Cultura

Islam-cristiani, quella mancata reciprocit

Troppi paesi musulmani tengono al bando le chiese con la connivenza delle grandi potenze occidentali che giocano su due tavoli. E lasciano che a pagare il prezzo più alto siano sempre gli stessi

di Padre Giulio Albanese

«Non credo in Dio perché tutto va bene, ma siccome credo in Dio, credo che in tutto c?è un bene nascosto che prima o poi verrà a galla». Queste toccanti parole furono scritte lo scorso anno da don Andrea Santoro per il primo numero di Aesse, la rivista mensile delle Acli nazionali ,le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. La sua fu davvero una testimonianza straordinaria, pur nel nascondimento di una missione ignota, distante dai riflettori. Ed è proprio in questa prospettiva che ognuno di noi, credente e non credente, dovrebbe rilegge il suo martirio. «Se non vogliamo sprecare una tragedia o una morte», sono testuali parole tratte dall?articolo di don Andrea, «o seppellire sotto le parole eventi dolorosi privati o pubblici, dobbiamo sempre daccapo chiederci: dove stiamo andando?».

Non v?è dubbio che le chiese cristiane nei paesi islamici sono particolarmente provate in questo scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, vivendo in condizioni di frontiera. Come dimenticare le uccisioni in Algeria di padre Henri Vergès, di 64 anni, e suor Paule-Hélène Saint-Raymond, di 67 anni, freddati nel 1994 mentre uscivano dalla biblioteca cattolica nella Casbah, messa a disposizione dall?arcivescovo di Algeri, dove svolgevano il loro servizio in favore dei giovani. E sempre lo stesso anno nella città algerina di Tizi Ouzo quattro missionari dei Padri Bianchi (tre francesi e un belga) furono brutalmente uccisi il 27 dicembre 1994. Il 3 settembre del 95, due religiose vennero assassinate ad Algeri: suor Bibiane Leclerc e suor Angèle-Marie Littlejohn, rispettivamente di 65 e 62 anni. Entrambe vivevano ad Algeri dal 1964. Per non parlare di monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano, ucciso con una bomba il primo agosto del 1996, insieme al suo autista.

Il presule aveva dedicato la sua vita a favorire il dialogo fra islam e cristianesimo, al punto da essere conosciuto come il ?vescovo dei musulmani?, avendo studiato in profondità la tradizione coranica; tanto che, a quanto riportava il britannico The Tablet del 10 agosto 96, gli stessi musulmani lo consultavano in materia. E la lista di queste vittime è molto lunga se si pensa al martirio, sempre in Algeria nel 99, dei sette trappisti di Tibehirini o al massacro in terra pachistana, il 28 ottobre 2001 nella chiesa di Bahawalpur, in cui vennero uccisi a fucilate 18 cristiani.

Queste crudeli mattanze si sono acuite, dopo l?11 settembre 2001, in altre regioni del mondo arabo, soprattutto tra il Tigri e l?Eufrate dove le chiese cristiane sono state ripetutamente bersaglio di azioni terroristiche. D?altronde la propaganda islamica sfrutta volentieri una diffusa moda anticolonialista e terzomondista per avere presa sulle masse che soffrono spesso di arretratezza e sfruttamento, e dunque di frustrazione. Si tratta di un?apologetica, difensiva e aggressiva, abilmente sfruttata dai movimenti estremistici attraverso soprattutto i mezzi d?informazione; un genere di propaganda che certamente non giova al dialogo e alla tolleranza. Le televisioni arabe, in particolare, grazie ai petrodollari sauditi, non fanno altro che veicolare messaggi che giovano alla causa degli estremisti. Pertanto, per chi crede nella pace, lo sforzo deve essere profuso nel coagulare insieme quelle menti libere del mondo islamico che avvertono il bisogno di un confronto sereno nel contesto più generale del villaggio globale e in particolare nelle relazioni con l?Occidente.

In questi anni, non dimentichiamolo, vi sono stati nei paesi islamici dei coraggiosi tentativi di riforma per accogliere la modernità nei suoi molteplici aspetti: il pensiero critico-scientifico, il riconoscimento dei diritti umani universali, lo sviluppo di istituzioni democratiche? Non pochi intellettuali musulmani hanno avvertito l?esigenza di una profonda riforma all?interno dell?islam. Sono loro che temerariamente hanno pubblicato le prime riletture critiche sulle fonti, a partire dal sacro Corano.

A questo riguardo, non v?è dubbio che i governi occidentali sono chiamati a una maggiore coerenza, smettendola ad esempio di allearsi con questo o con quello Stato arabo solo e unicamente per interessi economici, senza richiedere come condizione il rispetto dei diritti umani. E sempre a proposito di libertà religiosa, va ricordato che viene sistematicamente ignorato dai nostri politici il principio di ?reciprocità? nelle relazioni tra islam e cristianesimo, vale a dire il reciproco impegno a consentire luoghi di culto musulmani in Europa e cristiani in Medio Oriente. È curioso, ad esempio, che la diplomazia occidentale benedica sempre e comunque il governo egiziano chiudendo gli occhi sul fatto che in quel paese nessun sindaco di città né di villaggio può essere cristiano; le alte cariche dell?esercito, della polizia, della guardia presidenziale sono unicamente appannaggio dei musulmani; in un qualsiasi ufficio, pubblico e privato, i musulmani avanzano nella carriera a scapito dei cristiani ai quali vengono misconosciuti gli scatti d?anzianità e le più elementari regole di tutela aziendale.

Cosa dire poi degli Usa che intrattengano relazioni commerciali con l?Arabia Saudita sapendo bene che la casa reale wahabita finanzia l?ideologia fondamentalista salafita in tutti i paesi musulmani? Se è necessaria una revisione critica del pregiudizio occidentale nei confronti del mondo musulmano, non è meno urgente una speculare inversione che porti l?islam a rispettare i valori di altri tipi di culture. Perché allora non inventare nuove forme di cooperazione culturale tra Oriente e Occidente all?insegna di programmi che possano consentire agli studenti arabi di avere una percezione diversa della modernità?

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