Non profit

E la Daewoo si comperò un ottavo di Madagascar

La corsa delle multinazionali alle terre del continente

di Redazione

Il Paese è precipitato nel caos. Decine di morti per le strade di Antananarivo. Tutto è stato scatenato
dalla politica del presidente – padrone. Che tra l’altro
ha concesso per 99 anni
1,3 milioni di ettari
al gruppo sudcoreano
1,3 milioni di ettari. Un immenso territorio che la Daewoo Logistic, gruppo sudcoerano, ha avuto in concessione sulla costa Ovest del Madagascar con il permesso di sfruttamento per 99 anni. Obiettivo : coltivare mais e olio di palma da esportare in Corea del Sud. Prodotti preziosi, non solo per la sempre incombente minaccia di crisi delle derrate alimentari, ma anche perché si tratta di prodotti base per ottenere biocarburanti. Una sorta di neocolonizzazione dal pesante impatto ambientale, che ha fatto da detonatore alle violenti proteste contro il governo. Nelle scorse settimane il Madagascar è stato insanguinato da violenti scontri, che hanno provocato oltre 80 morti. Tra i motivi della rivolta popolare, guidata dal sindaco di Antananarivo, la capitale, Andry Rajoelina c’è proprio la decisione del premier di concedere quell’immensa fetta del territorio alla multinazionale sudcoerana.

La terra degli avi
In realtà quel che è accaduto in Madagascar non è un caso isolato, ma riguarda l’intero continente africano e tutte quelle zone del pianeta che possono esser sfruttate per produzioni agricole. Ma l’affare Daewoo ha assunto contorni particolarmente invasivi: l’azienda infatti non è tenuta a pagare nulla per questo privilegio. In contropartita il Madagascar, che è tra i Paesi più poveri della terra con il 70% della popolazione sotto la soglia di povertà, si accontenterebbe dei posti di lavoro che la coltivazione creerà e delle infrastrutture che l’azienda dovrà realizzare (strade, irrigazione, logistica). Sono questi gli investimenti che hanno ingolosito il governo malgascio, che sotto la spinta di Marc Ravalomanana, suo presidente e uomo d’affari, si è buttato dal 2007 in una corsa verso la modernizzazione del Paese. Applaudito per questo dalla comunità internazionale, il Piano d’azione Madagascar è particolarmente ardito perché si ripromette di raggiungere gli Obiettivi del Millennio in otto anni.
Per raggiungere questi obiettivi – istruzione primaria per tutti, riduzione della mortalità infantile, della povertà e dell’Aids, sviluppo sostenibile – Ravalomanana punta soprattutto su tre grandi risorse: lo sfruttamento delle miniere, l’ecoturismo e l’agroalimentare.
Resta da definire il ruolo della popolazione locale in questo processo. Una popolazione letteralmente sotto choc per l’affaire Daewoo: il destino della «tanindrazana», cioè la terra degli antenati, sacra ai loro occhi, costituisce un elemento di tensione con il governo, che dal 2003 sta tentando di riformare il sistema fondiario. Sino ad ora infatti gli investitori stranieri non avevano diritto di acquistare terreni in Madagascar. Questo spiega la scelta del governo di affittare gratuitamente la terra al colosso coreano. Ma Marc Ravalomanana deve ricordare quel che successe al re Radama II nel 1863: aveva accordato al francese Joseph Lambert il diritto esclusivo di sfruttare il Nord dell’isola. Di fronte a questa scelta di aprire le porte a una potenza coloniale, l’oligarchia malgascia non esitò a far strangolare il re.

A chi appartiene la terra?
L’affaire Daewoo pone prima di tutto una questione di diritto sulle proprietà dei terreni, Nalle gran parte dei Paesi africani le legislazioni sono molto informali e in molti casi il diritto consuetudinario coesiste, con qualche difficoltà, con il diritto importato dai colonizzatori. Il 6 dicembre scorso, su iniziativa della Banca africana per lo sviluppo e della Commissione dell’Unione africana, sono state lanciate una serie di consultazioni regionali per proporre una politica fondiaria valida per tutto il continente. Una carta che prevederebbe in particolare che ogni riforma agraria riconosca il diritto di uno Stato a possedere le terre a nome dei suoi cittadini. Ma è una proposta che non piace a molti. Intervistato da Radio France International, Tidiane Ngaido, ricercatore presso l’Istituto internazionale di studio delle politiche alimentari, pensa che «non sia normale che lo Stato si arroghi il diritto di proprietà e distribuisca delle terre a società venute dall’estero. Ci vuole una garanzia per le popolazioni». L’Unione africana dovrà prendere una decisione entro luglio.

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