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Israele, protesta o terza intifada?

L'escalation in Israele non accenna a diminuire. La “protesta dei coltelli” ha fatto in sole 24 ore altre 6 vittime. Il governo ha sigillato i settori arabi di Gerusalemme e indetto il coprifuoco. L'esperto Andrea Avveduto, esperto e responsabile comunicazione dell'associazione Ats Pro Terra Sancta, spiega come «da una rabbia spontanea stia nascendo un movimento organizzato»

di Lorenzo Maria Alvaro

Quattro attentati in un giorno, due nello spazio di circa un’ora, almeno 6 israeliani accoltellati a Gerusalemme. L’allarme in Israele è altissimo e lo stillicidio quotidiano. «Il terrorismo è figlio della volontà di distruggerci e non della disperazione palestinese», ha denunciato il premier Benyamin Netanyahu in un teso dibattito alla Knesset. «Ma la nostra voglia di vivere distruggerà la voglia di uccidere dei nostri nemici», ha avvertito, respingendo ancora una volta come «bugie» le affermazioni che Israele stia cercando di cambiare lo status quo sulla Spianata delle Moschee o che sia in lotta con l’Islam. La reazione del governo è stata immediate: è stato deciso di sigillare e isolare i settori arabi di Gerusalemme e di indire il coprifuoco su questi quartieri.

La notizia, senza precedenti, è stata comunicata con una nota dall'ufficio del premier Benjamin Netanyahu al termine di una riunione sulla sicurezza. Il governo ha inoltre deciso di non consegnare alle rispettive famiglie i cadaveri degli attentatori rimasti uccisi negli attacchi dei giorni scorsi. È stato inoltre disposto un rafforzamento delle misure di protezione non solo a Gerusalemme ma anche nelle maggiori città israeliane dove l'esercito ha inviato sei compagnie di soldati «per rafforzare il senso di sicurezza». Rimane la domanda più importante: siamo di fronte ad una nuova intifiada? Per provare a rispondere abbiamo intervistato Andrea Avveduto, giornalista collaboratore, tra gli altri, di Vatican Insider e responsabile comunicazione dell'associazione Ats Pro Terra Sancta.

In cosa consiste e quando si può definire intifada una protesta?
L’intifada è un movimento organizzato nato alla fine degli anni ‘80 da parte dei Palestinesi per combattere e protestare contro Israele. Negli anni 2000, dopo la passeggiata di Sharon nella Piana delle Moschee, nacque una seconda fase molto più violenta. Mentre nella prima intifada infatti i palestinesi, combattendo con le pietre l’esercito di Israele mantennero una difgnità. Nella seconda passarono agli attentati terroristici con le bombe sui pullman. Questo in qualche modo prestò il fianco allo screditamento da parte israeliana di quel movimento.

Perché oggi dobbiamo prendere in considerazione la possibilità di essere di fonte ad una terza intifada?
Fino a qualche girono fa si poteva ancora parlar di episodi di violenza isolata. La situazione infatti è realmente tesa e basta poco perché si scateni qualche atto violento. Oggi dopo gli attentati contemporanei a Gerusalemme e Tel Aviv, da parte di persone armate di coltello, si può immaginare che, da una parte, la rabbia non è più un fenomeno isolato, e che l’uso dei coltelli sia diventato un simbolo.

Ed è un punto discriminante quello della simbologia?
Ogni intifada ne ha avuto uno. La prima aveva i sassi, la seconda le bombe sugli autobus. Oggi c’è l’uso di questi coltelli. Dal punto di vista simbolico si ricalca quello che già è successo. Questo uso dei coltelli dice anche che farne uso sia un modo per identificarsi in un ideale e in una protesta. Usare il coltello significa aderire a qualcosa a livello ideale e pratico.

Siamo dunque difronte ad una protesta organizzata?
Penso sia nata dal basso, spontaneamente, ma pian piano si stia organizzando anche grazie all’appoggio di Hamas. C’è oggi una situazone talmente tesa e il circolo vizioso di odio è così involuto che basta poco per scatenare la rabbia. Una rabbia che ormai è di tutto il popolo palestrinese.

Da dove arriva questa rabbia?
Certamente dall’occupazione degli insediamenti dei coloni. Ma anche contro la propria leadership e classe politica che in questi anni non ha saputo fare nulla. Le dimissioni di Abu Mazen non hanno fatto altro che far crescere questo odio, accompagnato da disillusione e amarezza. Dimissione che hanno sancito un fallimento di quella politica, e il naufragare del sogno di avere uno Stato Palestinese.

E adesso cosa ci dobbiamo aspettare?
Adesso bisogna stare a vedere cosa accade. Se questa ondata di attentati continuerà si dovrà prendere atto di essere di fronte ad una terza intifada. Ma dobbiamo anche vedere come giocherà la partita l’occidente. Kerry sarà presto in Israele per cercare di trovare una soluzione. Vero è che anche si giungesse ad un appianamento dei contrasti non si sarebbe risolto il problema. La questione va risolta alla radice oppure dobbiamo aspettarci che torni fra qualche anno in modo ancora più esplosivo e violento. Perché a disillusione si aggiungerà disillusione e a rabbia altra rabbia.

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