Politica

Islam italiano. Le ragioni di un fallimento Questa consulta in stile Bruno Vespa

L’hanno pensata come una specie di «Porta a porta» recitato da pochi e per pochi, bizzarramente arruolati a beneficio di contrapposizioni mediatiche. Così vince la solita inerzia. Quando invece...

di Paolo Branca

Costituire una Commissione per venire a capo di qualche problema, da che mondo è mondo e un po? dappertutto – ma soprattutto in Italia negli ultimi tempi – può destare più legittime perplessità che ragionevoli speranze? La Consulta per l?Islam non ha fatto eccezione, sia all?atto del suo insediamento e nel primo periodo delle sue attività sotto il precedente e robusto governo, sia col successivo debole e recentemente decaduto esecutivo. Qualsiasi strumento, per essere efficace, dovrebbe venir progettato ad hoc per l?uso che se ne vuole fare: non si fabbricano – ad esempio – sottomarini per farli volare (magari ci si può anche riuscire, ma con sforzi e spese tali da rendere l?impresa improponibile, a meno che non si intenda espressamente mettere in atto un?impresa demenziale).

La composizione, le funzioni e la gestione di questo organismo lo han portato a riprodurre su scala ridotta le problematiche che affliggono in generale da sempre il variegato panorama dell?islam nostrano: grande frammentazione, scarsa rappresentatività, conflittualità tra varie sigle, opposizioni ideologiche e via dicendo. Da quanto se ne è potuto sapere, la Consulta è stata una specie di «Porta a porta» recitato da pochi e per pochi, bizzarramente arruolati a beneficio di polemiche mediatiche molto lontane dal vissuto reale delle comunità e di scarso effetto per la società che le ospita: le une e l?altra si son viste tutt?al più riprodotte nelle loro logiche inadeguate e nelle riserve mentali che le hanno finora paralizzate, dilatando un generale sentimento d?impotenza che già pervade molti altri settori dello scenario nazionale. Lo scollamento tra le istituzioni e il Paese reale si è riprodotto ancora una volta, a dispetto delle intenzioni che almeno in alcuni sono state sicuramente nobili, affiancate talvolta da innegabili competenze.

La Carta dei valori recentemente messa a punto da un comitato scientifico ha visto impegnati, ad esempio, alcuni esperti di indubbia capacità e degni di fiducia. Quel che non si riesce a comprendere è se davvero la cosa di cui c?era maggiormente bisogno fosse proprio un?ennesima dichiarazione di principi. Una delle più grandi forze che agiscono nella storia – come fa dire Tolstoj a uno dei personaggi di Guerra e Pace – è la forza d?inerzia. Per rimediare a questa tendenza occorrerebbe investire in progetti veramente innovativi, che partano dal basso valorizzando le energie che già si trovano sul terreno, fortemente collegati con il vissuto quotidiano dei singoli e delle collettività e capaci di dare una soluzione rapida ed efficace a situazioni concrete. Il successo di queste iniziative rappresenterebbe un modello a cui altri potrebbero ispirarsi per moltiplicare gli esiti di buone pratiche a livello più generale. Vi sembra poco? Non è forse quello che ogni giorno facciamo per mandare avanti le nostre famiglie, progettare attività di studio o di lavoro, praticare sport, hobby o qualsiasi altra cosa? Perché mai i macro problemi dovrebbero essere gestiti in base a criteri diversi dal semplice buon senso, dalla sperimentazione che si sviluppa dal piccolo al grande mediante un processo per prove ed errori?

L?homo islamicus di tipo A o tipo B di cui si discute non verrà prodotto da nessun laboratorio, né tantomeno da alcuna ideologia politicamente corretta. Quello che già cammina tra noi è facilmente di un modello che non rientra in nessuno dei due, probabilmente meno definibile di quanto si vorrebbe (e che ci auguriamo non debba rientrare a tutti i costi nel fantomatico cliché del ?musulmano moderato?, qualsiasi cosa si voglia intendere con questa espressione), sicuramente dotato di caratteristiche e potenzialità che vanno ben oltre ogni tipo di teoria? ma il suo guaio è che appunto cammina nel mondo reale e non sta seduto in nessuna commissione.

IL CASO
Quella moschea di Padova.«Il dialogo per una convivenza reale tra persone di fedi diverse non può essere fatto a colpi di sì o no, ma di gesti quotidiani e pazienti». Sul Mattino il 25 aprile è apparso l?intervento di uno dei personaggi più noti nella Padova cattolica, Graziano Debellini, leader regionale di Cl. Opponendosi al referendum sulla moschea di via Longhin, Debellini ricorda la risposta di Paolo VI a chi si opponeva alla grande moschea nella capitale: la Roma «onde Cristo è romano», è anche la Roma dove tutti devono avere la possibilità di parlare e di esprimersi.

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