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Iraq: i kurdi, nella morsa tra Saddam ed esercito turco

La guerra che è scoppiata ieri notte rischia di fare per l'ennesima volta la solita vittima: i kurdi. Cerchiamo di capire il perché

di Paolo Manzo

Con la guerra all?Iraq, oltre a Saddam, ci sarà un?altra vittima certa: i kurdi, il popolo senza terra più numeroso del pianeta. Da anni la questione è aperta ma le diplomazie mondiali non hanno mai trovato una soluzione praticabile per risolverla. La difficoltà maggiore deriva dal fatto che i kurdi sono presenti in cinque Stati che, storicamente, non sono dei paladini dei diritti umani: Turchia, Iraq, Iran, Siria e Armenia. In totale 30 milioni di kurdi che, quasi ovunque, sono privati dei diritti fondamentali: non possono pubblicare libri o giornali nella loro lingua (parlare il kurdo è reato dal 1991 in Turchia), non hanno diritto ad accedere alle cariche pubbliche, spesso vengono perseguitati, talvolta uccisi. I supporter della guerra all?Iraq sostengono che uno dei motivi del conflitto è proprio quello di ?salvare i kurdi?. Una balla colossale.

Nel 1986 ero nel Kurdistan turco, dove vivono 13 milioni di kurdi, pari al 20% della popolazione totale del Paese fondato da Kemal Atatürk. Obiettivo del viaggio la scalata del monte Ararat. Assieme a me altri otto componenti della spedizione partita dall?Italia e arrivata sulle sponde del lago di Van, con l?entusiasmo di chi sta per compiere il viaggio della vita. Dopo l?ascesa, il sottoscritto si dedicò ad un tour del Kurdistan turco che, a posteriori, risultò essere assai più interessante della scalata al monte dell?Arca (la Bibbia sostiene che, dopo il diluvio universale, l?imbarcazione di Noè si arenò sull?Ararat). Quindici anni fa i Kurdi erano ospitali, gentili e desiderosi di conoscere gli ?occidentali?. Quando arrivavo in un piccolo centro abitato il capo villaggio aveva un?unica preoccupazione: invitarmi a casa sua (o nella sua tenda se si trattava di un accampamento di nomadi, in altura per la transumanza del bestiame) per bere l?ayran, una sorta di yogurt allungato con acqua e sale, usato a quelle latitudini per dissetarsi. Quasi sempre la lingua era un problema ma, alla fine, ci si capiva: chi ti mostrava vecchie foto scattate con Mustafa Barzani, fondatore del primo movimento di liberazione kurda a impugnare le armi, chi ti presentava la famiglia, chi chiedeva un po? di minestroni liofilizzati in cambio di frutta. In Italia un?accoglienza difficile da ricevere dai parenti, persino a Natale?Di Diyarbakir, Urfa, Bitlis, Van, Hakkari e Yuksekova (città e villaggi del Kurdistan turco) mi sono rimasti ricordi indelebili come quando, avendo rotto la balestra del camper, un intero quartiere di Diyarbakir passò la notte a saldare il danno, facendo un?opera meccanica che resiste ancor oggi?O come quando, a Bitlis, ebbi la ?sfortuna? di essere scortato dalla polizia turca, con relativo lancio di pietre e sputi da parte della gente che ? solo un mese prima ? aveva subito un?incursione delle truppe di Ankara in cui erano stati uccise una ventina di persone??Fate sapere al mondo la nostra tragedia. Non possiamo scrivere nella nostra lingua, stampare giornali, né parlare in kurdo. Aiutateci?. Questo l?appello pressante dei kurdi turchi dell?86. Dieci anni dopo sono tornato da quelle parti, e le differenze maggiori che notai furono due. Primo, non potevo entrare in molti paesi, a causa dei blocchi dell?esercito turco. Secondo, dove riuscii ad addentrarmi fui accolto in modo assai ?freddo?. La guerra del Golfo del 1991, infatti, se può aver risolto e migliorato la condizione dei kurdi iracheni, ha peggiorato di molto quella dei kurdi turchi. L?escalation di violenza e oppressione dell?esercito di Ankara, ?protetta? dalla coalizione occidentale (e di cui io, indirettamente a causa della mia nazionalità, facevo parte) aveva cancellato in dieci anni l?amore per il ?diverso?: l?occidentale che speravano li potesse aiutare con le sue denuncie non era più ?venerato?. Nessuno m?invitò in casa per timore che potessi essere una ?spia?, i bambini non chiedevano più caramelle ma lanciavano pietre sulla mia auto, proprio come 10 anni prima facevano contro le camionette e i blindati dell?esercito turco. Insomma, una svolta a 180 gradi, una svolta ?figlia? della Prima guerra nel Golfo, quella di George Bush padre.

Con tredici milioni di abitanti è la Turchia orientale ad ospitare la maggior parte dei kurdi. Lì dal 1920 combattono per vedersi riconosciuto il diritto all?autodeterminazione, anche se la lotta si è intensificata quando – nel 1974 – è nato il Partito dei lavoratori del kurdistan (il Pkk). Da allora la Turchia ha intrapreso una dura repressione che, in meno di trent?anni, ha causato 37mila morti e oltre tre milioni di rifugiati, la maggior parte dei quali ha trovato rifugio nella ?vecchia? Europa (capeggiata dalla Germania che ne ospita oltre un milione). Nella repressione contro la popolazione kurda, l?appoggio statunitense alla Turchia è stato (e rischia di essere) decisivo, anche dopo il no del parlamento di Ankara al permesso di transito delle truppe di Washington. I motivi dell?appoggio Usa alla Turchia sono molteplici: quello fondato da Kemal Atatürk è un Paese musulmano laico, dove la religione islamica è direttamente finanziata e controllata dallo stato, un Paese che costituisce una barriera all?integralismo rappresentato – negli anni 80 ? dall?ayatollah Khomeini e oggi da Osama o chi per lui; la Turchia è un fedele alleato Nato che, in cambio della mano libera sui kurdi, concede agli Usa il suo appoggio diplomatico; qualora fosse ammessa nell?Unione Europea, ci sarebbe un altro partner, oltre alla Gran Bretagna, interessato più ai rapporti con Washington che con Bruxelles. Per questo gli Usa non hanno battuto ciglio di fronte alla repressione politica contro il Pkk che, oggi, ha nelle galere turche oltre 10mila prigionieri politici (compreso il leader del partito Ocalan). Per questo, quando lo scorso anno il Pkk ha ritirato la maggior parte dei suoi combattenti dalla Turchia, annunciando la fine dei combattimenti nel sud-est del Paese e cambiando il nome in Kadek (Kurdistan Freedom and Democracy Congress), il governo di Ankara ha rifiutato il cessate il fuoco dicendo di voler continuare a combattere fino alla resa totale dei ribelli, mentre Unione Europea e Stati Uniti hanno risposto inserendo il partito tra i gruppi terroristici ?alla Al Qaeda?. Una seconda guerra del Golfo rischierebbe di aggravare ulteriormente la situazione dei kurdi-turchi, in balia dell?esercito di Ankara. A meno che, in caso di conflitto, Washington non faccia sentire con forza alla Turchia la sua voce, in difesa dei diritti umani.

In Iran, i kurdi sono sei milioni e sono rappresentati dall?Unione Patriottica del Kurdistan (Puk) che è combattuta dal regime sciita di Teheran da trent?anni, in una guerra che ha causato, fino ad oggi, 17mila morti. I kurdi iracheni, invece, sono 4,5 milioni in tutto (pari al 22% della popolazione del Paese guidato dal dittatore Saddam), sono organizzati in due partiti politici che si sono combattuti sino a pochi anni fa e portano avanti – dal 1961 – una lotta contro il regime del raìs, simile a quella dei kurdi-turchi contro Ankara. Particolare non di poco conto è che il dittatore di Baghdad, a differenza della Turchia, ha usato le armi chimiche in spregio ad ogni diritto fondamentale e, nel marzo del 1988, la cittadina di Halabja si trasformò in una gigantesca camera a gas: l?eccidio si consumò senza che in Occidente nessuno (o quasi) alzasse la voce per condannare quella barbarie. Con la pulizia etnica da quando è al potere, Saddam ha causato almeno 100mila morti e due milioni e mezzo di profughi tra i kurdi. Dal 1991, dopo l?imposizione Onu della ?No Fly Zone? nel nord dell?Iraq, la situazione è migliorata di molto. Purtroppo, nell?interim che intercorse tra la fine della Guerra del Golfo e la creazione delle aree protette nel nord del Paese, Saddam ebbe sei mesi di ?mano libera?, in cui si vendicò dei kurdi che si erano ribellati durante i bombardamenti del gennaio-febbraio 1991, uccidendone almeno altri 100mila. L?Iraq settentrionale, oggi, è sotto il controllo di due partiti kurdi, il Puk di Jalal Talabani (sostenuto dalla Turchia) e il Kdp guidato da Massoud Barzani ma, da quando le truppe di Saddam non hanno più il controllo del Kurdistan iracheno, si assiste spesso all?ingresso clandestino dei kurdi-turchi del Pkk. Unico inconveniente è che, data l?assenza dell?esercito di Baghdad al confine, sempre più spesso le truppe di Ankara sconfinano in Iraq per inseguire i kurdi del Pkk, aggiungendo un?ulteriore tensione nell?area. Con lo scoppio della guerra, i Turchi hanno già fatto sapere a Washington che saranno ?costretti? a intervenire nel nord dell?Iraq, anche per impedire quello che è per loro un vero e proprio incubo: la creazione di uno stato indipendente kurdo ai suoi confini. I due partiti iracheni che controllano la parte settentrionale dell?Iraq hanno collaborato negli ultimi due anni ma la guerra di oggi rischia di far riesplodere le lotte intestine ed aggravare la diaspora di un popolo che, da troppo tempo, è usato strumentalmente dalle potenze dell?area. Oltre a discreditare ulteriormente il nostro modello presso quel popolo, che nel 1986 adorava l?Occidente, nel 1996 lo guardava con sospetto e, nel 2006, potrebbe arrivare ad odiarlo. Soprattutto se le vittime della guerra saranno, per l?ennesima volta, i kurdi: il popolo senza patria.

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