Cultura
«Un elefante tra bambini di cristallo»: lettera di un papà adottivo agli educatori di suo figlio
Fabio Selini con questa lettera ha vinto il Festival delle Lettere nella categoria adozione. «La scuola non sempre è in grado di includere, di aiutare chi resta indietro, chi fatica. Le celebri “linee guida” e i progetti rimangono sterili fogli senza dimensione e possibilità di sviluppo. [...] Quando ormai sembrava tutto perduto, siete arrivati voi»
di Redazione
«Come capita a molti bambini adottivi, anche mio figlio ha subito la ferita di essere escluso fino al punto di doversene andare da una scuola. Troppo problematico per permettere agli altri bambini di crescere e educarsi. Troppo complicato per essere “risolto” dagli insegnati. Fuggire per smettere di sentirsi vittima e carnefice. Unico elefante in un negozio pieno di bimbi di cristallo. Nessuno in grado di comprendere che il più fragile di tutti è proprio quell’elefante». Sono parole di Fabio Selini, papà adottivo di Daria e Otavio, che con la sua lettera a Marco e Giuseppe, gli educatori che in questi anni hanno accompagnato il non semplice viaggio di suo figlio nella scuola. Questa lettera ha vinto il Festival delle lettere nella categoria fuori concorso “Lettera di un’adozione” (qui è possibile leggere le altre lettere sul tema). Il Festival delle lettere si è chiuso domenica 15 settembre a Bergamo: è la più importante manifestazione italiana dedicata alla scrittura epistolare che, nei suoi quattordici anni di attività, ha raccolto l’incredibile numero di oltre 24mila lettere scritte rigorosamente a mano. Sono oltre 600 le lettere arrivate da tutta Italia dedicate in particolare a Lettera alla mia città, tema della XV edizione. Il prossimo anno? Lettera alla scuola.
Ecco il testo della lettera vincitrice.
Cari Marco e Giuseppe,
scrivo questa lettera perché devo raccontarvi quanto siete importanti per la vita di mio figlio e della mia famiglia.
A volte è necessario mettersi di fronte a un foglio e scrivere lasciando che le parole ne ispirino altre. Scrivere una lettera esige tempo e quel tempo permette di andare oltre i concetti semplici, approfondire, superare la banalità genuina di un “Grazie”. Sì, perché in questo breve scritto voglio riuscire a ringraziarvi nel modo migliore. Meritate tutta l’attenzione e l’importanza che dedicate al mio piccolo e complicatissimo bimbo.
Da quasi due anni fate parte della vita di mio figlio e l’avete trasformata, resa migliore e un po’ meno complicata. Non è stato agevole avvicinarsi alle sue problematiche, non è stato facile ripulirsi da ogni diffidenza, non è stato semplice confrontarsi con l’intolleranza e la nomea che lo circondava. Mio figlio e la scuola, un’eterna battaglia nella quale ne usciva sempre sconfitto, deluso, etichettato. Il bambino complicato, violento, disturbante, ingestibile. Siete andati oltre gli aggettivi per occuparvi del “sostantivo”, il bambino.
Perché di questo si tratta, di incontrare le fatiche e le sofferenze di un bambino.
Un bambino che ha vissuto per oltre cinque anni lontano dall’amore di una famiglia, un bambino che ha dovuto badare a se stesso senza esserne capace, un bambino al quale per troppo è stato precluso buona parte di ciò che ogni figlio possiede. Una padre, una madre, una sorella, una famiglia, un futuro.
Come non fare i conti con tutto questa sofferenza? Come non comprenderla?
Quel bimbo senza sosta, senza pace, che non sta seduto in classe, che non impara, che vive una dimensione esplosiva.
Il bambino diverso, pericoloso, nocivo per le dinamiche scolastiche.
Che nessuno si permetta di rompere il giocattolo! Che nessuno si azzardi a pretendere troppo dalla scuola!
Perché molto spesso quando si parla di “scuola inclusiva” non si fa altro che recitare una parte tanto corroborante quanto ingannevole.
La scuola non sempre è in grado di includere, di aiutare chi resta indietro, chi fatica. Le celebri “linee guida” e i progetti rimangono sterili fogli senza dimensione e possibilità di sviluppo. Bloccati dalla incompiutezza, dalla non conoscenza, dalle miserrime risorse, dalla poca capacità o peggio, dall’improvvisazione. E allora il bambino difficile rischia di essere fagocitato dallo stesso sistema che dovrebbe proteggerlo. Rischia di diventarne il nemico e di sentirsi tale.
Come capita a molti bambini adottivi, anche mio figlio ha subito la ferita di essere escluso fino al punto di doversene andare da una scuola. Troppo problematico per permettere agli altri bambini di crescere e educarsi. Troppo complicato per essere “risolto” dagli insegnati. Fuggire per smettere di sentirsi vittima e carnefice. Unico elefante in un negozio pieno di bimbi di cristallo.
Nessuno in grado di comprendere che il più fragile di tutti è proprio quell’elefante.
Sono trascorsi anni, sono passate altre fatiche prima che vi incontrasse.
Quando ormai sembrava tutto perduto, siete arrivati voi. Lo smilzo e … e quello un po’ meno. Due ragazzi, due educatori, due professionisti, due bellissime persone. Avete deciso fin dal primo istante di valorizzare il bello e solo successivamente fare i conti con il disastro. Tanto quello era già lì in belle mostra.
Avete deciso di raccogliere i cocci di un vaso in frantumi e ricostruire.
Non l’avete fatto da soli, vi siete fatti aiutare da lui. Con pazienza e la forza di chi conosce la fatica altrui e decide di farsene carico.
L’avete coinvolto, gli avete mostrato che anche i piccoli frammenti più lontani possono essere recuperati e riportati nel luogo d’origine. Che nulla si perde davvero. Avete imparato a non arrendervi e impedire che anche lui lo facesse. Un passo avanti e a volte due indietro. Altri giorni uno indietro e tre avanti. Senza sosta. Come una danza complicata e bellissima. Una danza che continua ancor oggi. Ogni giorno, tra le mura di una classe che sembrava ostile avete costruito un rapporto di aiuto e protezione, di fiducia e prospettiva. Garantito il suo futuro.
Avete fatto quello che racconta Pennac alla fine di un suo celebre libro. Avete raccolto quella rondine che sbatte contro la finestra e aiutata a volare lontano.
Non vi siete mai arresi a quella che poteva essere la comoda evidenza, ogni giorno vi siete alzati dalla scomoda seggiolina della classe e favorito quel volo complicato e bellissimo.
Perché quel bimbo non è un elefante e se anche lo fosse, ha grandi ali.
E voi lo sapete… lo sapete da sempre.
Grazie,
papà Fabio
Photo by Roi Dimor on Unsplash
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.