Formazione
Istruzione, le diseguaglianze si combattono all’asilo (nido)
Education at a Glance 2022 presentato a Roma nella sede di Save the Children. “L’offerta in termini di ore di alcune regioni italiane, come la Sicilia, è squilibrata rispetto alla media. Se parliamo di servizi per i primi 1.000 giorni di vita dei bambini fino ai 3 anni, gli asili nido coprono il 14,5% dell’offerta pubblica”, spiega Raffaela Milano, direttore dei Progrmmi Italia-Europa della ong
In Italia la radice delle disuguaglianze è nell’istruzione, dati alla mano: in venti anni i nostri livelli di preparazione sono cresciuti più lentamente della media dei paesi Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – Ocse. È l’immagine che emerge dal rapporto Ocse Uno sguardo sull’istruzione 2022- Education at a Glance 2022, principale fonte internazionale che realizza una comparazione delle statistiche nazionali sullo stato d'istruzione nel mondo, dalla scuola primaria fino sull'istruzione universitaria, comparando i sistemi educativi di 38 paesi Ocse, più Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Arabia Saudita e Sud Africa.
Presentato oggi a Roma, presso la sede di Save The Children Italia, insieme alla stessa ong e alla Fondazione Agnelli, il rapporto offre uno screening dell’andamento complessivo dell’istruzione italiana, comparata ai Paesi Ocse. La fotografia che emerge dal report Ocse, però, racconta un Paese dove si studia, impara e investe sul proprio futuro ancora a rilento.
Programmi per l'infanzia
Tra le uniche note positive, la situazione italiana della scuola per l’infanzia. In Italia il 92% di tutti i bambini dai 3 ai 5 anni è iscritto a programmi d’istruzione dell’infanzia: un dato superiore alla media Ocse, ma è un vantaggio che dipende dal monte ore di insegnamento dell’Italia, inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1071 ore).
“Il punto è che l’offerta in termini di ore di alcune regioni italiane è squilibrata rispetto alla media Ocse, tipo in Sicilia. Se parliamo di servizi per i primi 1.000 giorni di vita dei bambini fino ai 3 anni, gli asili nido coprono il 14,5% dell’offerta pubblica”- ha spiegato Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa Save The Children – “La definizione di un livello essenziale delle prestazioni per raggiungere il 33% della copertura dei servizi in ogni ambito territoriale e l’assegnazione di rilevanti risorse nell’ambito del Pnrr per la costruzione di nuovi asili rappresentano passi avanti significativi. Le disuguaglianze educative si manifestano perciò ancor prima della scuola elementare, i divari cominciano già nelle famiglie di origine, per cui nelle scuole dell’obbligo sono ormai consolidati. Oggi in Calabria solo 2-3 bambini su 100 accedono per esempio all’asilo nido: chi vuole fare davvero un’offerta attiva sul servizio pubblico, deve fare allora un investimento sui servizi educativi che offrano educatori ed educatrici formati, anziché insistere sui baby parking. Un buon inizio educativo può cambiare tutto il percorso scolastico dei bambini in contesti difficili”.
“Per intervenire alla radice delle disuguaglianze educative", ha proseguito Milano, "è dunque necessario investire sin dalla primissima infanzia, con una rete di asili nido e servizi educativi di qualità accessibili a tutti. La definizione di un livello essenziale delle prestazioni per raggiungere il 33% della copertura dei servizi in ogni ambito territoriale e l’assegnazione di rilevanti risorse nell’ambito del PNRR per la costruzione di nuovi asili rappresentano passi avanti significativi”.
Gender gap
Se parliamo di istruzione inclusiva, un capitolo a parte riguarda le donne. Nonostante il gender gap che attanaglia l’ambito lavorativo, in quello formativo le donne costituiscono la maggioranza dei neodiplomati dell’istruzione secondaria superiore a indirizzo liceale. In Italia la quota è del 61%, contro una media Ocse del 55%. Gli uomini invece sono sovrarappresentati tra i neodiplomati dei programmi secondari superiori a indirizzo tecnico-professionale nella maggior parte dei Paesi Ocse, come nel caso dell’Italia, dove costituiscono il 61% di tutti i neodiplomati dell’istruzione secondaria superiore a indirizzo tecnico-professionale: un dato superiore alla media.
“L’art. 34 della Costituzione sostiene che l’educazione sia aperta e gratuita per tutti. È un aspetto che tendiamo a dare per scontato, in Italia l’educazione è luogo di integrazione ed eguaglianza, in molti Paesi è stata invece il luogo della separazione di classe” – ha ricordato il ministro Patrizio Bianchi –“L’infrastrutturazione educativa è una scelta-Paese: cosa preferiamo, che non ci sia bisogno di asili nido perché le donne così non lavorano, o piuttosto di fare più asili nidi per permettere anche alle donne di lavorare? C’è bisogno assoluto di tornare a una dimensione partecipativa dell’istruzione, di considerare la formazione continua non come un accessorio della crescita, ma come la crescita stessa“.
Giovani Neet
Purtroppo in Italia aumentano anche i Neet nell’età compresa tra i 25 e 29 anni, salendo dal 31,7% del 2020 al al 34,6% nel 2021. L’incidenza maggiore riguarda sicuramente le donne: il 39,2% di loro nella fascia d’età 25-29 anni sono scoraggiate dal mercato occupazionale e dall’offerta formativa.
Docenti
Criticità anche per le condizioni salariali del corpo docente. Gli stipendi medi reali rimangono inferiori a quelli dei lavoratori con un’istruzione terziaria in quasi tutti i Paesi dell’Ocse e a quasi tutti i livelli di istruzione. Questo vale anche per l’Italia.
“Il corpo docente in Italia è tra i più anziani dei Paesi Ocse, ovviamente per un fattore demografico” – ha precisato Giovanni Semeraro, ricercatore Ocse che ha curato lo studio – “In Italia i docenti guadagnano il 27% in meno rispetto alla media Ocse, mentre i dirigenti scolastici hanno stipendi più alti rispetto alla media e rispetto a un lavoratore laureato medio. Anche i periodi di quarantena e i contagi hanno impattato fortemente sulla scuola, facendo incrementare le assenze dei docenti e cambiando l’offerta formativa di questi due anni”.
Investimento in istruzione
C’è poi un altro podio negativo che l’Italia guadagna a mani basse, quello sulla spesa per studente universitario: circa 12.00 dollari all’anno contro una media Oc Ocse di 17.500.
Mentre i Paesi Ocse nel 2019 hanno speso in media il 4,9% del loro Pil per gli istituti di istruzione dal livello primario a quello terziario, in Italia la quota corrispondente è stata pai al 3,8%. La media dei Paesi Ocse stima una spesa pubblica per l’istruzione da primaria a terziaria pari al 10,6%, anche qui l’Italia fa economia con un 7,4% della spesa pubblica totale
“In realtà la spesa pubblica non è bassa, è in linea con la media Ocse se non leggermente superiore, spendendo più di 70mila euro per la formazione scolastica di ciascun ragazzo, mentre nell’università il ritardo è evidente” – ha aggiunto Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – “Le cause vanno cercate altrove. Secondo il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, lo scarso investimento in istruzione dipende soprattutto dalla strutturazione del nostro sistema produttivo: le imprese non assumono e non valorizzano i giovani laureati, perciò anche le famiglie non investono in un’istruzione di qualità. La mia sensazione è che nel dibattito italiano ci siamo dimenticati della tragedia che il Covid abbia rappresentato per l’istruzione”.
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