Cultura
Israele, il sì dei pacifisti
Due anni fa erano scesi in piazza a Tel Aviv in 200mila per appoggiare il ritiro da Gaza deciso da Sharon. Oggi nessuno contesta il nuovo conflitto. Ecco le loro ragioni
Hanno criticato l?occupazione della Cisgiordania, l?invasione del Libano del 1982 e molte altre operazioni delle forze armate israeliane. Ma le più recenti bombe su Beirut, e l?ingresso delle truppe nel Libano controllato dall?Hezbollah, no. I pacifisti israeliani non li hanno stroncati. Domenica 16 luglio, a cinque giorni dall?inizio delle ostilità, solo in 600 hanno partecipato alla marcia contro la guerra organizzata a Tel Aviv dalla non profit Gush Shalom. Molti meno dei 200mila pacifisti di sinistra che, due anni fa, inondarono le strade della stessa città per appoggiare il ritiro da Gaza voluto da Ariel Sharon. E molto meno influenti dei pacifisti che, nell?ultima settimana, hanno levato la loro voce spiegando perché considerano questa guerra una guerra giusta. Rispetto a quelle del passato, scatenate dalle mire espansionistiche e dalle rivendicazioni territoriali, ha spiegato lo scrittore Amos Oz dalle pagine del Corriere della Sera del 18 luglio. «Questa guerra è giusta perché stavolta Israele si difende invece di invadere, e perché la vera battaglia non infuria tra Beirut e Haifa, ma tra una coalizione di nazioni in cerca di pace – Israele, il Libano, l?Egitto, la Giordania e l?Arabia Saudita – e l?Islam fanatico, alimentato da Iran e Siria».
Tanti ?ponti umani? con i palestinesi
Il giorno prima, raggiunta al telefono da Vita, anche la giornalista e scrittrice Manuela Dviri, fondatrice del progetto Saving Children per la cura di bambini palestinesi presso ospedali israeliani, aveva voluto precisare: «L?Occidente deve capire che questo attacco non fa parte del nostro diretto confronto con i palestinesi, con i quali la società civile israeliana continuerà a lavorare». Due scenari e due fronti diversi, dunque. Ma se sul primo, quello del Libano, la Dviri vede difficile tendere ponti – «Da Beirut a Gerusalemme non c?è neppure una linea telefonica diretta» – sul secondo giura che il lavoro della società civile non si è mai fermato. «L?entrata di bambini palestinesi bisognosi di cure in Israele è andata avanti anche dopo il rapimento dei soldati israeliani e la conseguente offensiva su Gaza. A tendere ponti sono esseri umani, come il mio amico Yossi Beilin, il portavoce dell?iniziativa di Ginevra. Sono sicura che in questi giorni continua a lavorare con la sua controparte palestinese».
Negoziare con Hamas resta una necessità
Controparte che, a differenza di altre volte, non ha siglato un comunicato congiunto di condanna alla guerra. Ma l?intervento del pacifista e segretario del partito di sinistra Yahad-Meretz, tra i primi a pronunciarsi, già il 13 luglio, in favore della reazione di Israele, resta interessante per capire l?attenzione che la società civile continua ad avere per il dialogo. Beilin si è dichiarato «a favore di una risposta che rafforzi la capacità di deterrenza di Israele ma ribadendo la necessità di avviare trattative per il rilascio degli ostaggi». Si tratta di distinguo sottili, e in certi casi appena sussurrati, che però pesano, eccome. Basta pensare a quanto affermato dallo scrittore Meir Shalev che, sei anni fa, aveva sostenuto il ritiro delle truppe israeliane dal Libano: «Non mi pento di quella posizione. Oggi dico che il ritiro da Gaza, un anno fa, è stato una buona cosa, ma mi sembra utopico pensare di arrivare alla pace senza dialogare con i propri nemici. Senza negoziare con Hamas, non potremo mai ritirarci definitivamente dalla Cisgiordania».
Quello che i media europei si sono affrettati a definire come il silenzio dei pacifisti israeliani, insomma, sembra più un approfondimento. Lucido e al tempo stesso drammatico. L?ha spiegato bene un altro scrittore pacifista, David Grossman, già il 14 luglio, su Repubblica: «L?intenzione dello Stato ebraico non è solo rispondere all?aggressione di Hezbollah ma creare una nuova realtà lungo la frontiera con il Libano, allontanando i guerriglieri di questo movimento che attentano ripetutamente alla sicurezza dei suoi cittadini e dell?intera regione. Tale obiettivo è logico e giustificato, per quanto la possibilità che possa essere raggiunto sia minima e i pericoli siano grandi».
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