Politica
Istituto Cattaneo: l’alta affluenza frutto dell’estrema personalizzazione del voto
Leggendo i dati «quello del 4 dicembre 2016 è stato un voto molto più “politico” che referendario. Molti degli elettori che si sono recati ai seggi lo hanno fatto sulla base di motivazioni che andavano oltre l’approvazione o il rigetto della proposta di riforma»
di Redazione
Il referendum del 4 dicembre rappresenta il terzo appuntamento referendario – dopo quelli del 7 ottobre 2001 e del 25 giugno 2006 – in materia costituzionale cui i cittadini italiani sono stati chiamati negli ultimi quindici anni, dopo oltre mezzo secolo in cui lo strumento, previsto dall’Articolo 138 della Costituzione e disciplinato dalla legge n. 352 del 1970, non era mai stato utilizzato.
Come è noto, per i referendum costituzionali – a differenza che per quelli abrogativi – non è necessario il superamento del quorum del 50% +1 degli aventi diritto al voto affinché il risultato sia valido: qualunque fosse stato il livello della partecipazione, la differenza tra “sì” e “no” avrebbe dunque comportato – rispettivamente – l’approvazione o il rigetto delle modifiche proposte. In questo contesto, si sarebbe quindi tentati di derubricare le considerazioni sull’astensione elettorale in secondo piano rispetto ad altri aspetti. Tuttavia, proprio l’altissima partecipazione elettorale che ha contraddistinto il referendum del 4 dicembre ci porta a ritenere che essa meriti un’attenta trattazione di per sé.
Più nel dettaglio, coi dati qui presentati si cerca di rispondere a due interrogativi principali: innanzitutto, ci si vuole chiedere quanto il tasso di partecipazione al referendum 2016 sia simile o dissimile sia ai dati relativi ai precedenti referendum costituzionali, sia a quelli propri delle elezioni politiche 2013. In altri termini, il voto del 4 dicembre – per lo meno dal punto di vista della partecipazione – è più simile ai precedenti voti referendari o ad un vero e proprio voto politico? In secondo luogo, si sottolineeranno le più marcate differenze territoriali, nell’ottica di segnalare in quali contesti locali la partecipazione è stata più alta, e in quali altri – al contrario – si è vista ridurre maggiormente.
Dall’osservazione della Tabella 1, alcuni dati saltano immediatamente agli occhi: innanzitutto, si conferma la nota differenziazione territoriale propria del nostro paese, con il centro-nord caratterizzato da tassi di partecipazione decisamente più alti che nel Meridione. Da questo punto di vista, Veneto (col 76,7%), Emilia-Romagna (75,9%) e Toscana (74,5%) sono le regioni che evidenziano i tassi più alti, laddove Calabria (54,4%), Sicilia (56,7%) e Campania (58,9%) rappresentano i fanalini di coda. Sul punto, occorre comunque sottolineare che in tutte le regioni italiane ha votato più della maggioranza degli aventi diritto.
In seconda battuta, il dato del 2016 è molto più vicino a quello delle Politiche del 2013 che non a quello caratterizzante i due precedenti appuntamenti costituzionali, e questo è vero – una volta di più – per tutte le regioni d’Italia. Pare, questa, una conferma dell’alta polarizzazione e, per così dire, “partitizzazione”, che è possibile riferire a questa consultazione referendaria: i cittadini sono stati chiamati alla mobilitazione da parte di tutte le principali forze partitiche, le quali, per un motivo o per l’altro, hanno attribuito alla consultazione referendaria un significato che andava molto al di là dell’approvazione o del rigetto della riforma proposta dal governo. Non si scopre nulla di nuovo dicendo che è stata proprio la personalizzazione impressa all’appuntamento referendario da parte del presidente del consiglio a farne un voto pro o contro il proprio governo: di conseguenza, molti elettori hanno percepito l’importanza della posta in gioco e sono andati a votare più che in passato (e in maggior numero rispetto alle attese).
In terzo luogo, alcuni contesti specifici meritano trattazione a parte: nel Settentrione, Trieste è l’unica provincia che evidenzia addirittura un incremento tra 2016 e 2013, passando dal 72,8% al 73,4%. Rispetto invece al referendum costituzionale del 2006, il più ampio incremento di partecipazione è riscontrabile ad Aosta (+ 21,4 punti percentuali, da 50,5% a 71,9%). Al contrario, nel contesto di alta partecipazione proprio del Nord Italia, un caso particolare è rappresentato dalla provincia di Bolzano: nel confronto tra 2016 e 2006, infatti, è la provincia d’Italia con il maggiore incremento partecipativo (+ 28,8 punti percentuali, da 38,6% a 67,4%), laddove nel confronto tra 2016 e 2013 è – al contrario – la provincia d’Italia con il maggiore decremento partecipativo (-14,7 punti percentuali, da 82,1% al già citato 67,4%). È però, quello bolzanino del referendum 2006, un caso assolutamente a parte: in quel caso, infatti, la partecipazione fu più bassa di circa 18 punti percentuali rispetto alla vicina provincia autonoma di Trento.
Se ci si sposta nella cosiddetta “zona rossa” (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche), è interessante rilevare come le province che mostrano – rispettivamente – un maggior incremento rispetto al 2006 e un minor decremento rispetto al 2013, siano entrambe toscane: nel primo caso è Prato (+16,5 punti percentuali, da 57,7% a 73,2%), nel secondo è Firenze (-3,8 punti percentuali, da 81,6% a 77,8%). Il che ci pare del tutto ragionevole, rappresentando le zone territoriali in cui è presumibilmente maggiore la “presa” del presidente del consiglio: in tali casi, insomma, alla mobilitazione degli elettori per il “no” si è sommata una relativamente maggiore mobilitazione degli elettori per il “sì” (non a caso, sia a Prato che a Firenze ha vinto il “sì”, con – rispettivamente – il 55,7% ed il 57,7%).
Anche rispetto alle regioni del centro-sud, alcuni contesti provinciali appaiono particolarmente interessanti: sono quelli di Barletta-Andria-Trani (+21,3 punti percentuali tra 2016 e 2006), Matera (-6,4 punti percentuali nel confronto tra 2016 e 2013) e Frosinone (+17,7 punti percentuali tra 2016 e 2006, ma -10,4 punti percentuali tra 2016 e 2013). Nel primo caso, si è in presenza del maggiore incremento partecipativo tra referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e corrispettivo del 2006; nel secondo si tratta della provincia meridionale in cui il calo tra politiche 2013 e referendum 2016 è stato più contenuto; il terzo è – infine – il corrispettivo delle regioni centrali di quanto è già stato detto per il Settentrione a proposito di Bolzano: rappresenta, infatti, sia la provincia del centro Italia con il maggior incremento tra referendum 2016 e referendum 2006, sia quella con il maggior decremento tra politiche 2013 e referendum 2016.
Nel complesso, i dati raccolti consentono di evidenziare alcune tendenze piuttosto chiare: prima di tutto, quello del 4 dicembre 2016 è stato un voto molto più “politico” che referendario, anche e soprattutto a causa della forte polarizzazione, personalizzazione e “partitizzazione” del voto. Molti degli elettori che si sono recati ai seggi lo hanno fatto sulla base di motivazioni che andavano oltre l’approvazione od il rigetto della proposta di riforma costituzionale approvata ad aprile 2016 dal governo Renzi. Hanno percepito l’importanza della posta in gioco e, di conseguenza, si sono mobilitati in larghissima parte. In seconda battuta, le differenze territoriali riscontrabili raccontano un film già visto molte volte nel nostro paese: il centro-Nord partecipa di più, il Meridione appare relativamente più disinteressato (anche in un contesto come questo, a forte impatto “politico”). È, come detto, un’evidenza piuttosto nota, che in questo caso pare addirittura accentuarsi: è infatti al Sud che il decremento tra elezioni politiche 2013 e referendum 2016 è maggiore.
Analisi a cura di Andrea Pritoni per Istituto Cattaneo (hanno collaborato al reperimento dei dati Andrea Pedrazzani e Luca Pinto)
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