Economia

Ue, lavoro domestico: 6 badanti su 10 vivono in soli 2 paesi (uno è l’Italia)

Secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa che sarà presentato a Roma la prossima settimana, nei paesi mediterranei la gestione dell’assistenza e della cura è affidata alle famiglie, con un impegno dello Stato molto minore rispetto ai paesi nordici. Da noi colf e badanti sono oltre 1 milione (il 3,5% degli occupati), per una spesa a carico delle famiglie di 7 miliardi di euro

di Gabriella Meroni

Negli ultimi anni il lavoro domestico in Italia e in Europa ha acquisito sempre maggior rilevanza, facendo fronte all’invecchiamento demografico, da un lato, e alla crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro, dall’altro. Considerando il progressivo calo della spesa pubblica per la famiglia e l’assistenza, le famiglie si trovano ad essere il fulcro del sistema nazionale di welfare, con più responsabilità che benefici. Questo il quadro che emerge da una ricerca DOMINA (Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico, firmataria del CCNL sulla disciplina del lavoro domestico) realizzata dalla Fondazione Leone Moressa, che verrà presentata al pubblico mercoledì 21 giugno 2017 alle ore 9,45 presso la Sala del Tempio di Adriano – Camera di Commercio di Roma, Piazza di Pietra.

Queste le dimensioni del fenomeno. Nel 2015 presso le famiglie italiane sono assunti in regola 886.125 lavoratori domestici (57,6% Colf, 42,4% Badanti). Dal 2007, il numero complessivo è cresciuto mediamente del 42%. Secondo le stime DOMINA, considerando anche i lavoratori irregolari si supera la soglia di 1 milione di lavoratori domestici, a sostegno delle famiglie. Continua a prevalere l’Est Europa, ma negli ultimi anni molte donne italiane che prima non lavoravano sono entrate (o rientrate) nel mercato del lavoro, specialmente nel lavoro domestico. Si tratta in prevalenza di lavoratori non qualificati (97%) ma con molti anni di esperienza (85% oltre 3 anni).

Dall’analisi dei dati INPS e DOMINA si può calcolare una spesa delle famiglie di circa 7 miliardi di euro l’anno, di cui poco meno di 1 miliardo in contributi versati allo Stato. Questo genere di rapporti contrattuali non solo permette allo Stato di risparmiare costi di gestione di strutture per l’assistenza, ma permette alle donne autoctone la possibilità di entrare e rimanere nel mercato del lavoro, affidando ad altre persone il compito di risolvere il problema della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Considerando gli irregolari, il volume d’affari e il gettito fiscale potrebbero raddoppiare. DOMINA stima che le somme non incassate potrebbero rientrare grazie a politiche fiscali ad hoc a sostegno delle famiglie che assumono un lavoratore domestico.

Nei paesi mediterranei, in particolare, la gestione dell’assistenza e della cura è affidata alle famiglie, con un impegno dello Stato molto minore rispetto ai paesi nordici (un tema, quello del welfare sanitario familiare, approfondito anche nel numero di maggio di Vita). Per questo, in Italia è più diffuso il lavoro domestico rispetto alle strutture assistenziali: i lavoratori domestici in Italia sono il 3,5% di tutti gli occupati (contro l’1,0% della media Ue 28). Tuttavia, l’incontro tra domanda e offerta resta informale (in 6 casi su 10) e solo 1 famiglia su 10 riceve sovvenzioni pubbliche per il lavoro domestico. Anche qui, un maggiore sostegno pubblico porterebbe emersione e benessere per lavoratori e famiglie.

Il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro Domestico del 2013 ha portato benefici concreti sia per le famiglie che per i lavoratori, introducendo maggiori tutele e garanzie. Tra le misure concrete apportate, l’assunzione per sostituzione, le precisazioni burocratiche, tutele per malattia e maternità, la regolarizzazione dei permessi e dei riposi, la risoluzione dei rapporti di lavoro e preavviso. Altro passo in avanti – conclude la Fondazione – è stata la Convenzione ILO 189/2011, che dà pieno riconoscimento al lavoro domestico e fornisce strumenti per il contrasto al lavoro nero. Nel mondo, i lavoratori domestici sono oltre 67 milioni; nell'Unione Europea, il 62% di loro è residente in soli due paesi: Italia e Spagna.

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