Formazione
Le sette e i loro difensori
Culti, guru e manipolazioni sono un aspetto della crisi che attraversiamo. C'è chi, in nome della libertà e di un'idea astratta dell'autodeterminazione e del libero arbitrio, non esita a difendere queste forme di aggregazione fondate sulla manipolazione. Ne parliamo con Luigi Corvaglia, che ha da poco pubblicato un libro dall'approccio innovativo alla questione
di Pietro Piro
Difendere il totalitarismo in nome della libertà. Questo è il paradosso che realizza chi difende i culti abusanti e distruttivi noti come “sette”. Che le parole d’ordine della “società aperta” (libertà religiosa, libera scelta, multiculturalismo, ecc.) vengano utilizzate a difesa delle più chiuse fra le aggregazioni sociali rappresenta un cortocircuito logico.
Da molti anni Luigi Corvaglia si dedica allo studio della persuasione indebita nei culti totalitari. Psicologo-psicoterapeuta, su questo argomento ha pubblicato saggi e tenuto conferenze in molti Paesi. È inoltre presidente del Centro studi psicologici (Cesap), membro del Consiglio di amministrazione e del Comitato scientifico della Fecris (European federation of Centre of researc and information on cults and sects).
Il suo volume No Guru. Le sette e i loro difensori (C1V Edizioni, Roma 2020) è un lavoro complesso che non affronta direttamente il tema delle sette – di cui abbiamo oggi molti studi approfonditi – ma vuole fare chiarezza sugli atteggiamenti mentali che portano alla difesa di certi atteggiamenti settari e del settarismo totalitario vero e proprio. Perché ha sentito l'esigenza di scrivere questo libro? Forse nella prefazione di Janja Lalich – professoressa di sociologia ed esperta di persuasione occulta e manipolazione mentale – c'è già una prima risposta quando scrive: "È possibile che coloro che vogliono mettere a tacere i critici e limitare i danni per i culti distruttivi e altri gruppi pericolosi stiano superando la linea della decenza nel tentativo di influenzare, non solo i membri del gruppo e le potenziali reclute, ma anche il mondo legale e dei media? Stanno deliberatamente mischiando mele e arance nella speranza di distribuire un cocktail di frutta che renda aspro il sapore di ulteriori indagini? (p. 11).
Sì, ma non solo. Il libro nasce da molti anni di studio e riflessione sul rapporto fra persuasione e libero arbitrio, quindi sulla effettiva razionalità delle scelte individuali. In nessun altro campo si può vedere meglio questo duello in forma di danza, fatto di seduzione e sottomissione, come in quello dei culti totalitari, vere e proprie dittature su base non territoriale. Il fatto che queste siano basate su un supposto consenso è il punto critico.
Infatti, nell'inconsapevolezza del cosiddetto "grande pubblico", è in corso da decenni un conflitto, non sempre e non solo intellettuale e scientifico (in tal caso si chiamerebbe "dibattito"), fra gli studiosi che lavorano per evidenziare gli abusi e le vessazioni che hanno luogo all'interno di questi gruppi e coloro i quali si ergono a paladini dei diritti dei promotori di tali assolutismi sulla scorta della teorica libera adesione degli adepti. Il libro nasce dall'esigenza di mettere in luce i paradossi e i vicoli ciechi di quest'ultimo tipo di argomentazioni.
Il suo volume si apre con un "elogio dell'illuminismo" ma anche con la constatazione amara: "se lo spirito illuminista avesse portato alla disfatta dell'irrazionalità e al trionfo della mente razionale, astrologia e occultismo non occuperebbero ora ampi settori delle librerie, né la descrizione kantiana di adulti in uno stato di minorità, “incapaci di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro”, si attaglierebbe con tale perfezione agli adepti dei più svariati culti, più o meno spirituali, di cui pullula la contemporaneità" (p. 37). C'è ancora spazio e tempo per una razionalità illuminista?
Certo, ma intendiamoci, non per far dell'Illuminismo il cliché scolastico che lo descrive come il culto della razionalità fredda che mette il giogo alle passioni, e neppure come mito progressivo della scienza che annulla ogni inconoscibile. No, lo spazio che un nuovo Illuminismo dovrebbe occupare è posto all'orizzonte. Significa dargli la funzione di luce guida che segna la direzione per farci uscire da una palude di superstizione e conservatorismo tribale. In tal senso, si tratta di una cosa banale, la costante opera di liberazione dalla schiavitù del sentire soggettivo realizzata dai fatti e dalla loro osservazione oggettiva.
Il suo volume genera dubbi e desiderio di approfondimento. In questo senso si può dire che si tratta di un libro "riuscito". Ho trovato centrale nel suo ragionamento questo passaggio: "In definitiva, si vede come un ambiente culturale improntato al relativismo radicale e alla diffidenza non si limita a facilitare l’emergere di culti, alcuni dei quali possono prendere una deriva abusante, ma arriva anche a produrre i loro difensori, alcuni dei quali si muovono in quella stessa cornice e utilizzano i concetti di quella cultura". Per comprendere il settarismo dobbiamo approfondire meglio la natura della nostra società dove "ognuno è rinviato a sé stesso e questo sé stesso non conta più nulla"?
Viviamo in una condizione liquida nella quale ci si rapporta in genere secondo due modalità, opposte nel profondo, ma esteriormente simili: una è il relativismo di maniera. Questo ha una apparenza "liberal" e porta ad un multiculturalismo politicamente corretto, indifferente alle pratiche abusanti, perché si rispettano tutte le culture e, quindi, tutti i culti; l'altro è l'opposto neo-tribalismo della Nuova Destra.
Anche questo comporta un multiculturalismo, anch'esso è incurante dei diritti umani, ma perché finalizzato alla salvaguardia della propria identità contro il meticciato culturale, un'opera che prevede giocoforza anche la difesa delle identità altrui. In entrambi i casi, l'approdo è la sospensione del giudizio. Allora è vero che per comprendere il "settarismo" dobbiamo comprendere la nostra società, in particolare quella retorica sedicente liberale, che si vorrebbe relativista, ma si rivela regressiva, vacua, incongrua e qualunquista. Mi riferisco a quella che mettendo sullo stesso piano il vero ed il falso, fa un piacere maggiore al falso.
È molto interessante il suo insistere sulla finalità del discorso settario piuttosto che sulle "tecniche" adoperate volta per volta, per generare consenso. Lei scrive: "il problema della manipolazione mentale è mal posto. Si è voluto far intendere che esista una contrapposizione fra negatori e fautori del controllo mentale quasi che si trattasse di credenti e non credenti in un fenomeno soprannaturale" (p. 186) "È bene, quindi, sottolineare che nel definire la “manipolazione mentale” non è sulle tecniche che bisogna focalizzarsi. Ciò che è pregnante è l’’intento di sfruttare gli altri" (p. 189). "È necessario, introdurre una dimensione ignorata, quella della finalità del persuasore, cioè la dimensione dell’interesse. Questo nuovo costrutto complesso può essere schematizzato facendo incontrare due assi, il primo è quello della persuasione, il secondo quello che ha ai due poli l’egoismo (interesse per sé) e l’altruismo (interesse per l’altro). L’introduzione di questa nuova dimensione amplifica enormemente il ventaglio dei connotati e delle tipologie espressive della persuasione" (p. 190). "Manipolazione mentale è, pertanto, solo una metafora per descrivere una forma di subordinazione indotta il cui fine è il perseguimento dell’utile personale del persuasore" (p. 193).
Esatto. Quello della manipolazione mentale è un fantoccio di pezza. Non si dovrebbe discutere sul fatto se esistano o meno delle tecniche di persuasione efficace. Esistono. Le usano gli esperti di marketing e chi fa propaganda politica. Il punto è se sono utilizzate per asservire e sfruttare gli altri oppure no. La controversia sul "lavaggio del cervello" (si noti l'utilizzo di questa dicitura che ne sottolinea l'aspetto grottesco) è pretestuosa.
Gli apologeti dei culti descrivono i critici delle "sette" come credenti in una tecnologia magica quale quella descritta nel film The Manchurian Candidate, in cui un soldato americano veniva trasformato in un automa teleguidato tramite stimoli ipnotici. Così è facile farsene gioco. Ovviamente nessuno crede ciò. È un film sbagliato. Io utilizzo un'altra metafora cinematografica, quella del Truman Show. In questo film, il protagonista, Truman, appunto, vive in quello che crede essere l'unico luogo sicuro, un ambiente caldo e accogliente oltre il quale esiste solo il pericolo. Egli è completamente condizionato e non lo sa; è libero di andarsene ma non lo fa. I culti distruttivi sono così, non ci sono automi, ma persone adattate e gregarie sottoposte alla più forte delle pressioni, quella dell'opinione del gruppo e del leader.
Trovo molto importante l'attenzione che lei pone sulla percezione di "libera scelta" che hanno le persone che entrano a far parte di una setta. Si stratta di un percorso graduale, di indebolimento progressivo delle difese critiche, agevolato da un "bombardamento affettivo" che fa sentire il neofita accolto e ben voluto, amato e pieno di attenzione. Lei scrive: "si sarà poi tanto più disposti a credere, e ad agire in conformità alle nuove credenze, quanto più il processo persuasivo sarà graduale, perché ad ogni passo la differenza rispetto a quanto già acquisito o fatto sarà minimo (e la spinta alla defezione sarà procrastinata). Ognuno di questi passi sarà sempre scelto “liberamente”, […] le stesse persone che percorrono l’intero processo per approssimazione continua e graduale non avrebbero mai liberamente scelto l’approdo finale, cioè dogmi e comportamenti connessi, se gli fosse stato prospettato all’inizio in una unica soluzione. La “manipolazione” è tutta in questo gradiente di “libera scelta” e nell’intento del persuasore" (p. 273).
Precisamente. La razionalità della scelta prevederebbe vari criteri. Uno è la consapevolezza di quello che si sta scegliendo; un'altro è la possibilità di scelte alternative; la terza è la piena coscienza dell'esito della propria catene di scelte. La psicologia sperimentale, la scienza cognitiva e l'economia comportamentale dimostrano che queste condizioni non si pongono quasi mai.
L'aspetto che il modello che propongo sottolinea maggiormente è la mancanza del terzo criterio. La accettazione di cambiamenti minimi progressivi che esitano in una condizione che mai si sarebbe accettata all'inizio del percorso costituisce un processo guidato di assuefazione il cui fine può essere maligno e sul quale l'etichetta di "libera scelta" si incolla malamente.
La conclusione del suo volume merita attenzione: "La pandemia da COVID-19 è la tempesta perfetta. La diffusione del virus si è fatta catalizzatore di un fermento irrazionalista che ha enfatizzato la rilevanza dei fenomeni delineati in questo libro nonché la loro pericolosità per la convivenza civile, per la democrazia e per tutta la cultura nata con l’Illuminismo" (p. 275) Cosa dobbiamo temere su questo fronte che definirei: "biopolitico"?
Ulrich Beck scrive che viviamo nella "società del rischio", cioè in una società catastrofica in cui lo stato d'emergenza minaccia di diventare la norma. Aggiungo che viviamo in una società in cui il rischio è globalizzato e la sua conoscenza capillarizzata attraverso i media come mai nella storia.
Temo due ripercussioni, una nel senso più fedele al concetto di biopolitica come espresso originariamente da Foucault, cioè di normazione della vita biologica. È l'inevitabile approdo della prevenzione (Dupuy sostiene che per prevenire realmente una catastrofe dobbiamo rendere la catastrofe “inevitabile” e presentarla come necessaria, fornendo al futuro il reale che gli manca).
D'altro canto, la costante percezione emergenziale alimenta il senso di incertezza e non può che stimolare le capacità mitopoietiche della mente collettiva, questa nuova Anima Mundi irrelata e iperconnessa che produce miti ordinatori: le teorie del complotto. L'incontro fra concezioni costruttivistiche al limite della paranoia (se esiste qualcosa qualcuno l'ha costruita e se l'ha costruita ne trarrà un vantaggio, sicuramente ai nostri danni) e una reale azione dei governi per normare la vita dei cittadini non potrà che portare ad un esponenziale distanziamento fra pensiero razionale e spinte irrazionaliste. Parafrasando il Presidente Mao, grande è la confusione sotto il cielo e, per ogni guru, la situazione è eccellente.
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