Mondo
Iraq, le bombe non fanno più notizia
Drammatica denuncia di Renato Sacco, responsabile di Pax Christi per il paese iracheno dopo gli attentati che il 23 luglio hanno causato almeno 107 morti: «La popolazione continua a morire, non dobbiamo tacere»
"Le notizie che ci giungono anche oggi dall’Iraq, un centinaio di morti, alcune centinaia di feriti a Baghdad, a Kirkuk e in diverse altre città, riaprono una ferita nel cuore e nella memoria. Il sapere che numerose esplosioni hanno seminato ancora morte e dolore. Il parlare con i molti amici che vivono in quella terra, ci fa sentire più coinvolti. E ci invita a non tacere. Ad esprimere vicinanza a tutte le vittime, di ogni popolo e di ogni religione". Si apre così la lettera aperta che don Renato Sacco, responsabile per l'Iraq di Pax Christi italia, rivolge all'opinione pubblica all'indomani di una delle giornate più nere della storia recente del paese mediorientale, sicuramente la peggiore da quando le forze militari statunitensi hanno lasciato il campo: il 23 luglio 2012 ben 26 attentati in varie città irachene, rivendicati da gruppi legati ad Al Qaeda, hanno causato almeno 107 morti e 268 feriti, soprattutto sciiti e militari.
"Noi di Pax Christi siamo stati molte volte in Iraq. Prima, durante e dopo la guerra. L’ultima volta circa un anno fa, con una delegazione guidata dal Presidente mons. Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia. Quando non si parla più di una situazione che ha vissuto per anni guerre e tragedie, si rischia di pensare che ormai tutto sia tranquillo. Questo vale anche per la Bosnia, l’Afghanistan, la Palestina e per molte zone dell’Africa e del mondo intero", continua don Sacco. Al dolore per le vittime delle bombe si aggiunge la preoccupazione per le numerose famiglie irachene che dopo essersi rifugiate in Siria ora ritornano, fuggendo dalla Siria dove hanno perso tutto. Da una terra insanguinata ad una terra violentata. Accomunate, forse, da un connivente silenzio".
L'appello che lancia l'esponente di Pax Christi spinge sulla strada dell'ecumenismo come unica via d'uscita dalla violenza e del dolore. "Siamo nel mese del Ramadan, un tempo privilegiato e intenso di preghiera, di perdono e di riconciliazione. Certo, la nostra voce è debole e disarmata, ma non ci rassegniamo alla logica della guerra e delle bombe. Non vogliamo lasciare soli i nostri amici della terra di Abramo", afferma don Sacco, "l'invito al dialogo, al rispetto, al rifiuto della violenza e della guerra per un cammino di pace, intendiamo rivolgerlo non solo a chi vive in Iraq o a chi, nelle sedi istituzionali, può operare in tal senso: anche nelle nostre realtà è possibile fare gesti concreti di rispetto e di incontro, ad esempio riconoscendo e accompagnando i gesti di religiosità presenti nel mondo islamico, come il Ramadan. Badando a non cadere in gesti di intolleranza".
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