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Siria: ecco l’impatto di sei anni di conflitto

A sei anni dall’inizio del conflitto in Siria, tutti i numeri della guerra che ha sconvolto gli equilibri internazionali. Qui hanno perso la vita mezzo milione di persone e circa 12 milioni sono stati costretti a fuggire dalle proprie abitazioni

di Ottavia Spaggiari

Sono passati sei anni dall’inizio delle proteste di strada in Siria, contro il presidente Assad. Allora sarebbe stato difficile immaginare l’impatto che la primavera siriana avrebbe avuto sul Paese, sui suoi cittadini, sulla regione e sugli equilibri globali. Da quel marzo 2011, secondo il Syrian Observatory for Human Rights, l’istituto britannico di monitoraggio del conflitto, sono 465mila le vittime della guerra civile, di cui 321mila rimaste uccise e 145mila disperse. Le forze di Assad avrebbero ucciso, secondo l’Osservatorio, oltre 83mila persone, tra cui più di 27mila civili nei bombardamenti aerei, mentre 14mila persone non sono sopravvissute alle torture nelle prigioni del regime. Sarebbero invece più di 7mila le vittime degli attacchi delle forze ribelli e circa 4mila quelle degli jihadisti dello Stato Islamico. Sempre secondo l’Osservatorio la coalizione guidata dagli Stati Uniti avrebbe ucciso 920 civili, e alcuni dei gruppi ribelli nel nord del Paese, finanziati dalla Turchia, avrebbero ucciso circa 500 civili.

Sono dati che raccontano le atrocità di una violenza quotidiana e che si scontrano con le dichiarazioni rilasciate dal regime siriano e dalla Russia, che affermano di non aver mai utilizzato la tortura né aver mai preso i civili come bersaglio, dichiarazioni condivise dagli stessi gruppi ribelli e dalla coalizione a guida USA.

Secondo l’Unhcr, sono 6.6 milioni gli sfollati nel Paese, mentre 4.8 milioni di persone sono fuggite in Turchia, Libano, Giordania, Egitto e Iraq e circa 1 milione di siriani hanno fatto richiesta d’asilo in Europa. La Germania e la Svezia rispettivamente con 300mila e 100mila domande d’asilo sono i Paesi europei che hanno accolto il maggior numero di siriani. Tra le circa 60mila presone bloccate dalla chiusura delle frontiere nei campi profughi in Grecia e nei Balcani, si stima che più del 40% dei migranti provengano dalla Siria

Gli aiuti umanitari nel Paese continuano ad essere faticosamente garantiti da organizzazioni e agenzie internazionali. Medici Senza Frontiere, nel suo ultimo rapporto, ha denunciato le condizioni difficilissime in cui si trovano ad operare medici e infermieri che “vogliono passare meno tempo possibile negli ospedali, perché sono a rischio di attacchi”. Una situazione che “può avere conseguenze disastrose per i pazienti e ha obbligato MSF e altri (in particolare gli ospedali vicino al fronte) ad accettare deroghe ai protocolli medici standard, soprattutto nelle cure post‐operatorie e nelle degenze ospedaliere.”

Cesvi opera dal 2013 a sostegno della popolazione siriana insieme ad alcuni partner della rete umanitaria Alliance2015: le Ong ACTED (Francia), Concern Worldwide (Irlanda), Hivos (Olanda), People in Need (Repubblica Ceca) e Welthungerhilfe (Germania). La rete supporta i rifugiati e gli sfollati interni tanto in Siria quanto nei Paesi limitrofi. Secondo Cesvi, "il perdurare del conflitto ha generato nuovi problemi e nuove esigenze nella popolazione di questi territori. Cesvi è attivo proprio in Libano, dove offre un aiuto concreto sia agli sfollati siriani sia alle comunità libanesi che li ospitano. Nel corso del tempo, l’intervento si è ampliato dalla risposta immediata all’emergenza ad un approccio di più lungo periodo, focalizzato sull’inclusione socio-economica dei rifugiati siriani e delle categorie più vulnerabili della popolazione libanese attraverso attività di formazione, capacity building, supporto per l’accesso al mercato del lavoro."

La collaborazione tra le diverse Ong è stata determinante soprattutto nel dicembre 2016, quando 36mila persone sono state evacuate dalla zona est di Aleppo e si sono trasferite nelle campagne a ovest della città e nel distretto di Idleb.

A pagare il prezzo più caro del conflitto, come sempre, i bambini.

Secondo Save the Children 2 bambini su 3 hanno perso un familiare, subito il bombardamento della propria abitazione o sono rimasti feriti. Il 50% dei bambini non può più andare a scuola e 1 bambino su 4 è a rischio di disturbi mentali che potrebbero avere un impatto devastante per il resto della vita.

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