono sette su mille le società di capitali che nell’anno fiscale 2020 (redditi 2019) hanno portato in deduzione/detrazione un’erogazione liberale. In totale infatti hanno donato 12.257 su 1.763.011 società di capitali censite da Unioncamere: lo 0.7% appunto per un controvalore di poco meno di 198 milioni di euro. Pari più o meno a quanto ha versato solo per l’emergenza Covid la marocchina Royal Holding Al Mada che si attesta (dato Candid’s database, aggiornato al gennaio 2021) anche lei a quota 198 milioni, anche se in questo caso si tratta di dollari e non di euro. La donazione media è poco più alta di 16mila euro, dato che si impenna a quasi 37mila euro prendendo in considerazione le aziende che hanno usufruito delle agevolazioni introdotte dalla riforma del Terzo settore.
Se dalle società di capitali, passiamo alle società di persone il dato si dimezza passando dallo 0,7% allo 0,35% con una donazione media di 900 euro (che sale a oltre 4.500 euro per chi ha usufruito delle agevolazioni introdotte dalla riforma del Terzo settore). Dall’osservazione della serie storica dei dati del Mef (2010-2020) ricaviamo dunque un sostanziale stallo del numero della società di capitali che donano (erano 12.279 nel 2010, sono state 12.257 nel 2020), ma con una netta flessione dell’importo donato che in dieci anni passa da oltre 291 a meno di 200 milioni, con un calo di 33 punti percentuali. Leggermente diverso il quadro se lo guardiamo dal punto di vista delle società di persone. In questo caso si abbassa considerevolmente il numero di realtà che donano (-33%), ma cresce, anche se di poco, l’ammontare complessivo del valore delle donazioni (+6%). Queste le tendenze certificate dagli ultimi dati del ministero dell’Economia e delle Finanze che però risalgono come detto alla dichiarazione dei redditi del 2020. Per misurare l’impatto del Covid sulla effettiva propensione al dono delle imprese italiano bisognerà attendere almeno l’edizione dell’anno prossimo del nostro Italy Giving Report.
Per intercettare qualche linea di tendenza è però utile analizzare la quarta edizione delle ricerca Business for the common good diffusa a dicembre dalla School of management della Sda Bocconi in collaborazione con Cecp e Dynamo Academy. A curarla è stato il professor Francesco Perrini, direttore scientifico del Sustainability Lab e co-direttore del eSG Lab della Sda Bocconi. Lo studio, che per gli anni 2019 e 2020 ha messo sotto lente 116 aziende, il 57% quotate, il 72% italiane e il resto filiali italiane di gruppi stranieri, parte da una prima presa d’atto. Nel 2020 la geografia del corporate giving delle grandi aziende operanti sul mercato domestico (i soggetti considerati nel monitoraggio rappresentano il 17% del Pil nazionale) è cambiata profondamente: secondo i dati dell’Istituto Italiano della Donazione infatti la raccolta da aziende è diminuita per il 36% e rimasta invariata per il 58% degli enti del Terzo settore. Questo significa che è aumenta solo per il 6% delle organizzazioni non profit. «Un dato che fa da sfondo alla concentrazione delle attività di giving in due specifici settori: quello della protezione civile/emergenza (+10,8% fra il 2018 e il 2020) e quello di sanità/salute pubblica (+17,5% nello stesso arco temporale)», nota Perrini.
«Se però concentriamo lo sguardo sul giving delle 49 aziende (sulle 116 del campione) che negli ultimi quattro anni sono rimaste sempre presenti nella nostra indagine verifichiamo che a fronte di un trend costante fino al 2019, nell’ultimo anno hanno fatto registrare un + 117% (da 60 a circa 130 milioni di euro), su un totale delle donazioni corporate del campione di oltre 591 milioni di euro (dato comprensivo oltre che delle donazioni fiscalmente rilevanti anche delle elargizioni in beni e servizi che non entrano nella dichiarazione dei redditi) rappresentativi del 3,4% dell’utile ante imposta, molto superiore all’1,6% del 2019». Basta il Covid a spiegare questi numeri? PER CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI
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