Diciamolo francamente: uno dei temi di angoscia in molte famiglie italiane, soprattutto in quelle che vedono nel proprio nucleo una persona con disabilità non autosufficiente, o un anziano nella medesima situazione di necessità di accedere a servizi sociosanitari, è rappresentato dall’entrata in vigore dell’Isee, ovvero il famoso o famigerato Indicatore della Situazione Economica Equivalente. Il regolamento di attuazione è stato di recente approvato dal Governo e sia pure lentamente la macchina della sua possibile applicazione a livello territoriale si è messa in moto. In molti ci stanno mettendo la testa e le competenze, spesso con grande buona volontà, almeno per cercare di limitare le conseguenze più dannose rispetto alle effettive esigenze delle persone e delle famiglie, convinte (spesso non a torto) che andranno incontro a più spesa familiare e meno servizi garantiti dal welfare pubblico.
Non mi addentro nella materia dal punto di vista tecnico, e rimando i lettori all’ampia e documentatissima analisi svolta da Carlo Giacobini, consultabile e scaricabile a questo indirizzo del sito www.handylex.org . Molte domande trovano una risposta, per fortuna, ma il margine di ambiguità, nei criteri applicativi, è assai elevato. E non solo perché per la prima volta non è contemplato solo l’Isee individuale (per le persone con disabilità), ma quello familiare. Quello che mi preoccupa è il clima da caccia alle streghe nel quale questo provvedimento si sta inserendo.
Mi sembra di rivedere il film della caccia ai falsi invalidi. Ora lo scenario potrebbe dilatarsi all’intera gamma dei servizi sociosanitari e delle agevolazioni (poche peraltro) delle quali fino ad oggi “godono” le persone con disabilità. L’opinione pubblica è continuamente bersagliata da messaggi niente affatto subliminali, ma espliciti: c’è tanta gente (si vede e si sente in televisione, si legge sui giornali) che riceve prestazioni gratuite quando potrebbe benissimo pagarsele. Con i soldi risparmiati – è il ragionamento diffuso a livello popolare – si potrebbero dare molti più servizi a “chi ne ha veramente bisogno”. Se oggi facessimo un referendum (speriamo di no), sono quasi sicuro che calerebbe la mannaia su quasi tutte le prestazioni pubbliche di welfare, compresa l’indennità di accompagnamento. E’ troppo debole la voce di chi con dignità chiede semplicemente il rispetto delle leggi vigenti, e vuole vivere alla pari, compensando, per quanto possibile, lo svantaggio dell’handicap fisico, sensoriale, o intellettivo. Molto più forte e diffuso il luogo comune, demagogico e di grande effetto, connesso ai racconti di truffe, di abusi, di dichiarazioni false, e così via.
In tempi di crisi prevale l’atteggiamento da “homo homini lupus”. O della guerra tra poveri. Ho paura che si annuncino mesi difficili per tutte le persone di buona volontà e di competenza indubbia che stanno cercando di applicare con razionalità e saggezza norme complicate, farraginose, e difficili persino da applicare alla lettera.
Ma c’è un aspetto, micidiale, sul quale vorrei che si avviasse una riflessione onesta e sincera, anche a livello di opinion makers, di grandi nomi del giornalismo e dell’intrattenimento da talk show. Possibile, mi domando, che nessuno veda la trave dell’evasione fiscale mastodontica di questo Paese? Del lavoro nero? Dei patrimoni non dichiarati? Degli imprenditori che dichiarano un reddito inferiore a quello dei dipendenti? Come possiamo immaginare un sistema equo di prestazioni sociosanitarie e di agevolazioni se fin da adesso siamo certi di una sola cosa: le dichiarazioni ISEE delle famiglie saranno sicuramente penalizzanti per tutti coloro che hanno redditi fissi da lavoro dipendente o da pensione pubblica. Rischieranno di uscire dai benefici persino le famiglie che oculatamente hanno investito sulla casa come bene rifugio e come sicurezza per i propri figli non autosufficienti. Risulteranno “ricchi” cittadini che hanno il solo torto di pagare le tasse fino all’ultimo centesimo. Questa è l’unica certezza, sperequativa, che oggi possiamo ragionevolmente condividere.
In queste settimane sento parlare di ogni possibile provvedimento, ma nemmeno una parola per denunciare l’assurdità di un Paese che vuole parametrare i servizi destinati ai propri cittadini più fragili ragionando come se fossimo in Svezia o in Norvegia, e non piuttosto in Italia, dove l’evasione fiscale si somma al deficit della spesa pubblica nel renderci del tutto inaffidabili, non solo in Europa, ma pure a noi stessi.
Ci vorrebbe una moratoria, almeno di un paio d’anni, per ripensare seriamente l’intero meccanismo. Se vogliamo riformare tutti gli istituti, anche di tipo previdenziale e assistenziale, dobbiamo farlo mettendo prima di tutto in sicurezza la vita delle famiglie qui e adesso. Prima che sia troppo tardi.
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