Sustainability Portraits
La sostenibilità non si improvvisa
«Parlo anche da mamma quando dico che questo lavoro mi dà l’opportunità di poter dare il mio contributo per i miei figli e quelli degli altri». La rubrica di VITA riparte con l’entusiasmo e la competenza di Irene Checchi di Emil Banca, che sottolinea il valore della governance
Per creare una buona sostenibilità sociale in azienda non basta la generosità. E nemmeno una lunga tradizione di radicamento sul territorio e di attenzione alle persone. Sono tutti elementi necessari, ma occorre anche una governance capace di orientare le strategie al domani. I dialoghi di VITA con i manager della sostenibilità delle più importanti aziende italiane ripartono nel 2024 con Irene Checchi di Emil Banca. Il suo percorso professionale, da cui sempre prende le mosse questa rubrica, è andato di pari passo con la “sistematizzazione” della strategia di sostenibilità della banca di credito cooperativo emiliana nella quale ricopre, appunto, il ruolo di responsabile sostenibilità e benessere delle persone.
Quali sono stati i suoi primi passi professionali?
Ho una formazione prevalentemente umanistica e sono laureata in scienze dell’educazione. Dopo gli studi mi sono specializzata nella gestione delle risorse umane, prima in una società di consulenza e, dal 2005, in banca.
Quando è arrivata ad occuparsi di sostenibilità?
Ci sono stati vari passaggi. Dopo circa dodici anni, ero appena diventata mamma, ho avuto l’opportunità di sperimentarmi in ruoli più legati al business, ricoprendo il ruolo di vicedirettrice di filiale. Un’esperienza fondamentale, che mi ha dato una visione sulle dinamiche del rapporto con il cliente.
E poi?
Dopo circa tre anni, la direzione generale di allora mi ha chiesto di prendere le redini di un progetto di lungo termine dedicato al marketing territoriale. L’orizzonte si è poi nuovamente ampliato, fino ad abbracciare la strategia di sostenibilità della banca, che necessitava di essere sistematizzata.
Non è un compito che si improvvisa.
È tornata utile la formazione umanistica, perché la sostenibilità in azienda non si può fare se non attraverso la collaborazione tra le persone.
Ma, in effetti non bastava, e mi sono formata con due diversi master che la banca mi ha dato l’opportunità di fare: uno presso Altis Università Cattolica e l’altro alla Scuola di economia civile di Firenze, grazie ai quali ho potuto approfondire metodologie, processi e visione etica di un percorso di sostenibilità.
Oggi come siete organizzati?
Dopo vari altri passaggi e decisioni organizzative importanti, siamo approdati alla struttura di oggi, dedicata all’area Sostenibilità e benessere delle persone.
Sono tanti aspetti della vita aziendale insieme.
Non dovevamo stravolgere le logiche aziendali, ma raccogliere e coordinare l’eredità importante di un percorso già in atto da anni. In una banca di credito cooperativo la sostenibilità è citata nello statuto, appartiene alla sua stessa identità. La “mia” e nostra sfida è stata quella di creare le interconnessioni tra le iniziative già esistenti con un orientamento ancora più strategico sul lungo periodo.
Una questione di governance, in sostanza?
Esatto. Con il comitato di sostenibilità, formato da alcuni membri del consiglio di amministrazione, abbiamo anzitutto cercato di chiarire i termini: per noi la sostenibilità è tale se è integrata in tutti i processi aziendali.
Il nostro primo piano di sostenibilità, pubblicato a fine 2020, lo abbiamo costruito dal basso, chiedendo e accompagnando ciascun responsabile delle diverse unità organizzative a contribuire con un’auto assegnazione di obiettivi e relativi indicatori. Così sono emersi sia gli elementi di sostenibilità “inconscia”, cioè già in linea con gli obiettivi dati, sia quelli da trasformare.
Chi vi ha aiutato?
Abbiamo creato un gruppo operativo formato da responsabili di vari uffici e da colleghi volontari che si sono proposti come ambasciatori della sostenibilità in azienda, dandoci una mano a sintonizzare le antenne verso l’interno e verso l’esterno.
Che ruolo hanno i vertici aziendali in un percorso del genere?
Se già da due anni a questa parte il piano di sostenibilità è integrato nel piano strategico della banca è perché il Consiglio di amministrazione ha accettato la sfida di legare lo sviluppo della banca agli obiettivi di sostenibilità, comprendendone a fondo opportunità e sfide.
Su quali fronti vi impegna questo programma?
Da qui ai prossimi anni, sarà pregnante il lavoro nelle aree interne più svantaggiate del nostro territorio, dove le Bcc, per storia, sono presenti e mantengono un ruolo importante di supporto al tessuto economico e sociale. Ci impegnerà molto anche il supporto alle piccole e medie aziende, affinché il tema della sostenibilità venga colto dagli imprenditori come un’opportunità.
Sul fronte interno?
Abbiamo rafforzato le attività formative per le nostre persone proprio per poter contribuire esternamente alla consapevolezza delle imprese su quanto sia importante un adeguamento alle tematiche della sostenibilità per rimanere sul mercato: come è noto le nuove normative sulla rendicontazione ora riguardano i capofila ma a cascata coinvolgeranno le Pmi che sono il nostro target principale a livello di clienti imprese.
Quali attività avete svolto?
Per i nostri gestori corporate e i responsabili delle filiali più strutturate, un Master sulla sostenibilità alla Bologna business school. Dal lato degli investimenti, a tutti i colleghi specializzati in ambito titoli che hanno acquisito la certificazione European financial advisor, abbiamo fatto acquisire anche la certificazione Esg advisor, a sottolineare l’importanza che diamo in termini di competenze su queste tematiche.
Per quanto riguarda i vostri investimenti?
Gli indicatori di sostenibilità sono presenti nel piano strategico, in quello commerciale e negli obiettivi di budget delle filiali: al 31 dicembre 2023, la percentuale di fondi Esg sul totale fondi collocati dalla banca è del 91%, quando l’obiettivo che ci eravamo dati era del 70%.
Come spiega questo exploit?
Da una parte, la revisione del catalogo prodotti sta portando a una focalizzazione sui fondi Esg, dall’altra siamo convinti che la formazione delle nostre persone stia portando a una maggiore cultura e consapevolezza per i nostri clienti. Sempre più sono coloro che vogliono comprendere questi temi, per poter scegliere prodotti finanziari realmente sostenibili.
Passiamo alla “Esse” di social, che in questa rubrica non può mancare: ci dia un numero e un progetto.
Per i prestiti al Terzo settore abbiamo superato del 131% il target che ci eravamo dati. Il progetto realizzato è quello della certificazione della parità di genere, acquisita lo scorso giugno. La consideriamo un punto di partenza per guidare un vero e proprio cambiamento. Gli obiettivi che ci siamo impegnati a raggiungere includono la flessibilità, i permessi retribuiti per genitori e caregiver, l’equità salariale, la selezione e lo sviluppo professionale.
Riguardo al territorio?
La nostra banca opera in tutto il territorio dell’Emilia, dal piacentino a Ferrara ed è presente come istituzione economica di un certo peso in tanti piccoli e piccolissimi centri, spesso in solitaria. In questo contesto si inserisce l’attività dei Comitati locali, composti da gruppi di soci che ci aiutano a intercettare le esigenze reali di associazioni, scuole, realtà parrocchiali e culturali della loro zona. I Comitati sono 33, animati da 300 volontari e distribuiscono in autonomia circa 1,2 milioni di euro all’anno.
Quali sono le sfide aperte dal punto di vista della vostra responsabilità per lo sviluppo sostenibile?
Ne ricordo alcune, per punti. Dal lato ambientale, c’è il piano di riduzione delle emissioni, collegato alla strategia della capogruppo. Da quello economico c’è l’impegno verso le imprese, per cui dallo scorso anno abbiamo messo a disposizione un questionario Esg per misurare la consapevolezza del loro posizionamento in termini di rating. Riguardo alle collaborazioni, aderiamo da tempo alle realtà di promozione dello sviluppo sostenibile del nostro territorio come Impronta etica a Bologna e Rsi a Modena e, dal 2023, siamo tra le aziende partner che hanno risposto alla chiamata della Città metropolitana di Bologna: è la rete pubblico-privato la forza per generare impatto.
Come è cambiata per lei la coscienza del suo lavoro occupandosi di sostenibilità?
Mi ha dato una visione sulle future generazioni che prima non avevo. Parlo anche da mamma quando dico che questo lavoro mi dà l’opportunità di poter dare il mio contributo per i miei figli ma anche per i figli degli altri. Questo mi fa sentire il ruolo che ricopro in una maniera più grande, responsabile e profonda. Quando in azienda prendiamo certe decisioni non posso più prescindere dall’interrogarmi su quanto impattino davvero su coloro ai quali lasciamo in mano il futuro.
Cosa fa VITA?
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