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Emergenza penitenziaria

Isolamento, tragedia nella tragedia carceraria

In Italia, ogni 100 detenuti, sono fra 12 e 15 quelli isolati per motivi disciplinari o sanitari. L’associazione Antigone, in collaborazione con Physicians for Human Rights Israel e con un gruppo di esperti, ha pubblicato le Linee guida Internazionali sulle alternative all’isolamento penitenziario, nel tentativo di individuare delle alternative concrete. Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone: «Vorremmo che questo documento diventasse un punto di riferimento internazionale»

di Ilaria Dioguardi

Le criticità legate all’isolamento penitenziario e il massiccio ricorso a questa pratica in tutto il mondo hanno portato due anni fa Antigone, in collaborazione con Physicians for Human Rights Israel, a convocare un team di esperti per discutere dell’argomento, con l’obiettivo di individuare delle alternative concrete. Il risultato di questo lavoro è la pubblicazione delle Linee guida internazionali sulle alternative all’isolamento penitenziario, accompagnate da un Documento di contesto, presentate al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, durante il convegno “Contro l’isolamento”.

La pubblicazione affronta le ragioni dell’uso dell’isolamento nelle carceri, al quale vengono poste molti detenuti nel mondo (anche i più vulnerabili), nonostante le restrizioni. Inoltre, propone raccomandazioni per porre fine a questa pratica, che offrono alle autorità nazionali, agli amministratori delle carceri e agli operatori sanitari misure pratiche per ridurre e, infine, abolire l’isolamento.

668 provvedimenti di isolamento disciplinare

In Italia, secondo l’articolo 33 dell’Ordinamento penitenziario, l’isolamento può essere disposto per ragioni disciplinari (in caso di infrazione disciplinare), per ragioni sanitarie e giudiziarie (per le persone indagate o imputate se vi sono ragioni di cautela processuale). Il primo può avere una durata massima di 15 giorni, gli altri due hanno una durata che dipende dalle specifiche esigenze di salute e di giustizia. Secondo i dati del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, dall’1 gennaio al 23 aprile 2024 sono stati disposti 668 provvedimenti di isolamento disciplinare.

«Oltre a quelle previste dalla legge, in carcere si riscontrano altre numerose situazioni di isolamento de facto», ha spiegato Alessio Scandurra, Osservatorio sulle condizioni di detenzione Antigone. Un esempio: persone considerate vulnerabili, a causa del reato per cui sono detenute o per via di disturbi comportamentali e psichiatrici che rendono difficile la loro convivenza con gli altri, vengono poste in situazioni di isolamento. «In Italia ogni 100 detenuti», ha proseguito Scandurra,»il numero di persone in isolamento oscilla tra le 12 e le 15».

22 ore al giorno, per 15 giorni

«L’isolamento penitenziario ci permette di riflettere su una serie di temi, quali l’uso della forza, l’uso del sistema disciplinare, le torture, la salute psichica, la salute in generale. E ancora: la gestione delle situazioni difficili, con il conseguente tema della formazione del personale, la gestione delle categorie che consideriamo vulnerabili, il tema dei diritti fondamentali», ha detto Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone. «L’isolamento viene usato in tutto il mondo. Dopo 22 ore al giorno e più senza significativi contatti umani, dopo 15 giorni, secondo la letteratura scientifica gli effetti sono dannosi e irreversibili. Quello che speriamo di fare con questo documento è proporre l’uso di alternative all’isolamento penitenziario e vorremmo che diventasse un punto di riferimento internazionale».

Standard internazionali come le Mandela Rules (le regole penitenziarie definite dall’Onu) individuano proprio in 22 ore quotidiane la soglia superata la quale, in assenza di interazioni umane significative, si può parlare di isolamento e stabiliscono la soglia dei 15 giorni come termine da non oltrepassare in nessun caso, che corrisponde al termine massimo previsto in Italia.

L’isolamento aumenta i rischi di violazioni dei diritti umani

Durante il 2023, su un totale di 70 suicidi, almeno 11 persone si sono tolte la vita in una cella di isolamento (dati Ventesimo Rapporto sulle condizioni di detenzione). «Al fine di ridurre ed abolire l’utilizzo dell’isolamento in carcere, un passo necessario è quello di denunciarne le modalità di attuazione e l’impatto che ha sulle persone detenute. La libertà di movimento e la facoltà di comunicare con l’esterno delle persone detenute sono sottoposte a diverse limitazioni, tanto più nel caso delle persone in isolamento», si legge nel Documento di contesto.

Le Mandela Rules individuano in 22 ore quotidiane la soglia superata la quale, in assenza di interazioni umane significative, si può parlare di isolamento e stabiliscono la soglia dei 15 giorni come termine da non oltrepassare

«Il ricorso all’isolamento, unitamente alle limitazioni citate, aumenta i rischi che si verifichino violazioni dei diritti umani ai danni delle persone private della libertà. Si configura, pertanto, la necessità di un quadro normativo solido, coordinato e dinamico contenente indicazioni afferenti la documentazione, il monitoraggio e la supervisione delle suddette pratiche, al fine di garantire il benessere e la sicurezza di coloro che dipendono completamente da altri e non hanno a disposizione gli strumenti che consentano loro di difendersi da soli. Spesso accade che i sistemi penitenziari non documentino accuratamente le ragioni che conducono all’utilizzo dell’isolamento o le condizioni della sua applicazione». Un’altra categoria di persone detenute sanzionate con l’isolamento disciplinare – spesso perché non riescono ad integrarsi alla vita penitenziaria – sono i soggetti con disabilità mentale o affetti da disagio psichico. Entrambe condizioni che secondo il diritto internazionale dei diritti umani sarebbero incompatibili con l’isolamento.

La tendenza all’esclusione

«Le linee guida come percorso, al di là del tema specifico, sono esemplari. Andare a vedere le situazioni, analizzare le caratteristiche comuni attorno a un tema,e da quello pensare come fare delle linee guida, come cambiare quel tema. Di solito, nelle centinaia di organismi internazionali in cui sono stato, si fa sempre il contrario. Questa è una questione di metodo», ha affermato Mauro Palma, presidente European Penological Center Università Roma Tre. «Rispetto alla questione dell’isolamento, ci sono degli elementi che mi preme sottolineare. Quando c’è una difficoltà, si esclude, si separa la persona. Questa è una vecchia idea che c’è sempre stata anche nelle strutture manicomiali, di portare le persone in un luogo particolare. Questo non risolve niente e crea maggiore conflittualità, anche laddove l’isolamento non fosse farcito di altri elementi che sono luoghi molti distanti, in cui si è a rischio maltrattamento».

Durante il 2023, su un totale di 70 suicidi, almeno 11 persone si sono tolte la vita in una cella di isolamento

«Siamo passati per l’abolizione del manicomio, per l’abolizione delle classi differenziali. Ora c’è una tendenza sempre maggiore all’esclusione, si tende a pensare che escludere sia la forma per affrontare le difficoltà. La tendenza all’esclusione si manifesta in molte forme, c’è una deriva grave che rende ancora più difficile un discorso contro l’isolamento. Ma l’intervento deve essere individualizzato, separare deve essere sempre in un contesto relazionale». Mauro Palma ha detto anche che «bisogna riflettere su un altro punto: non ci può essere un accumulo punitivo. E un’altra questione da considerare è che sono dei luoghi che hanno degli effetti sulla psicologia individuale», ha affermato Palma. «Il rifiuto della pena corporale, nella società occidentale c’è da sempre, ma non significa solo che non tagliamo le mani. Bisogna anche vedere se quello che facciamo determina poi un annientamento per la persona in quanto tale. A volte, la deprivazione sensoriale che si ha nell’isolamento, e il senso di essere alla mercè di altre situazioni, lo determina».

Dal diritto all’affettività alle telefonate

«L’attività di noi cappellani non ha più una connotazione confessionale, in carcere. Siamo a tutela dei diritti umani dei detenuti», ha detto Moreno Versolato, cappellano della Casa circondariale di Rebibbia. «Negli ultimi tempi, c’è una grande diminuzione dei volontari in carcere. Le motivazioni sono il troppo viavai di gente e il numero basso di agenti che possono garantire la sicurezza. Penso che non esista la possibilità di riabilitazione quando si è privati delle libertà fondamentali. Ad esempio, perché non c’è il diritto all’affettività? (VITA ne parlò QUI, ndr). Perchè in altri Paesi europei i detenuti hanno il telefono in cella e in Italia non è possibile?». Franz Roemisch, già direttore esecutivo Colorado Department of Corrections, ha raccontato come si possa evitare che la carcerazione tramite isolamento sia disumana, fatta di torture. Roemisch ha raccontato come, sotto la sua direzione, nell’istituto penitenziario si sia attuato un Residential Treatment Program. L’obiettivo del suo lavoro è stato quello di «ridurre l’isolamento in generale, farvi ricorso per un periodo di tempo determinato e non indefinito, modificare il modo in cui gli agenti interagiscono con i detenuti. Il messaggio fondamentale della mia esperienza è questo: le cose possono essere cambiate». 

Foto di apertura di Emiliano Bar su Unsplash


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