Cultura
Iseppi: «Il buon turismo non si crea per legge»
Il presidente del Touring Club: «Per far sì che la sostenibilità contagi l’intero comparto non bastano norme e divieti: occorre in primis “educare” i viaggiatori. E qui il non profit è decisivo»
di Redazione
Quando si parla di vacanza il suo sguardo atterra su due località ben precise: Lerici e Nizza. «Adoro il mare d’inverno, anche se lo frequento solo d’estate». Ma se gli chiedete qual è, dopo aver girato il mondo in lungo e in largo, il viaggio da sogno che non ha ancora fatto, vi riporterà lungo tutti i 7.500 chilometri di costa italiana, ma non tanto e non solo per il mare, ma per quello che si incontra prima di arrivare a spiagge e ombrelloni. «Il futuro del nostro turismo dipenderà dalla capacità di mettere in relazione i litorali, con le aree interne», spiega Franco Iseppi, appassionato presidente del Touring Club Italiano, anche perché «la figura del viaggiatore sta soppiantando quella del turista classico». La differenza? «Il secondo punta alla meta, spesso sempre la stessa: il mare, la montagna, il lago e così via». Per il primo invece «la meta è quasi superflua, conta l’esperienza, la soddisfazione di bisogni culturali, l’incontro, la scoperta o la verifica delle ipotesi di partenza».
Partiamo da qui: come far diventare “di massa” questo modello turistico leggero e ad alto impatto sociale?
Ci sono due approcci possibili alla questione che vanno tenuti in considerazione parallelamente. Da una parte occorre guardare l’offerta, ovvero i territori e con essi gli operatori che vi lavorano. I fenomeni ormai sempre più evidenti di overtourism che stanno contagiando un numero crescente di destinazioni in Italia e nel mondo impongono una riflessione. Noi crediamo che sia ormai giunto il momento di orientarsi verso un nuovo e più complesso concetto di sostenibilità, rivedendo di fatto le abituali distinzioni in ambientale, economica e sociale per adottare una visione integrata di “sostenibilità territoriale”: solo l’equilibrio di queste tre componenti — che si ritrovano a livello di destinazione — può garantire infatti uno sviluppo durevole. Caso studio esemplare, in termini di sostenibilità dello sviluppo, è sicuramente quello di Venezia di cui molto si scrive e si è scritto e che rappresenta tuttora una criticità emblematica. Le soluzioni non sono facili ma occorre considerare che — come spesso emerge, invece, dai media — non possono essere soltanto “tecniche” (introduzione di ticket, di divieti a sedersi e a consumare per strada ecc.) ma anche “politiche” e dovrebbero riguardare: la formazione/responsabilizza- zione dei visitatori, il ripensamento di ciò che la città può offrire in termini di attrattori ridisegnando i percorsi turistici attraverso strumenti fisici e digitali (es. segnaletica), la messa a sistema degli operatori (attraverso le card turistiche) e l’ottimizzazione degli strumenti fiscali che permettano di investire su progetti specifici per la città e di comunicare all’esterno quanto si può fare con l’aiuto dei turisti. Occorre agire dunque anche sulla domanda. Un turismo più responsabile, consapevole e sostenibile — in una parola più etico — non può essere imposto, va spiegato, fatto capire. Va detto che oggi non partiamo da zero. I turisti devono essere formati al viaggio questo perché spesso il viaggiatore me- dio non è consapevole della fragilità dei luoghi in cui si reca rendendosi necessaria un’azione educativa mirata. Infine, ci sono energie positive sui territori che possono essere utilizzate per contenere e per stimolare un rapporto migliore con gli ospiti anche in ottica di sostenibilità: il volontariato è certa- mente uno degli strumenti a disposi- zione. Ci sono esempi significativi a questo proposito: il volontariato culturale del Touring, con il progetto Aperti per Voi, permette di far conoscere attraverso l’impegno dei residenti luoghi meno noti di alcune importanti città favorendo una politica di ridistribuzione dei flussi. Altro modello adottato a Milano in occasione di Expo è quello di far diventare i residenti ambasciatori o “angeli custodi” dei turisti: l’iniziativa Volontari Energia per Milano ha permesso di reclutare alcune centinaia di cittadini disposti a dare informazioni ai turisti in città su mobilità, servizi di pubblica utilità, luoghi principali, aiutandoli a orientarsi nella visita.
Come va interpretato l’affaccio su questo tipo di mercato turistico di alcuni colossi del web come Airbnb o Booking. C’è da essere preoccupati?
Negli ultimi decenni, il turismo è stato uno dei principali luoghi in cui si sono sperimentati gli effetti dell’economia digitale. Un dato è esemplificativo a questo proposito: ben il 60% dei cittadini europei utilizza l’e-commerce nella vita quotidiana e il secondo settore di riferimento, dopo l’abbigliamento, è proprio il turismo. Ciò ha rivoluzionato l’intera filiera dando grande spazio alle piattaforme digitali di intermediazione dell’offerta. In anni più recenti, il mondo delle vacanze è stato uno dei principali luoghi di sperimentazione anche della cosiddetta sharing economy che in poco tempo ha contribuito a ridefinire ancora una volta gli equilibri della filiera. Al di là delle questioni più tecniche, è importante sottolineare qual è stata la chiave del successo di queste piattaforme: vivere un’esperienza di immersione nella comunità ospitante, negando dunque la dimensione tradizionale del fare turismo rappresentata dallo standard alberghiero. Si è cavalcato in modo innovativo ed estremamente efficace un bisogno cui l’offerta tradizionale non era riuscita a rispondere. In que- sto senso, dunque, il giudizio è positivo perché si è promosso un modo diverso di fare turismo, portando i flussi in aree e destinazioni privi di ricettività stimolando anche una microeconomia locale altrimenti inesistente. D’altra parte non sono mancati gli effetti negativi, soprattutto in considerazione del fatto che l’impatto di queste piattaforme si è prevalentemente avuto nelle località più note dove hanno moltiplicato improvvisamente la disponibilità di posti letto e attirato una quantità di turismo ancora superiore con le conseguenze che conosciamo.
Quale è su questi temi l’approccio dell’ente pubblico, dal ministero in giù? Esistono politiche pubbliche di valorizzazione del turismo sostenibile?
Occorre richiamare qui l’ultimo atto forte a livello centrale in tema turistico che purtroppo è ormai di qualche anno fa: sto parlando del Piano Strategico del Turismo 2017-2022 elaborato sotto il ministero di Dario Franceschini. Il Touring Club Italiano ne ha salutato favorevolmente l’approvazione sia per il risultato in sé — è sempre positivo dotarsi di uno strumento strategico per orientare le scelte e non navigare a vista come è successo per troppo tempo al turismo nostrano — sia per una serie di meriti che a nostro avviso ha il Piano. Comincio dal dire che il metodo inaugurato per la sua elaborazione ha rappresentato un cambio di passo importante. Il Piano non nasce dal nulla, è stato il risultato di un percorso di concertazione con tutti gli attori che operano nel settore, dai territori alle associazioni che a vario titolo sono portatrici di interessi. Altro elemento importante da sottolineare è l’attenzione posta ai territori anche nei contenuti: l’adozione della sostenibilità dello sviluppo come principio trasversale, si traduce infatti in linee di intervento che hanno per oggetto i territori stessi, ovvero i luoghi dove il turismo si mani- festa concretamente. La visione che emerge dal Piano, dunque, è quella di un settore che può diventare un fattore vero di sviluppo per il Paese: si pone infatti degli obiettivi, ambiziosi, che sono pensati in funzione della vocazione dei nostri tanti e diversi territori, per valorizzarli e non snaturarli. Ciò è tanto più importante se si considera che gli Stati sono sempre più influenzati nelle politiche interne sia dalle istituzioni sovranazionali sia dal potere economico delle multinazionali che non rendono automatici l’affermazione e il perseguimento delle proprie “vocazioni”. Così, nel turismo, è facile cedere alla tentazione di omologare un prodotto o una destinazione per guadagnare quote di mercato, più difficile decidere di competere in un contesto globale, con regole globali ma non rinunciando alla propria identità, ovvero intraprendendo una via italiana al turismo.
Ci sono dei modelli, magari stranieri, a cui ispirarsi?
Voglio citare un esempio che certamente non è esaustivo ma che trovo significativo perché simbolico: quello dei Cammini. E questo non per dire semplicemente che all’estero (con il Cammino di Santiago o con la via Francigena) altri Paesi hanno fatto meglio di quanto abbiamo finora fatto noi ma per mettere in evidenza come la valorizzazione e l’estensione di questa rete sia un modo contemporaneo di fare turismo. In primo luogo perchè intercetta una domanda di turismo alternativo, lento, utile a riscoprire i diversi territori sotto una prospettiva differente. In secondo luogo perché i Cammini hanno caratteristiche di transnazionalità, uniscono i territori e costituiscono idee forti di prodotto attorno alle quali si “addensano” specifiche motivazioni di viaggio…
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