Cultura
Istruzione professionale, il 60% trova sbocchi
Un rapporto della Fondazione per la Sussidiarietà
Roma. È un quadro analitico e molto interessante quello che emerge dal Rapporto sulla sussidiarietà 2010, dedicato alla istruzione e alla formazione professionale, presentato ieri al Senato e realizzato dalla Fondazione per la sussidiarietà. Una indagine che sfata molti luoghi comuni e potrà senz’altro servire alla individuazione di nuovi percorsi e strumenti. Fra le leggende metropolitane, quella che sia tutto sommato insoddisfacente l’esito formativo degli Istituti professionali di Stato (che durano 5 anni) e i Centri di formazione professionale (3 anni, per lo più curati dal privato variamente sociale: dalle organizzazioni religiose alle non profit). Il quadro è in realtà molto più articolato. «Il Cfp» ha premesso Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione, «ha spesso una funzione di recupero di cui possono beneficiare i moltissimi ragazzi vittime di drop out. È gente che si è in qualche modo già persa: l’impegno primario deve essere quello di reinserirla in un contesto di socialità». Diverso il discorso per gli istituti statali, gli Ips: «qui le persone scelgono il proprio percorso, avendo riflettuto sull’importanza dell’avviamento ai mestieri». Se si guarda però al grado di soddisfazione espresso da un campione rappresentativo di studenti, si può constatare come questo sia superiore al 74%. Un gradimento, per di più, motivato. Vediamo come. Soddisfa i ragazzi il processo formativo centrato sulla persona, il rapporto con i professori, la valorizzazione dell’esperienza concreta, la possibilità di stage e laboratori, la connessione con il mondo delle imprese locali. «Sono variabili ispirate al principio di sussidiarietà», ha sottolineato Vittadini.
Importanti e inattesi i risultati anche per quanto riguarda il successivo inserimento lavorativo: il 60% dei ragazzi che escono dagli Ips trova lavoro, una percentuale che per i loro colleghi dei Cft scende al 44%. Con una eccezione significativa, la Lombardia, dove il rapporto si rovescia: «gli studenti dei corsi Cfp che pure durano solo tre anni, trovano più facilmente impiego rispetto a quelli degli Ips». Le ragioni? «Può darsi che la sperimentazione della Regione che attribuisce una dote formativa e quindi lascia la scelta alle famiglie abbia innescato, fra i centri, un effetto positivo di concorrenza e quindi un miglioramento della qualità».
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