Cultura

Israeliani e palestinesi uniti dalla paura.

Intervista a p. Arturo Vasaturo, ofm, parroco a Tel Aviv - Giaffa (Israele)

di Redazione

Gli attentati che si susseguono da una parte e dall’altra nel conflitto israelo-palestinese sembrano non lasciare più speranza.
Mercoledì 5 il Papa, parlando in San Pietro, ha definito “assurda” la violenza “che continua ad insanguinare la regione medio-orientale”. E ha aggiunto: “La violenza non risolve mai i conflitti, ma soltanto ne accresce le drammatiche conseguenze”. Giovanni Paolo II ha chiesto alla comunità internazionale di aiutare “israeliani e palestinesi a spezzare questa inutile spirale di morte” e di farli ritornare “immediatamente” ai negoziati “perché si possa giungere finalmente alla tanto desiderata pace”..
Ma israeliani e palestinesi vogliono davvero la pace comune? Abbiamo rivolto questa domanda a p. Arturo Vasaturo, 50 anni, francescano della Custodia di Terrasanta. Essendo parroco di Giaffa, in una parrocchia di arabi, circondata da popolazione ebraica, p. Arturo conosce la vita degli uni e degli altri. Il P. Vasaturo ha anche conseguito una laurea all’Università Ebraica di Gerusalemme in Storia del Popolo Ebraico. Secondo il parroco di Giaffa, ridurre il problema della pace in Israele alla
questione terrorismo e Bin Laden, è deviante. La pace è possibile a tre condizioni: il ritiro degli insediamenti ebraici dai territori; la garanzia di sicurezza per Israele; un controllo internazionale. Ecco l’intervista che ha concesso a Fides.
P. Vasaturo, è ancora possibile la pace o siamo a due passi dalla guerra totale?
Ebrei e palestinesi sono tutti stanchi di questa violenza perché non porta a nulla. Vogliono solo la pace e la tranquillità. Nasce il dubbio se al di fuori della nostra situazione, non vi sia qualcuno che è contento di continuare i conflitti. Anche a Gerusalemme e nei territori i palestinesi sono stanchi. Chiedono solo rispetto, vogliono essere trattati da esseri umani, non essere di continuo controllati, sospettati, guardati con l’ossessione con cui si guarda un nemico. Io credo che il popolo voglia la pace, ma vi è come una mafia superiore che mette sempre i bastoni fra le ruote: quando la pace sembra vicina, capitano fatti che la allontanano.
Come si vive a Giaffa dopo gli attentati?
Gli israeliani cercano di vivere alla giornata. Sanno che ogni giorno devono fare i conti con il terrorismo e non programmano nulla. Talvolta esco di notte o di sera tardi a visitare i malati ed è terribile vedere le strade di Tel Aviv vuote, il lungomare deserto. La gente è stanca ed ha paura. Molti ebrei non parlano in pubblico, ma si rendono conto che Israele non è più il luogo ideale che risponde al desiderio del popolo ebraico di trovarsi tranquillo e sereno. All’esterno appare la potenza militare, ma le mamme israeliane sono stanche di inviare i loro ragazzi sotto le armi. Se la gente ha appoggiato Sharon, è perché sperava che si arrivasse a una pace duratura.
Ma qual è lo scoglio per una pace reale?
Diverse personalità ebraiche dicono che Israele dovrebbe ritirarsi dai territori e stabilire la pace. Questo problema degli insediamenti ebraici nei territori palestinesi è il problema cruciale. Per eliminare la violenza, bisogna ritirarsi dai territori. Questi 200-300 insediamenti nella West Bank sono una contraddizione: si vuol dare autonomia alla Palestina, ma si vuol lasciare questi insediamenti i cui abitanti saranno cittadini israeliani! In più, mentre continua la seconda Intifada, la colonizzazione sta allargandosi. Di questo non si accenna per nulla e si usa lo spauracchio del terrorismo come una copertura. il governo israeliano non vuole avere problemi interni e conflitti con questi coloni; per questo preferisce combattere un nemico esterno.
Questa guerra in Afghanistan ha acuito il problema palestinese?
Il focolaio della Seconda Intifada è scoppiato da oltre un anno: non ci voleva Bin Laden per farla scoppiare. É anche vero che storicamente il fondamentalismo islamico contro l’occidente (e contro gli ebrei, l’America, i “cristiani” d’occidente) è nato e cresciuto soprattutto dopo la nascita dello stato d’Israele. Buttare tutto sul terrorismo e su Bin Laden mi sembra un po’ approssimativo.
Ma è ancora possibile la convivenza?
Quando hanno consegnato le città all’autorità palestinese (Jenin, Gerico, Ramallah, ecc.), per la gente era una festa. Anche i soldati ebrei erano contenti. Qualcuno ha voluto distruggere questo idillio. Adesso la strada è: il ritiro degli insediamenti ebraici dai territori; la garanzia della sicurezza per lo stato d’Israele; un controllo internazionale, dato che c’è troppo odio da entrambi i lati. Le faccio un esempio: dopo le violenze subite da alcuni miei studenti, ad opera di studenti ebrei israeliani, ho incontrato un rappresentante del ministero dell’educazione. Si lamentava dicendo che ormai non si riesce più ad organizzare nessun incontro fra studenti israeliani e arabi. Fino a poco tempo fa questo succedeva e si trattavano tematiche sulla convivenza, la reciprocità. Oggi nessuno ci crede più. Ma soprattutto nessuno riesce a trovare via d’uscita. Questa è la ferita più grande.
E i palestinesi?
I palestinesi cittadini d’Israele, anche loro rinchiusi nelle loro case, hanno paura ad andare in giro. Spesso, per non essere oggetto di sospetto, preferiscono parlare in ebraico e non in arabo. C’è questo senso di tensione. Tutti sono dominati dalle notizie della tivù, e la loro angoscia aumenta. Nei territori occupati i palestinesi sono ancora più disperati. I territori sono divenuti dei ghetti: è proibito loro di uscire, di andare a lavorare in Israele, non c’è cibo. L’economia è ormai al crollo. Anche per Israele l’economia è allo sfascio: oltre il 50% della sua industria turistica si è volatilizzata. Ma proprio per questo i due popoli vogliono tornare a una
vita normale.
I palestinesi appoggiano Hamas?
Attualmente nel mondo palestinese c’è caos e confusione. Ma i palestinesi che appoggiano Hamas sono un numero sparuto. Questo gruppo vuole addirittura riprendersi tutta la Palestina. Nessun arabo vuole arrivare a questo: è una scelta antistorica. La confusione è dovuta anche al malfunzionamento delle strutture dell’autonomia. Ma a onor del vero va detto che l’autorità palestinese non ha avuto tempo di sistemarsi e di crescere. E intanto i territori ghettizzati acuiscono la rabbia dei palestinesi. Vogliono libertà di movimento e invece sono rinchiusi in un angolo, disperati, senza più nulla da perdere. Quando uno non ha nulla da perdere, è pronto a tutto, anche alla violenza più estrema. Al contrario, uno che lavora, che sta via giorni interi per portare da mangiare ai figli, desidera solo la pace. Ma quello che il mondo deve capire è che la gente è stanca. Se alla gente si dà rispetto, diritti umani, pace, autonomia, si
può tornare a vivere bene in Israele e Palestina.
Il Papa ha proclamato un momento di preghiera e digiuno alla fine del
Ramadan. Che risposta ha avuto nel mondo israeliano ed arabo?

Sostenere l’elemento religioso è importante. Di solito si pensa che Israele sta con l’occidente e che l’occidente sia cristiano. Il gesto di digiuno del Papa esprime una vicinanza dei cristiani al mondo arabo che,
soprattutto nel caso palestinese, è il più debole. Il digiuno nelle tre grandi religioni è apprezzato per cui il messaggio può essere recepito in modo positivo.

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