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Iraq: ong, no mine antiuomo e bombe a frammentazione

Di fronte a una guerra che sembra ogni giorno più difficile evitare, le organizzazioni umanitarie si rivolgono a George Bush per esortarlo a limitare i danni di un conflitto contro l'Iraq

di Redazione

Di fronte ad una guerra che sembra ogni giorno piu’ difficile evitare, le organizzazioni umanitarie si rivolgono al presidente americano George Bush per esortarlo a limitare i danni di un conflitto contro l’Iraq, rinunciando all’uso di mine antiuomo e di bombe a frammentazione: i pericoli che ne derivano prima e dopo le ostilita’, non solo per le popolazioni civili, ma anche per i soldati inviati sul fronte superano di gran lunga i ”benefici” che se ne possono trarre, osservano. In una lettera indirizzata al leader della Casa Bianca, Kenneth H. Bacon, presidente del gruppo Refugees International, avverte che le mine antiuomo – ancora di piu’ di quelle anticarro – metterebbero a repentaglio la vita del personale militare americano, oltre che dei civili iracheni e rallenterebbero notevolmente il processo di ripresa economica e politica dell’Iraq. ”Le mine antiuomo inesplose sono potenziali killer che infliggono danni molto tempo dopo la fine del conflitto”, si legge nella lettera, dove si fa presente il rischio legato al ricorso ad armi di distruzione indiscriminata: una scelta che potrebbe vanificare l’opera condotta dalla comunita’ internazionale per eliminare gli arsenali di armi di distruzione di massa di cui sarebbe in possesso il regime di Baghdad. Ne’ vale l’argomento con cui al Pentagono si fa presente che le moderne mine antiuomo sono provviste di un meccanismo in grado di assicurarne l’autodistruzione in un intervallo di tempo compreso tra poche ore e 15 giorni dopo che sono state attivate: questi meccanismi hanno dimostrato di non funzionare in un inaspettatamente alto numero di casi, si ricorda. Un rischio analogo, anche se leggermente diverso, e’ costituito dalle bombe a frammentazione, composte da tanti ordigni destinati ad esplodere al momento dell’impatto ma che spesso – perche’ difettosi – non scoppiano e si trasformano di fatto in mine antiuomo. A rischio, conclude Bacon nella lettera, sono i soldati americani, i civili iracheni – e tra questi anche i rifugiati – e i dipendenti delle organizzazioni umanitarie. Senza contare l’impatto che queste armi lasciate nel paese possono avere sulla ricostruzione e sull’opera di riabilitazione dopo la guerra.


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