Mondo

Iraq: Un Ponte per… chiede la fine dell’embargo

Il comunicato dell'associazione sulla situazione irachena

di Gabriella Meroni

Dopo dodici anni di sanzioni economiche crudeli, che hanno comportato inenarrabili sofferenze per un popolo che ha la sola colpa di essere nato nella terra del petrolio, una nuova guerra si è abbattuta su di loro portando nuovi lutti e distruzioni. Dopo settant?anni dalla fine del colonialismo eserciti occidentali sono nuovamente accampati in Mesopotamia e potenze straniere stanno nuovamente decidendo del futuro dei suoi popoli. Come allora i colonizzatori inglesi decisero arbitrariamente confini e regnanti dell?Iraq moderno, oggi i nuovi coloni a stelle e strisce vogliono decidere governanti, forma del governo, appalti per la ricostruzione, concessioni per lo sfruttamento del petrolio. Compagnie petrolifere, multinazionali di ogni genere, commercianti d?antichità, si stanno spartendo un ricco bottino di guerra. Importanti forze politiche, che hanno tributato migliaia di vittime alla repressione del regime, sono escluse persino dalle consultazioni per la formazione del nuovo Governo, mentre ex generali dell?esercito, responsabili di crimini di guerra, sono proposti all?amministrazione delle città. Mentre ancora non esiste nemmeno una amministrazione civile, già si stanno stipulando importanti contratti per la realizzazione di ingenti opere civili. Di fronte all?emergere di posizioni politiche non confacenti alle attese delle forze occupanti esiste persino il rischio concreto che si dia il via ad una sanguinosa guerra civile. In questo quadro esiste il rischio che la fine della dittatura di Saddam Hussein sia seguita da una nuova forma di autoritarismo. L?embargo e la guerra hanno lasciato una pesantissima eredità sulle future generazioni irachene. Il paese è stato ridotto ad uno stato preindustriale, l?insieme delle infrastrutture sono da ricostruire, due generazioni di iracheni hanno ricevuto una educazione e una formazione sommaria sia a livello di base che a livello superiore. I costi della ricostruzione e per riavviare lo sviluppo economico sono elevatissimi e si sommano ad un ingente debito estero. Mentre il ceto medio è stato distrutto e centinaia di migliaia di tecnici, professionisti e intellettuali hanno dovuto riparare all?estero, una nuova classe spregiudicata di ricchi è emersa dal mercato nero, cresciuta all?ombra del potere, è oggi pronta a affiancarsi agli occupanti. Se nella ricostruzione saranno impiegate le ricette neoliberiste e la ?tutela? della Banca Mondiale c?è il rischio concreto che l?Iraq perda quel carattere di socialità delle strutture civili (sanitarie e educative in primis) che ancora permaneva dalla rivoluzione repubblicana e anticoloniale del 1958 e che si trasformi in un qualsiasi paese del terzo mondo ove una ristretta cerchia di superricchi domina su una sterminata maggioranza di poverissimi. Via l?Embargo Chiediamo ancora, come abbiamo sempre chiesto, che le sanzioni economiche all?Iraq vengano revocate immediatamente e senza condizioni. Anche nella nuova situazione, continuiamo a pensare che non vi siano obiettivi politici che possano giustificare sanzioni economiche onnicomprensive come quelle decise nel 1991 dal Consiglio di Sicurezza dell?Onu. Non condividiamo quindi, come non abbiamo mai condiviso, la richiesta di legare la revoca delle sanzioni alla conclusione delle ispezioni per il disarmo. Le sanzioni economiche devono essere immediatamente revocate per non protrarre ulteriormente la clamorosa violazione dei diritti umani della popolazione irachena che le sanzioni stesse hanno causato. Chiediamo che non avvenga mai più che intere popolazioni possano essere sottoposte a sanzioni economiche come quelle imposte all?Iraq. Siamo contro tutti gli embarghi perché colpiscono duramente solo la popolazione civile, mentre i governi contro cui vengono formalmente dichiarate le sanzioni rimangono al loro posto o , come è avvenuto in Iraq, ne vengono rafforzati. Via le truppe, l?Iraq agli iracheni Chiediamo che le truppe di occupazione, che siano coinvolte nell?aggressione come quelle anglo-americane, australiane e polacche, o che stiano entrando ora nel paese, come quelle italiane, lascino senza indugio l?Iraq rispettando il diritto all?autodeterminazione del popolo iracheno. Chiediamo che, nella fase di transizione, la sicurezza della popolazione sia garantita dalle Nazioni Unite con l?ausilio, se necessario, di forze armate appartenenti a paesi non belligeranti e sotto comando Onu e che il processo di formazione di una nuova autorità statale veda partecipi tutte le componenti politiche della società irachena, comprese, e soprattutto, le forze politiche che in tutti questi anni hanno lottato contro il regime dittatoriale iracheno pagando un duro prezzo in termini di repressione, si sono opposte all?intervento militare e che ora sono persino escluse dalle consultazioni. La forma e le caratteristiche del nuovo governo, le modalità con cui eleggerlo, deve essere interamente decisa dagli iracheni. Il coordinamento degli aiuti umanitari, le scelte sulla ricostruzione, il controllo delle ricchezze nazionali, a cominciare dal petrolio, devono al più presto essere restituite agli iracheni. Una vera riappropriazione di sovranità da parte irachena non sarà però possibile fino a che permarrà una presenza militare straniera. Via le armi da tutto il medio Oriente Chiediamo che sia rispettato l?art. 14 della risoluzione 687 del Consiglio di Sicurezza dell?Onu sull?embargo all?Iraq, che prevede la creazione di una ?area libera dalle armi di distruzione di massa in tutto il Medio Oriente? e che sia convocata una conferenza internazionale finalizzata esplicitamente ad avviare tale processo. A fianco della popolazione irachena Un Ponte per.., nel riaffermare la volontà di rimanere a fianco della popolazione irachena, come siamo stati in tutti questi anni, intende sviluppare nel prossimo periodo, non appena il superamento della più grave emergenza lo permetterà, interventi finalizzati al rafforzamento della società civile e della autodeterminazione della popolazione, al recupero della qualità e indipendenza del settore formativo, alla costruzione di rapporti solidali tra enti locali, università, istituzioni e allo sviluppo di legami di amicizia e solidarietà tra il popolo italiano e la popolazione irachena. Intendiamo fare ciò, perdurando la occupazione militare, in rapporto esclusivo con interlocutori non governativi iracheni e in collaborazione con le agenzie umanitarie dell?Onu, rifiutando, in sintonia con quanto deciso dalla maggior parte delle ONG internazionali, il coordinamento dell?esercito Usa e non collaborando con la presenza. Fonte: Il Comitato Nazionale di Un ponte per?


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