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Iraq: Intersos, ridare la parola agli iracheni

Vita pubblica una nota di Nino Sergi, Segretario Generale di Intersos, che fa il punto sulla situazione irachena e indica quale potrebbe essere la via d'uscita

di Paolo Manzo

L?Iraq non va abbandonato, ma aiutato, accompagnato e soprattutto ascoltato dall?intera comunità internazionale che non può decidere da sola il suo destino e il cammino per arrivarci. Intersos, pur avendo temporaneamente spostato il proprio personale internazionale in Giordania e Quwait per ragioni di sicurezza, continua le attività di assistenza e di ricostruzione nel centro e nel sud del paese con operatrici e operatori iracheni di grande competenza: educazione e cure mediche ai bambini, accoglienza e assistenza dei profughi, distribuzione di beni di prima necessità, bonifica umanitaria di aree infestate da mine e ordigni esplosivi. Dai primi di aprile sono stati aggiunti alcuni interventi urgenti a sostegno della popolazione di Falluja, dove tra il 5 e il 12 abbiamo consegnato medicinali e coperte, e di un migliaio di famiglie che, fuggite da quella città, hanno trovato rifugio a Baghdad intorno a cinque moschee dei quartieri occidentali; a queste famiglie Intersos ha fornito cibo, coperte, materassi, stufe per cucinare e altri beni di prima necessità. La fase dell?occupazione in Iraq va assolutamente e definitivamente chiusa. Ridare la parola agli iracheni, senza esclusione di nessuna componente significativa della società tribale, religiosa, politica e civile; coinvolgere e impegnare l?intera comunità internazionale, compresi i paesi arabi e musulmani, valorizzando il dialogo e le scelte multilaterali; promuovere una conferenza internazionale di pace; esprimere con una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza l?inizio della nuova fase a guida Onu, compreso il comando delle forze internazionali di mantenimento della pace. Queste le linee politiche che dovrebbero guidare la comunità internazionale, ed in particolare l?Italia, per uscire dal baratro in cui ci stanno portando la guerra preventiva, le scelte unilaterali e di potenza e il rigetto delle istituzioni multilaterali. Il rifiuto dell?indispensabile svolta, se sarà confermato, e la riduzione dell?Onu a mera copertura della situazione esistente, deve condurre il nostro paese a prendere nettamente le distanze da queste scelte che si sono dimostrate errate e pericolose e che possono condurre a situazioni di gravità difficilmente controllabili. E il ritiro del contingente militare dovrà allora, coerentemente, essere la prima decisione. COME USCIRE DAL CAOS Che la guerra sia stata un grave errore, con l?umiliazione dell?Onu, il rifiuto del confronto politico e delle decisioni multilaterali, la visione messianica della propria potenza e superiorità, le falsità, la pretesa di esportare la democrazia con le armi, l?incapacità di gestire il dopo guerra, la serie di scelte sbagliate e di gravissimi errori reiterati su dodici mesi di occupazione, sono cose ormai assodate. Il punto ora è un altro e non di poco conto. Come uscire dal caos dell?Iraq che ci coinvolge ormai tutti, chi ha condiviso la guerra e chi ad essa si è opposto, chi mantiene le truppe e chi le ritira, chi continua ad essere preoccupato e chi considera il problema come un affare di chi l?ha generato? Alcune ipotesi strategiche valide ancora poco tempo fa ora non lo sono più. La stessa legge per l?amministrazione del periodo transitorio (la ?costituzione provvisoria? dell?8 marzo) e il calendario dei relativi adempimenti istituzionali sono stati tardivi e hanno trovato un contesto più sfavorevole e più aggressivo dei mesi precedenti. Si è perso tempo. Non si è capito quasi nulla dell?Iraq e si è dato spazio più all?arroganza prepotente delle armi (con soldati istruiti alla guerra ma non alle operazioni di peace keeping) che alla costruzione di una seria, valida, condivisa strategia politica con chiare e condivise finalità e chiari obiettivi da perseguire. Guardando alla realtà dell?Iraq e al contesto internazionale, una possibile risposta deve partire, a nostro avviso, da tre premesse politiche: a) va definitivamente chiusa la fase della guerra e dell?occupazione; b) l?Iraq non può essere abbandonato a sé stesso; c) occorre ridare la parola agli iracheni. LA NECESSITA’ DI UNA SVOLTA La fine di questa fase di guerra e di occupazione comporta una svolta ormai inevitabile, che richiede a sua volta un atto di coraggio e di intelligenza politica da parte dei paesi della Coalizione ed in particolare degli Stati Uniti. Sarebbe, per l?Amministrazione Bush, il modo politicamente meno doloroso per uscire dal baratro in cui è sprofondata e in cui sta trascinando il resto del mondo: senza perdere inutilmente ulteriori vite umane (irachene, americane e di altri paesi), senza perdere progressivamente e inesorabilmente alleati e senza perdere la faccia (cosa non secondaria con le elezioni alla porta). Un atto politico teso a dichiarare (anche se si tratterebbe di un?altra falsità) che dietro la guerra non c?era né la potenza, né il petrolio, né il rifiuto del multilateralismo e dell?Onu, ma solo la volontà di lottare decisamente contro il terrorismo e per la liberazione del popolo iracheno, come sempre ufficialmente affermato. Un atto politico quindi che, con un passo indietro delle forze della Coalizione, affidi all?Onu la guida della transizione e della ricostruzione, compreso il comando della forza multinazionale di mantenimento della pace. AIUTARE GLI USA A NON ISOLARSI ULTERIORMENTE Chi ha fatto scelte unilaterali gravemente sbagliate, occupato l?Iraq senza legittimazione internazionale, commesso così tanti errori con conseguenze che potrebbero essere nefaste per tutti, non può pretendere il comando militare nella fase che deve rappresentare la svolta e mettere fine all?aggressione. Non può pretenderlo, anche perché gli iracheni non lo permetterebbero più. E sappiamo, ora, che hanno capacità per opporvisi, anche molto duramente: e lo faranno. La fase insurrezionale potrebbe iniziare da un giorno all?altro, anche senza preavviso. La decisione del Governo spagnolo è coerente con quanto pubblicamente dichiarato durante la campagna elettorale: ritiro delle truppe dall?Iraq se l?Onu non avesse assunto la responsabilità della fase di transizione e il comando delle forze militari. Dalle ultime dichiarazioni della Casa Bianca e dello stesso Kofi Annan non vi è nessun accenno al passaggio del comando militare all?Onu, ma vi è anzi la conferma del presidente Bush del contrario. Non esistono quindi le condizioni indicate dal premier Zapatero. Altri paesi hanno deciso o stanno pensando di modificare l?impegno iniziale. La spaccatura tra gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali, che si voleva evitare, rischia di allargarsi poco alla volta. Non è più il tempo dei silenzi e dell?accondiscendenza reverenziale: gli alleati degli Stati Uniti, in particolare quelli più vicini all?Amministrazione Bush, devono fare di tutto perché differenti e condivise scelte politiche, nel rispetto del diritto internazionale e delle istituzioni internazionali, possano ricreare le condizioni per una rafforzata alleanza. IMPEGNO DELL’INTERA COMUNITA’ INTERNAZIONALE E RUOLO DELL’EUROPA Non abbandonare l?Iraq a sé stesso è un imperativo a cui non ci si può sottrarre, per dovere etico e di responsabile solidarietà che riguarda ancora una volta tutti. Il paese si trova in una situazione di disgregazione, di violenza, di criminalità, di disordine tali da suscitare inquietudine e paura nella popolazione irachena che si sente in balia di eventi non dominabili, nell?immediato, con le sole forze irachene. Non abbandonare l?Iraq significa farlo diventare una preoccupazione dell?intera comunità internazionale, coordinata sotto l?egida dell?Onu, con una vera e lungimirante strategia regionale, un ruolo attivo dei paesi arabi e musulmani, dell?Europa, della Russia oltre che degli stessi Stati Uniti, cercando il consenso delle rappresentanze delle varie tribù e comunità irachene. L?Unione Europea deve assumere le proprie responsabilità. Ha un ruolo da giocare ed è l?unico soggetto politico in grado di farlo con la possibilità di farsi ascoltare da tutte le parti. Finora è stata a guardare, incapace di concordare una posizione ed una linea politica comune. La decisione unilaterale di Zapatero, pur coerente con il programma annunciato, potrebbe forse indebolire l?Europa, proprio mentre stava iniziando a prendere coscienza dell?indispensabilità di una posizione comune; potrebbe anche, però, rappresentare la novità necessaria per fare riprendere un?approfondita discussione, rivalutare le proprie posizioni e giungere ad una scelta collegiale del Consiglio europeo. Solo Capi di Governo insensati possono sostenere, di fronte alla gravità della crisi che attraversa il mondo, l?inutilità di una nuova riunione del Consiglio europeo. Le scelte unilaterali, nell?attuale situazione internazionale, sono sbagliate, sia in America che in Europa. Spetta quindi ai paesi europei, nel loro insieme, assumere una posizione comune che abbia il peso politico necessario a convincere l?Amministrazione americana a cambiare radicalmente rotta, pur mantenendo un ruolo nella questione irachena compresa una presenza militare se così sarà valutato dall?Onu e dagli iracheni. Sarebbe al contempo il modo per favorire l?apertura di un dialogo più efficace con il mondo arabo e musulmano. La situazione è giunta a tale livello di complessità e di pericolo da non permettere un?ulteriore latitanza dell?Europa, pena la decretazione della propria irrilevanza politica per il futuro e pena la sfiducia degli elettori europei che si sono espressi in maggioranza contro la guerra e l?occupazione dell?Iraq e che chiedono ora una radicale svolta. Sarebbe poi un errore, a nostro parere, coinvolgere la Nato in quanto tale nella forza di peace keeping sotto il comando Onu. Potrà solo trattarsi di singoli paesi: l?Alleanza Atlantica rappresenta infatti forze e interessi che provocherebbero un facile rifiuto da parte dei paesi dell?area e più in generale del mondo arabo e musulmano. Tale forza di pace dovrà comprendere oltre a singoli paesi Nato una forte rappresentanza dei paesi arabi e musulmani e, possibilmente, gli altri paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Sarebbe il segno dell?indispensabile novità, della fine della fase dell?occupazione, dell?assunzione del problema da parte dell?intera comunità internazionale, della non subalternità dell?Onu al volere di un solo paese. LA NECESSARIA RISOLUZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA L?Onu è troppo debole, si dirà. Lo è, certamente. Ne abbiamo avuto prova in tutte le crisi dove INTERSOS è intervenuta. Lo è, però, perché così hanno voluto i paesi che ne fanno parte. Potrebbe essere forte, anche senza aspettare la grande riforma che tutti auspichiamo, se andassero in questo senso la volontà politica, le conseguenti risoluzioni e decisioni, l?impegno diretto della maggioranza dei paesi con la conseguente dotazione delle risorse necessarie. Una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza si impone ormai con urgenza. L?Europa potrebbe avere un ruolo primario, dato che è attualmente rappresentata nel Consiglio di Sicurezza da ben quattro Stati. La risoluzione potrebbe riprendere, con alcune aggiunte, il piano messo a punto da Lakhdar Brahimi, l?inviato di Kofi Annan, inserendovi il vero punto della svolta, quello relativo al comando militare. Sarebbe il segno atteso della supremazia della gestione politica rispetto alla gestione militare, con la presenza di forze di pace e con l?accordo delle Autorità rappresentative irachene. REALIZZARE LA CONFERENZA DI PACE La proposta di una conferenza internazionale di pace per l?Iraq, sotto l?egida dell?Onu, che veda l?attiva partecipazione dei paesi arabi e musulmani insieme ai Paesi del G8 e all?Unione Europea, va sostenuta fino in fondo e realizzata quanto prima. Essa faciliterebbe la ripresa del dialogo e del confronto internazionale sull?Iraq e rafforzerebbe la lotta al terrorismo. L?Europa, grazie alla sua posizione geografica e a rapporti consolidati con pesi mediterranei e mediorientali, può costruire un ponte tra l?occidente e il mondo musulmano. Un altro compito a cui, nella situazione attuale, non può sottrarsi. RIDARE LA PAROLA AGLI IRACHENI A un anno dalla guerra (dopo dodici mesi di occupazione militare, dopo l?esperienza di un Consiglio iracheno di governo composto da personalità scelte dall?esterno, solo parzialmente rappresentative e comunque delegittimate agli occhi degli iracheni, dopo una gestione del dopo guerra che ha tenuto subalterna la realtà irachena e le sue potenzialità, umiliandola, talvolta disprezzandola e provocando quindi un progressivo crescente rifiuto dell?occupazione militare) il punto centrale, senza il quale tutte le altre iniziative internazionali, compresa quella dell?Onu, perdono valore, è ora di ridare la parola agli iracheni. Non si tratta di cosa facile, data la molteplicità delle comunità che compongono la società irachena. Non si tratta infatti solo di curdi, sunniti e sciiti, ma di svariate e significative tribù o gruppi religiose, di forze politiche rinascenti, di emergenti espressioni organizzate della società civile. Solo un?assemblea rappresentativa, ampia, composta da autorevoli esponenti di tutte le differenti realtà, può oggi esprimere il volere del popolo iracheno e può trovare le necessarie mediazioni per governare questo difficile e pericoloso periodo di transizione. Lo stesso inviato di Kofi Annan, Brahimi, ha considerato la costituzione di una simile assemblea come una componente essenziale del suo piano. È lo strumento che può permettere la massima partecipazione, il confronto, l?assunzione di responsabilità senza che alcuna realtà significativa sia esclusa e si senta quindi costretta di farsi sentire attraverso l?uso della forza. Sarà da questa assemblea, sostenuta ed accompagnata internazionalmente, che potrà uscire la volontà del popolo iracheno, l?unica da cui non si può prescindere per poter delineare il futuro dell?Iraq. DOVE CI PORTANO GLI USA? Purtroppo, i segnali che ci vengono dagli Stati Uniti in questi giorni continuano ad essere molto preoccupanti. L?Amministrazione Bush non intende cedere all?Onu, oltre alla gestione della fase della transizione, il comando militare in Iraq: è il punto che ha determinato la decisione del ritiro del contingente spagnolo. Sulla questione palestinese il presidente Bush ha confermato la scarsa considerazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e ribadito l?intenzione di continuare a decidere unilateralmente, ben sapendo di contrariare gravemente i paesi arabi e musulmani e quindi di rendere sempre più difficile il loro coinvolgimento sull?Iraq. Si tratta di un segnale prepotente che tende con evidenza ad escludere i paesi arabi e musulmani dalla soluzione della questione irachena. Ne avrà valutato le conseguenze e le ripercussioni gravemente negative e difficilmente contenibili? Avrà valutato che rischia di isolare gli Stati Uniti dal resto della comunità internazionale che sarà portata a prendere gradualmente le distanze? Verrebbe da dubitarne, se dietro a queste decisioni non vi fossero le preoccupazioni elettorali e non vi fosse la scelta di affrontare le questioni mediorientali in modo unilaterale facendo riferimento unicamente al proprio interesse nazionale o alla propria visione di esso. Qualche dubbio dovrebbe in ogni caso venire a coloro che hanno appoggiato la guerra e la successiva disastrosa occupazione dell?Iraq. Non è certo un merito rimanere a fianco dei potenti, solo perché potenti, senza mai chiarire fino in fondo dove ci stanno conducendo e per quali ragioni lo fanno. L?Italia, insieme agli altri paesi europei, ha ora il dovere di frenare l?esaltazione americana e le sue pericolose scelte, per il proprio bene ma anche per quello degli stessi Stati Uniti. IL TEMPO STA PER SCADERE Diventa quindi indispensabile stabilire dei precisi tempi e delle precise condizioni. L?Italia ha il dovere di esigerli. Il Governo italiano deve poter dare al Parlamento e ai cittadini le risposte alle domande che tutti ormai si pongono con apprensione di fronte alla situazione irachena che ha assunto una dimensione globale molto allarmante. L?Italia deve anche favorire una posizione comune europea che avrebbe un valore di straordinario peso politico e rappresenterebbe l?avvio di una seria politica estera e di sicurezza comune che i cittadini europei stanno iniziando a pretendere. L?Italia ha avuto in tutti i decenni passati due vocazioni, quella atlantica e quella europeista. Può quindi a buon titolo proporsi per costruire ponti di dialogo e di nuova comprensione. Per giungervi, occorre da un lato l?auspicato passo indietro in Iraq dell?Amministrazione Bush e della Coalizione e la fine ad ogni imposizione unilaterale e, dall?altro, una presa di coscienza politica comune dell?Europa e del ruolo che può e che deve giocare a livello internazionale e nell?area mediorientale in particolare. Il passo indietro, e quindi l?indispensabile svolta in Iraq, si concretizzano pienamente con il passaggio del comando militare all?Onu o ad una entità sopranazionale largamente accettata dagli iracheni. A loro va restituita la parola attraverso un?assemblea rappresentativa irachena e l?assunzione della gestione del potere da parte di rappresentanti della pluralità dell?Iraq pienamente riconosciuti. La data importante non è più quindi quella del 30 giugno, ma quella che dà al mondo la certezza della piena accettazione della svolta, con tappe e modalità precise e con precisi impegni verso il popolo iracheno e verso la comunità internazionale. La decisione di questa svolta, infatti, non può più aspettare. Dato il lavoro politico-diplomatico avviato dall?Onu per individuare un cammino atto a facilitare una idonea soluzione, e proprio per il rispetto dovuto a questa Istituzione internazionale, occorre attendere ancora qualche giorno per dare la possibilità a tutte le parti di completare le consultazioni, le valutazioni e prendere quindi le dovute decisioni. Ma se a breve (molto breve) non vi saranno chiari e precisi segnali in questo senso, allora significa che l?Amministrazione Bush avrà scelto di continuare sulla propria strada optando per la via dell?isolamento e della sola propria forza. A questo punto non resta, purtroppo, che prenderne atto e il Governo italiano, insieme agli altri paesi europei con cui dovrà iniziare a costruire alternativi cammini politici e di aiuto all?Iraq, avrà l?obbligo morale e politico di prendere nettamente le distanze da queste scelte che si sono dimostrate errate e pericolose e che possono condurre a situazioni di gravità non più controllabili. E il ritiro del contingente militare dovrà essere, coerentemente, la prima decisione. LO SPAZIO UMANITARIO SI STA RESTRINGENDO Le organizzazioni umanitarie italiane hanno deciso di spostare temporaneamente il proprio personale internazionale in Giordania e in Quwait perché esposti ormai a troppi rischi: minacce, rapimenti, attentati, uccisioni. Non è bastata la scelta politica di non collaborare con le forze di occupazione e di non avere rapporti con i militari per salvaguardare l?integrità dello spazio umanitario contro ogni possibilità di confusione e di inquinamento. Da parte delle Ong c?è stata una grande attenzione a rimanere e a mostrarsi nel proprio ambito di intervento, quello dell?aiuto umanitario e del sostegno alle comunità (in particolare distribuzione di beni di prima necessità, educazione, assistenza, sanità, acqua potabile, sminamento umanitario, crescita delle capacità autonome di sviluppo). I principi che ci guidano sono quelli universalmente riconosciuti come essenziali per l?azione umanitaria: la totale autonomia e indipendenza nelle scelte e nell?azione al fine di garantire la necessaria neutralità e imparzialità dell?aiuto. Purtroppo, lo spazio umanitario è sempre più invaso da altri principi, strumentalizzazioni e modalità di intervento che stanno restringendolo sempre di più, fino quasi ad annullarlo. Le conseguenze sono gravissime e le vediamo chiaramente in Iraq dove le missioni militari sono chiamate umanitarie, dove i militari hanno compiti umanitari, dove i soldati portano aiuti nei villaggi su mezzi blindati o comunque dotati di quelle stesse armi che uccidono. L?abuso del termine umanitario e l?abbinamento dell?aiuto con le armi stanno producendo un vero e proprio inquinamento dei principi e dell?azione umanitaria, creando grande confusione tra la gente che non riesce più a distinguere gli operatori umanitari dai militari e mettendo quindi a rischio i volontari che, come sempre, si presentano indifesi, senza alcuna arma se non quella del rapporto di fiducia e di solidarietà con le popolazioni. Anche la Croce Rossa Italiana continua (unica al mondo) ad affiancare i militari e a garantire la propria sicurezza con militari o guardie armate, venendo così meno ai principi fondamentali del Comitato Internazionale della Croce Rossa e delle Mezze Lune Rosse e contribuendo ad aggravare il problema. Imperativo umanitario, autonomia, indipendenza, neutralità e imparzialità sono principi inconcepibili in una forza armata, per definizione subalterna a decisioni politiche di parte. Occorre quindi che sia finalmente abolito il termine umanitario da qualsiasi presenza o attività delle forze armate in contesti di conflitto. Occorre soprattutto che ognuno faccia il proprio mestiere senza ambiguità di sorta. Le popolazioni devono poter chiaramente distinguere tra operatori umanitari e militari, senza confusione dei ruoli. Si tratta di un punto di estrema importanza e attualità. La nuova strategia militare considera infatti che anche l?azione umanitaria, direttamente gestita dai militari, debba far parte del ?proprio mestiere?, in modo strumentale, per rendersi amiche le popolazioni, contenerne il sentimento ostile, ottenere più facilmente informazioni utili. È sempre stato così, ma ora la dimensione assunta è sempre più ampia, esplicita, talvolta concorrenziale con le stesse organizzazioni umanitarie. È in gioco la stessa sopravvivenza dell?azione umanitaria, quale dovere umano imparziale, strumento solo dell?imperativo umanitario e non di posizionamenti o tatticismi politici o militari. La netta distinzione è necessaria anche per ragioni di sicurezza, che richiedono che l?operatore umanitario non venga mai confuso in nessun modo con il militare. La nostra temporanea uscita dall?Iraq è, in parte, anche la conseguenza di questa confusione. Nella nuova fase politica dell?Iraq bisognerà seriamente tenerne conto.


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