Mondo

Iraq, pace senza vittoria

Obama annuncia la fine della guerra voluta da Bush

di Franco Bomprezzi

Annunciare la pace senza proclamare la vittoria: Barack Obama nel discorso alla Nazione (due di notte in Italia) chiude almeno a parole la guerra di Bush in Iraq, e si concentra su economia e Medio Oriente, dove, ieri, 4 coloni israeliani sono stati trucidati. I giornali italiani riescono a cogliere l’importanza della notizia proveniente dalla Casa Bianca.

Barack Obama annuncia la fine delle operazioni di combattimento per le truppe americane in Iraq, e sceglie il realismo, perché questa «pietra miliare» non può nascondere le insidie che restano. E’ questo il tono dell’articolo a pagina 16 (esteri) che il CORRIERE DELLA SERA dedica al discorso della Casa Bianca sul ritiro dei soldati da Bagdad. «Siamo un Paese sovrano e indipendente», ha affermato il premier Al Maliki. «Non vi abbandoneremo», ha risposto il vice presidente Joe Biden in missione a Bagdad per lanciare la «Nuova Alba», l’operazione di supporto agli iracheni. E infatti, in terra mediorientale rimarranno 50mila soldati americani. Una  ritirata che alcuni sospettano di facciata, una ritirata più che dall’Iraq, dalla prima linea, che porterebbe l’esercito a stelle e a strisce in seconda o terza fila, lontano dai riflettori il più possibile, ma con un piede (in forma ridotta) in Iraq, e l’altro in Afghanistan. Secondo alcuni osservatori, poi, Obama avrebbe fatto meglio a non intervenire del tutto in quanto l’Iraq riserva brutte sorprese. I ribelli hanno dimostrato, in questi giorni, di saper organizzare stragi e il Paese non ha ancora un governo. Le cose – avvertono gli esperti -potrebbero anche peggiorare rendendo complicato il definitivo ritiro statunitense fissato per il 2011. D’altra parte il numero uno, il commander in chief,  ha voluto dare solennità al momento per tre ragioni: è la conferma della promessa fatta in campagna elettorale di un ritiro «in modo responsabile»; è un tentativo di riconquistare consensi in vista del voto di medio termine che vede favoriti i repubblicani; è il modo per chiudere – almeno sulla carta – una guerra lasciatagli in eredità da George W. Bush.
Rimane da spiegare un ultimo piccolo mistero, ma questa volta legato non solo alla notizia sul discorso di Obama, quanto allo stesso CORRIERE DELLA SERA, che in apertura nelle prime edizioni non riserva alcun spazio alla all’evento, relegandolo a pagina 16. Un “errore” che sembra sia stato corretto nelle edizioni successive e imputabile (diciamo così) alla tarda ora (le 2 ora italiana) in cui è stato trasmesso il discorso di Obama.

LA REPUBBLICA apre sul discorso di Obama: “Obama: gli Usa via dall’Iraq, ma non è stata una vittoria”.  A pagina 2 il resoconto di Federico Rampini: «”Questa sera vi annuncio che la missione di combattimento dell’America in Iraq è finita”. Barack Obama ha scelto lo Studio Ovale della Casa Bianca, il quadro più solenne, per parlare alla nazione alle otto di sera. Un annuncio storico, “una pietra miliare”, l’ha definita: “L’Operazione Iraqi Freedom è chiusa. Da questo momento sono gli iracheni ad avere la responsabilità della sicurezza del loro paese”. Con orgoglio Obama ha rivendicato di aver mantenuto la promessa agli americani: “Questo fu il mio impegno da candidato. Dissi che avrei ritirato tutte le truppe da combattimento e l’ho fatto. Quasi centomila dei nostri soldati hanno lasciato l’Iraq”. Obama nel pomeriggio aveva spiegato che “non è il momento di celebrare vittorie”. E in serata ha ricordato il “prezzo immenso” che gli Stati Uniti hanno pagato, in vite umane e in risorse economiche, “per mettere il futuro dell’Iraq nelle mani del suo popolo, dare un nuovo inizio a questa culla della civiltà umana”. (…) Muovendosi su un sentiero stretto, per non contraddire le sue critiche a Bush ma non delegittimare il lavoro fatto in Iraq, Obama ha proseguito: “L’Iraq ora ha l’opportunità di costruirsi un futuro migliore, e l’America è più sicura”». Di appoggio un reportage di Bernardo Valli da Bagdad “Bagdad, la città senza gioia”: «Nel caffè di Adhamya prevale l’incertezza. I pochi clienti anziani seduti davanti ai tavoli spogli sono sunniti che hanno detestato, e forse combattuto, gli americani, colpevoli di avere portato al potere gli sciiti, ma adesso vorrebbero che gli americani non se ne andassero tanto in fretta. Non è chiaro quel che significa cinquantamila “soldati non combattenti”. Vuol dire infermieri?, azzarda un vecchio barbuto, col tradizionale copricapo sunnita. I sunniti di Adhamya temono di essere d’ora in poi più esposti allo strapotere degli sciiti. Da nemici gli americani erano diventati protettori. Quando spiego che un consigliere di Barack Obama ha detto che contro il terrorismo bisogna usare meno il martello e più il bisturi, cioè meno l’esercito e più l’intelligence e la diplomazia, mi guardano stupiti. Il bisturi in Iraq?».

Niente sul caso Iraq su IL GIORNALE che dà la notizia dell’attacco in Medioriente. “Gli accordi di pace iniziano con quattro morti in Cisgiordania” Un pezzo di cronaca che chiosa: «Quello di ieri è l’ultimo di una serie di attacchi contro i coloni in Cisgiordania. In giugno è stato ucciso un poliziotto e altri due agenti sono stati feriti sempre nella zona di Hebron. Sulla stessa strada, la route 60, a maggio due israeliani erano rimasti feriti dopo che il veicolo sul quale viaggiavano era stato colpito da proiettili».

Su IL MANIFESTO in una prima pagina dominata dalla fotografia di Bonanni ed Angeletti: «Le mosche del capitale», il ritiro delle truppe Usa e l’attentato contro gli israeliani sono in taglio basso. «Dicono che è finita. Ma a che prezzo?», questo il titolo del commento di Marco d’Eramo che inizia in prima pagina e prosegue a pagina 8, quasi completamente dedicata al ritiro delle truppe Usa, mentre per l’attentato che nelle pagine interne ha solo un articolo in falsa apertura, in prima si trova il richiamo: «Uccisi quattro israeliani, Hamas esulta: comincia male il vertice di “pace”». Scrive d’Eramo: «Così sulla via di Bagdad, gli Stati Uniti hanno incontrato il limite del proprio potere. Una potenza che credevamo letteralmente inoppugnabile, cioè incombattibile, dopo la vittoria nella guerra fredda e la sconfitta dell’Unione sovietica (…) La “fine delle ostilità” avviene dopo sette anni e mezzo di guerra, dopo milioni di sfollati, centinaia di migliaia di civili iracheni ammazzati e decine di migliaia di militari iracheni falciati via, dopo 4.734 militari della coalizione uccisi (oltre a 564 contractors), dopo un spesa per i contribuenti statunitensi che ha già superato i 1.000 miliardi di dollari (ma alla fine il conto sarà di 3.000 miliardi, incluse le pensioni di invalidità, le cure per i 32.000 feriti e le pensioni per le vedove). (…)». La domanda di d’Eramo è «E tutta questa immane distruzione di vite, di risorse, persino di storia, per che cosa?» seguita dal secondo quesito «Ma a che prezzo?», nel conto per d’Eramo anche i costi simbolici «nessuno dei 1.200 milioni di musulmani che vivono sulla terra dimenticherà tanto facilmente le immagini delle torture di Abu Graib (…) Più in generale questa guerra ha portato male a tutti i suoi promotori (…) per nostra sfortuna, l’unico finora sfuggito alla “maledizione di Saddam” è Silvio Berlusconi», chiosa ancora il giornalista. 
  
«Obama: la missione in Iraq non è compiuta» è il titolo d’apertura de IL SOLE 24 ORE. Nel catenaccio: «Parte male il negoziato di pace sul Medio Oriente: Hamas uccide quattro israeliani in Cisgiordania». I toni non sono ottimistici neanche per le notizie che arrivano dalla Casa Bianca: «La guerra Usa è finita ma nessuna vittoria». «Obama chiude ufficialmente le operazioni militari senza alcun trionfalismo», si dice all’interno. Ora lo scenario è «problematico», l’obiettivo è «evitare che 4.420 soldati siano morti invano». Mentre si registra la soddisfazione da parte irachena, il premier Maliki ha detto: «Ora il nostro è un paese sovrano e indipendente». Il quotidiano dedica il taglio basso della pagina al «parere degli analisti». Per gli esperti di politica internazionale «In Medio Oriente gli errori superano gli aspetti positivi». Non va bene, infatti, neanche su un altro fronte dell, impegno americano, pagina 6 è dedicata al «Sangue sui negoziati», con l’uccisione a Hebron dei quattro coloni, «a 24 ore della ripresa dei colloqui tra Israele e Anp a Washinghton», ma Netanhyau rassicura gli Usa: «Non saranno i terroristi a stabilire i nostri confini». Per completare il quadro, Obama viene anche «rimandato in economia» con un editoriale piuttosto critico di Martin Wolf. «Ha fatto l’errore di non osare abbastanza quando sarebbe stato necessario, ora corre il rischio di pagare un prezzo pesante», scrive il columnist.

E veniamo ad AVVENIRE: “Guerra finita. L’Iraq torna agli iracheni” è il titolo in prima pagina sul ritiro delle truppe Usa annunciato da Obama in diretta tv. “Ce ne andiamo, ma non è una vittoria” è il titolo di pagina 5, tutta dedicata all’avvenimento. «Un discorso per segnare la “fine” di una guerra che non aveva voluto. E che non è finita», scrive da New York Elena Molinari  che ha anche intervistato l’ex ispettore dell’Onu Charles Duelfer, autore del rapporto che nel 2004 negò l’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq, secondo cui Obama ha dimostrato «fretta di mostrare risultati al pubblico, almeno su un fronte, visto che da quello afgano continuano ad arrivare brutte notizie». Una infografica fa il punto sui sette anni di guerra in Iraq con il numero di vittime, i costi per gli Usa  e i momenti più significativi. Alla fase cruciale in un’area chiave e in un’America delusa è anche dedicato l’editoriale di Luigi Geninazzi intitolato “Medioriente  e Casa Bianca cercano un’alba nuova”, dove si legge: «Con il suo discorso alla nazione il presidente Obama ha mantenuto la sua promessa, quella di porre fine a una guerra che non è mai stata la sua ma ha ereditato da Bush…. e ora rilancia le ambizioni della superpotenza sperando in questo modo di risollevare gli indici di popolarità caduti al punto più basso. Obama guarda allo scacchiere medio-orientale che vivrà oggi un altro appuntamento decisivo a Washington, con l’avvio dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi». Ma sui colloqui Usa, e non è certo un caso, è caduto il sangue dell’attacco a Hebron ai coloni palestinesi. E Geninazzi conclude ricordando che «il nodo iracheno non è stato sciolto, che sul terreno sono ripresi gli attentati e che aleggia lo spettro di una nuova e devastante guerra civile la cui prima vittima non potrà che essere la minoranza cristiana».

LA STAMPA in prima, taglio basso, titola “Obama: in Iraq molto da fare”. Maurizio Molinari, corrispondente da New York, racconta l’annuncio del presidente Usa che «dichiara la fine della guerra in Iraq e conferma la scelta della exit strategy dall’Afghanistan in un discorso alla nazione di 18 minuti che adopera ad un duplice fine: sanare le spaccature che hanno segnato l’America per oltre sette anni sull’operazione “Iraq Freedom” e far sapere ai cittadini che d’ora in avanti la sua “missione centrale” sarà risollevare l’economia nazionale e creare milioni di posti di lavoro». L’articolo è a pagina 5 “Obama chiude la guerra in Iraq“. Sempre di Molinari anche il pezzo a pagina 16 “Cisgiordania, agguato ai coloni. Sterminata una famiglia in auto” sull’attentato di Hamas che mette in bilico il processo di pace in Medio Oriente. Nella versione online il quotidiano torinese rende disponibile il testo integrale del discorso di Barack Obama. 

E inoltre sui giornali di oggi:

MIGRANTI
CORRIERE DELLA SERA – Non era poi tanto una boutade, quella di Gheddafi che vuole 5 miliardi di dollari per fermare i flussi migratori da sud verso l’Europa. Anzi. E’ lo stesso ministro degli Esteri, Franco Frattini, a certificarlo invitando Bruxelles a discuterne seriamente «non possono fare i gendarmi da soli» ha affermato il numero uno della Farnesina. Il tutto a pagina 5, a firma di Antonella Baccaro.

ROM
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina per la Francia che espelle i rom: «Sarko tira dritto: presto la legge anti-immigrati». «Sarkozy mostra i muscoli» è il titolo dell’articolo a pagina 6 sull’annuncio che  ci sarà «Presto la legge per togliere la cittadinanza agli stranieri che delinquono», nell’articolo si osserva che: «(…) Dopo le critiche dell’opposizione, dell’Onu e di Bruxelles, anche nella maggioranza Ump si sono sentite voci di critica. Persino il primo ministro François Fillon, sottolinea che “ognuno ha la propria sensibilità” per prendere un po’ le distanze da Sarkozy (….)».

MILANO
LA REPUBBLICA – “Il Pd punta sull’archistar Boeri. Progetto civico per battere la Moratti”: «Bersani e Boeri si sono visti e  probabilmente si rivedranno a breve, quando l’architetto milanese sarà di  ritorno da un viaggio negli Stati Uniti. Un vertice dal quale il principale  partito d’opposizione aspetta di conoscere la decisione finale di Boeri, la sua  scelta definitiva su quel “progetto civico” – una candidatura che nasca fuori  dal perimetro dei partiti, capace di “legare” esperienze e risorse diverse  provenienti dalla città, dalle professioni, dall’economia, dal sociale – che è  lo schema di gioco scelto per vincere in una metropoli che i democratici, dopo  molti anni e molti insuccessi, giudicano nuovamente “contendibile” (…) Boeri sarebbe in grado di parlare a  un elettorato più ampio e di favorire un allargamento della coalizione,  operazione non facile alla quale si stanno applicando Maurizio Martina e Roberto  Cornelli, segretario regionale e metropolitano del Pd. La “liturgia”  prevederebbe dunque un Boeri espressione della società civile, una candidatura  promossa dal basso che il partito appoggerebbe come soluzione unitaria per  l’intero centrosinistra. Il tutto in vista delle primarie, che pure parte del Pd  milanese digerisce a fatica. Soprattutto dopo che da due mesi è sceso in campo  l’avvocato Giuliano Pisapia, ex parlamentare di Rifondazione comunista. Uno che  può dire di avere sconfitto Silvio Berlusconi, come legale di Carlo De Benedetti  nel processo per il lodo Mondadori». 

ROMA
IL SOLE 24 ORE – In prima pagina la notizia dell’inchiesta sui derivati a Roma. «La procura ipotizza il reato di truffa ai danni del come nel 2003-2007». Il sospetto è che le banche possan aver «lucrato commissioni ingenti come a Milano». Sono stati sentiti «i funzionari del Campidoglio e i manager di sette istituti di credito che hanno gestito le operazioni di finanzia straordinario».

LAVORO
IL MANIFESTO – «Ue, disoccupati record La “spesa proletaria” dei licenziati Carrefour» è il richiamo in prima per le due pagine (la 2 e la 3). L’articolo d’apertura è dedicato alla protesta dei sessanta licenziati da una cooperativa satellite del gruppo Carrefour che «con il supporto della Cgil, hanno inscenato la prima spesa proletaria al tempo della crisi. “Non ci pagano da mesi e ci negano la possibilità di acquistare alimentari di prima necessità”», di spalla un articolo che illustra i dati della disoccupazione europea che è giunta ai massimi. «Senza lavoro sono 23 milioni», dove si sottolinea che a colpire è il dato della disoccupazione giovanile «in Europa in luglio un giovane su 5 di età inferiore ai 25 anni era senza lavoro, mentre in Italia la percentuale sale al 26,8%. Come dire che oltre un giovane su 4 è senza lavoro (…)».

IL SOLE 24 ORE – «La ripresa senza lavoro: disoccupazione all’8,4%» è il taglio centrale della prima. Ed è «Allarme giovani», uno su quattro non trova lavoro, i giovani disoccupati sono il 26, 8%. In totale sono stati «persi 172mila posti di lavoro». Il ministro del Welfare Sacconi: «La situazione resta preoccupante ma si registra uno stop del trend negativo e un differenziale favorevole rispetto all’Europa».

CARLA BRUNI
LA STAMPA – “Teheran: Carla Bruni deve morire” questo il titolo di apertura del quotidiano torinese. Due pagine dedicate agli attacchi dei media iraniana nei confronti dell’italiana, colpevole di essersi schierata contro la lapidazione dell’adultera Sakineh.  Anche un’intervista ad Emma Bonino di Giacomo Galeazzi sul mondo femminile nel mondo arabo.

PAKISTAN
AVVENIRE – “Sui cristiani un’onda anomala”: il quotidiano cattolico dedica il titolo di apertura alla denuncia delle ong in Pakistan. L’accusa delle associazioni è che le dighe costruite nella regione del Punjab hanno deviato le acque su un insediamento cristiano per risparmiare i terreni di un notabile locale. Travolto un villaggio, 15 morti e 377 senzatetto.


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