Oltre le sbarre

Istituti penali minorili, le emozioni e i sogni dei ragazzi in 66 scatti

Al Museo degli Innocenti di Firenze la mostra “Dalla mia prospettiva” raccoglie gli scatti realizzati da 22 ragazze e ragazzi di cinque carceri per minori attraverso un progetto dell'Autorità Garante per l'Infanzia. Il fotoreporter Valerio Bispuri: «Il focus era portare a galla le emozioni dei ragazzi. Auspico che si possa ripetere in altri istituti»

di Ilaria Dioguardi

Cinque istituti penali per minorenni, ventidue ragazze e ragazzi ristretti, sessantasei scatti. Sono i numeri della mostra Dalla mia prospettiva, visitabile gratuitamente al Museo degli Innocenti di Firenze fino al 22 marzo. Le foto esposte sono il frutto di laboratori fotografici realizzati dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e dal fotoreporter Valerio Bispuri, in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti. Sono stati coinvolti gli Ipm “Silvio Paternostro” di Catanzaro, di Quartucciu (Cagliari), “Casal del Marmo” di Roma, “Ferrante Aporti” di Torino e il femminile di Pontremoli (Massa Carrara)

«Questo progetto nasce da una brillante idea dell’ex garante dell’Infanzia e dell’adolescenza Carla Garlatti, con l’obiettivo di provare a dare una nuova visione o una nuova possibilità ai minori che si trovano in carcere», dice Valerio Bispuri. «Hanno chiamato me perché ho esperienza di altri lavori nelle carceri e insegno. Il focus del progetto era quello di far uscire le emozioni dei ragazzi. Non abbiamo puntato tanto sulla tecnica fotografica, ma sul fatto di cercare di proporre a questi giovani, attraverso tre domande, un’idea di come l’emozione possa essere trasmessa attraverso un’immagine».

Le foto in risposta a tre domande

Nel progetto i ragazzi hanno risposto alle domande: «Racconti, con una foto, il tuo quotidiano? Quali sono i tuoi sogni, una volta uscito dal carcere? La persona o la cosa a cui pensi di più, qui dentro?». «Le risposte a queste tre domande dovevano essere sviluppate attraverso le emozioni, non si potevano fotografare chiaramente i volti, né degli altri compagni né i propri, quindi attraverso gli oggetti, le forme, tutto quello che veniva loro in mente. Io facevo un po’ da tramite, cercavo di far capire che noi possiamo trasmettere le nostre emozioni anche con l’immagine, che la fotografia non è soltanto il selfie o il racconto della giornata, ma è anche il racconto di quello che abbiamo dentro. Questo è stato un po’ il processo, per cui abbiamo parlato tanto con i ragazzi prima di iniziare», continua Bispuri. Per ogni istituto sono stati scelti cinque ragazzi che hanno partecipato al corso.

Una motivazione per il “dopo”

«L’idea finale è quella di vedere se qualcuno, una volta uscito, possa avere interesse all’immagine, alla fotografia. Le situazioni di questi ragazzi sono molto difficili, sono spesso persone che non hanno famiglia o sono migranti venuti a vivere Italia. L’idea di proporre qualcosa di nuovo, secondo me, è stata molto interessante. Abbiamo lavorato circa un anno a questo progetto». All’inizio del laboratorio «lo prendevano un po’ come un gioco, poi piano piano hanno capito che non si trattava soltanto di fare le foto, ma di raccontare chi erano loro. Che poi è anche quello che io faccio normalmente quando insegno fotografia ai miei allievi: oltre alla tecnica fotografica e a tutto quello che ci vuole per scattare, è importante tirare fuori se stessi. Questa è stata per loro una cosa importante, nuova, che in molti casi li ha proprio emozionati, li ha coinvolti».

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È stata «una bellissima idea», continua Bispuri, «questa di portare la fotografia anche in luoghi dove normalmente non c’è». Terminato il progetto, «ho lasciato ai ragazzi il miei contatti, così che se qualcuno vuole dei consigli, io sono a loro disposizione».

Il laboratorio

«Quando andavo a fare il laboratorio negli Ipm, entravo con due macchine fotografiche, mi accompagnava una persona dell’Istituto degli Innocenti. Poi arrivavano i ragazzi, la prima ora noi spiegavamo che cosa volevamo fare e poi li lasciavamo liberi di raccontarsi. Dopodiché iniziavamo a sviluppare le loro risposte, a provare a vedere come rappresentarle. Ognuno faceva tre scatti: una foto per ognuna delle risposte alle tre domande».

Negli scatti di Dalla mia prospettiva, «si cerca, attraverso la simbologia del racconto fotografico, di tratteggiare un racconto, di rappresentare quello che i ragazzi sentivano e volevano. È stato un lavoro che mi ha lasciato tanto e che ho fatto, oltre che con grande professionalità, mettendoci il cuore», dice il fotoreporter.

Un progetto che si potrà estendere?

Le foto esposte saranno raccolte in una pubblicazione. «Auspico che il progetto possa continuare, abbiamo potuto realizzarlo solo in cinque istituti penitenziari, si potrebbe allargare ad altri: è importante dare uno stimolo a questi ragazzi. Anche se solo uno o due di loro continuassero con la fotografia, una volta usciti, sarebbe già una bella soddisfazione».

Questo progetto «è stato una sfida da parte mia, perché io solitamente racconto attraverso i volti. Ad esempio, sto terminando un lavoro sugli orfani del mondo. Ho una grande esperienza del carcere per adulti: ho fatto un lavoro su 74 carceri in Sud America, un altro su 10 carceri in Italia. Ho alle spalle anni di lavoro negli istituti di pena, ma con questi ragazzi è diverso: stanno cercando una loro identità, un loro modo di essere, di formarsi. È stato molto emozionante avere a che fare con loro, hanno una tipologia diversa di espressione, di emozione. Però proprio per questo, secondo me, è anche più possibile lavorarci, proprio perché ancora non sono formati completamente».

Giovedì 6 marzo alle ore 11,30 la mostra sarà presentata presso il Salone Pocetti dell’Istituto degli Innocenti. In programma interventi di Maria Grazia Giuffrida, presidente Istituto degli Innocenti; Marina Terragni, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza; Antonio Sangermano, capo dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità del ministero della Giustizia; Carla Garlatti, già Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e Valerio Bispuri, fotoreporter. Modera Raffaella Pregliasco, ricercatrice, responsabile del servizio documentazione dell’Istituto degli Innocenti.

Foto ufficio stampa Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza/Valerio Bispuri

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