Politica
Istituzionalizzazione non sempre fa rima con segregazione
Nel dibattito sulla proposta di legge sul dopo di noi interviene Francesco Mercurio, presidente del Comitato delle Persone Sordocieche della Lega del Filo d'Oro. «La legge non tiene nel dovuto conto le differenti esigenze delle persone con pluridisabilità, che hanno bisogno di una presa in carico più “robusta”. Il domicilio per loro sarebbe paradossalmente un isolamento».
La legge di stabilità 2016, in discussione al Senato, stanzia 90 milioni di euro per finanziare un fondo per il dopo di noi, collegato a una legge apposita già discussa dalla Commissione Affari Sociali della Camera, che dovrebbe arrivare in Parlamento a inizio 2016. Si tratta di un’occasione importante, dove per la prima volta si potrebbe affrontare in maniera sistematica uno dei temi che più stanno a cuore alle famiglie di una persona con disabilità. Per questo è importante parlarne. Nelle scorse settimane abbiamo raccolto diversi contributi, qui il pensiero di Francesco Mercurio, sordocieco, presidente del Comitato delle Persone sordocieche della Lega del Filo d’Oro.
Quali criticità presenta la proposta di legge sul dopo di noi, analizzata dal punto di vista delle persone con una pluridisabilità e quindi con una condizione particolarmente complessa, quali gli utenti della Lega del Filo d’Oro?
È importante premettere che la proposta di legge sul “dopo di noi”, nel suo complesso, è una buona proposta. Il disegno di legge persegue l’intento di colmare una grave lacuna del nostro ordinamento, dando tutela alle persone con disabilità grave quando coloro che li hanno assistiti per una vita non saranno più nelle condizioni di farlo, attraverso strumenti concreti volti a favorire il mantenimento di una buona qualità di vita e della maggiore autonomia possibile. È positivo il ricorso a misure che agevolino l’attivazione di quegli strumenti patrimoniali (in particolare il trust) cui, negli anni passati, la Lega del Filo d’Oro ha dedicato una particolare attenzione, attraverso una campagna di sensibilizzazione ed informazione rivolta alle famiglie dei nostri utenti. Sicuramente meritoria è l’attenzione, manifestata dai proponenti, per la vita di relazioni della persona con disabilità, che – conformemente a quanto sancito dalla Convenzione Onu sui diritti delle Persone con disabilità, in particolare agli artt. 3 e 19 – va assistita, ove possibile, nel proprio domicilio o in altra comunità residenziale che riproduca l’ambiente familiare.
Fatta questa premessa?
Fatta questa premessa, che mi sembra d’obbligo, rilevo due criticità: una eccessiva vaghezza/indeterminatezza dei soggetti beneficiari di questa proposta di legge e il fatto che essa sembra non tenere nel dovuto conto le differenti esigenze delle persone coinvolte, proponendo un solo modello (la domiciliarità o la piccola residenza protetta) che dovrebbe andare bene per tutti. La proposta di legge, infatti, si applicherebbe (art. 1), a tutti coloro che sono affetti da handicap in situazione di gravità ex art. 3, comma 3, L. 104/92, riconosciuto con le modalità di cui all’art. 4 della stessa legge 104/92. Sono così trattati allo stesso modo soggetti con una sola invalidità fisica e/o sensoriale (ciechi, sordi, invalidi civili) e soggetti che presentano invece disabilità più gravi e complesse (pluridisabilità psicomotorie/psicosensoriali) e che necessitano, indubbiamente, di una presa in carico decisamente più “robusta” e di un impegno assistenziale notevolmente più ampio e complesso.
Perché il domicilio o le piccole comunità residenziali non sarebbero sufficienti per queste persone?
Per la complessità delle problematiche presentate da queste persone, l’assistenza domiciliare o in una piccola comunità alloggio sarebbe largamente insufficiente. Per queste persone la deistituzionalizzazione – perseguita dalla proposta di legge – non sarebbe una soluzione valida ed efficace a garantire quell’elevato standard di assistenza che la loro condizione merita. Infatti la loro assistenza necessita della presenza costante di più figure professionali (educatori, infermieri eccetera), i cui costi lieviterebbero e di cui sarebbe difficile avere un adeguato coordinamento se si ritrovassero sparpagliate in una miriade di comunità isolate.
L’istituzionalizzazione quindi non è necessariamente sinonimo di segregazione? A che condizioni e con quali attenzioni?
Per rispondere alla questa domanda occorre fare una premessa importante: l’istituzionalizzazione è uno strumento che dev’essere usato in taluni casi di particolare gravità, ma si tratta di uno strumento che se mal gestito (come purtroppo è accaduto in passato) può essere veicolo di segregazione; se gestito bene, invece, può diventare per queste persone un’opportunità per ampliare la propria cerchia di relazioni, esplorare al meglio le proprie possibilità, assistiti e protetti da professionisti adeguatamente formati, in un percorso di continuo mantenimento e ampliamento delle proprie abilità (abilitazione/riabilitazione) che, nelle comode ma isolate mura domestiche potrebbe interrompersi.
Quale ruolo hanno oggi gli enti del terzo settore come LFO nel dopo di noi, che disponibilità c’è a sostenere percorsi sempre più inclusivi?
La Lega del Filo d’Oro da anni promuove iniziative rivolte alle famiglie per informarle sui migliori strumenti patrimoniali di tutela che già oggi si possono approntare per “il dopo di noi” (strumenti che, con la nuova normativa, non potrebbero che migliorare in efficacia, avendo anche il sostegno ed il riconoscimento istituzionale necessario). Inoltre, è bene ricordare che la Lega del Filo d’Oro tratta disabilità differenti come la sordocecità (congenita e acquisita) e la pluriminorazione psicosensoriale, ed è consapevole che non esiste una risposta che vada bene per tutte le situazioni. Pertanto, se da un lato lavora attraverso i grandi centri, dall’altro lavora invece sul territorio, dove si impegna a “fare rete” tra la persona con disabilità ed il suo ambiente; in questo modo sicuramente c’è una buona base di partenza ed un adeguato sostegno per i nostri utenti nel delicato momento in cui i propri caregiver non potranno più aiutarli.
Foto Nicolas Tarantino/Lega del Filo d'Oro
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