Volontariato

Iraq: come uscire dal caos

Nino Sergi, direttore di Intersos, Ong italiana che ha ancora 23 operatori in Iraq: "La gestione politica della crisi irachena deve prendere il sopravvento sulla gestione militare"

di Nino Sergi

Sono giorni di grande costernazione, di dolore e di lutto per le vittime di Nassiriya. Giorni che hanno dato una più lucida coscienza della cruda realtà dell?Iraq con il suo crescente numero di vittime, italiane e di altri paesi occidentali ma anche e soprattutto irachene. Sarebbe forse giusto rimanere ancora per un po? in silenzio, come abbiamo fatto da quel tragico mattino, ma gli eventi non lo permettono. Le vittime, tutte le vittime, quelle che ci sono state e quelle che purtroppo ci saranno ancora, ci impongono di uscire dal raccoglimento per fornire un contributo di analisi e proposte. Ne sentiamo il dovere, data la forte presenza di INTERSOS in Iraq con ancora 23 operatori umanitari internazionali, in varie aree e vari settori di intervento, e dato il rapporto di solidarietà che ci unisce alla popolazione. Già lo scorso primo settembre, dopo gli attentati alla sede dell?ONU e alla moschea di Najaf, in un comunicato dal titolo ?Uscire dal caos dell?Iraq? avevamo espresso alcune valutazioni e indicazioni che riteniamo tuttora valide (VITA, n. 37). Vogliamo ora inserirle nel modificato contesto, tenendo conto delle nuove decisioni che si stanno assumendo in sede internazionale. 1. Gli iracheni. La popolazione ha bisogno di aiuto. La guerra e, soprattutto il dopo guerra, ha aggravato la situazione sociale ed economica. La gente non sta bene; molti sono senza lavoro e le loro famiglie hanno difficoltà a vivere; i furti e il banditismo sono cresciuti creando ulteriore insicurezza e paura. Le misure adottate dal Governo della Coalizione non sono sufficienti, sono lente, tardive, spesso sbagliate, senza strategia, contraddittorie. Gli iracheni si sentono esclusi. Non solo le centinaia di migliaia del partito Baath e delle forze armate, messi automaticamente al bando con un?insensata e controproducente decisione, ma anche quelli chiamati a posizioni di responsabilità (talvolta nominati dalle stesse comunità locali) che vivono malamente un?assoluta subalternità alle decisioni della Coalizione, sentendosi colonizzati e impotenti. Il malcontento è crescente. Anche la presa di coscienza da parte di molti iracheni che occorra – perfino collaborando con le forze occupanti – mettere fine al terrorismo che colpisce tutto e tutti creando instabilità, morti indiscriminate, insicurezza e povertà si sta affievolendo: per paura e per sfiducia nel sostegno e nelle reali capacità e volontà internazionali. Nel complesso la gente comunque vive, con grande voglia di ricostruire, ricominciare, lavorare per un paese nuovo: non va abbandonata né delusa. Ma il tempo a disposizione per poterglielo dimostrare è rimasto ormai veramente poco. 2. Le forze occupanti e i loro alleati. La nuova presa di coscienza della difficoltà (e degli errori commessi) da parte della Coalizione può ora portare a quelle decisioni che, se fossero state prese prima, nel giusto momento, avrebbero potuto segnare un diverso cammino per l?Iraq. È forse anche – lo speriamo vivamente – la fine dell?arroganza. La fine cioè della fede nella forza militare come mezzo per la soluzione dei problemi internazionali compreso il terrorismo, per l?esportazione-imposizione della democrazia e, in definitiva, per la difesa degli ?interessi nazionali?; la fine della negazione della supremazia della politica e dell?insofferenza verso le diversità delle posizioni di paesi alleati; la fine della tracotante convinzione di autosufficienza e del non riconoscimento delle sedi politiche multilaterali a partire dall?ONU. 3. L?ONU. Dopo averne negato il ruolo, umiliando l?unica Istituzione politica globale esistente, la Coalizione ne ha poi riconosciuto, nel dopoguerra, un ruolo ?vitale? che, secondo la Risoluzione 1511 andrà ?rafforzato?. L?ambiguità della terminologia viene oggi superata dalla nuova realtà che richiede con ancora maggiore forza una leadership per la fase di transizione neutrale, estranea cioè al conflitto e all?occupazione; leadership che solo un?organizzazione multilaterale come l?ONU potrebbe garantire, pur con le difficoltà e carenze che le sono proprie. L?Istituzione va certo riformata e in fretta, in particolare nella composizione del Consiglio di Sicurezza, va dato più spazio al mondo musulmano oggi iniquamente sminuito, va resa più trasparente e democratica. Ma anche con i suoi tanti limiti e le sue debolezze – e forse proprio grazie ad esse – l?ONU si dimostra oggi, in Iraq indispensabile ed insostituibile. Lo sguardo di INTERSOS è volto alle popolazioni e al loro benessere e fonda la propria analisi e azione sui principi fondamentali di indipendenza e imparzialità. Alcuni punti ci paiono ormai chiari, anche se di difficile attuazione, dato il peggioramento della situazione. La guerra è stata un grave errore, come errata è stata la gestione del dopo guerra, ma sarebbe un errore altrettanto grande lasciare ora gli iracheni al proprio destino sostenendo il ritiro delle truppe, giusto e quindi condivisibile come posizione di principio, ma non attuabile senza una valida, contemporanea e altrettanto condivisa strategia politica. 1. La gestione politica della crisi irachena deve prendere il sopravvento sulla gestione militare, con decisioni che vanno prese ed attuate in tempi molto stretti e con l?acquisizione del massimo consenso interno ed internazionale, a partire dai paesi della regione. 2. Alle Nazioni Unite, rivalutate e politicamente rafforzate, va quindi restituito il ruolo fondamentale di pacificazione e di ricostruzione politica ed economica del paese. A loro, con il consenso dei rappresentanti del popolo iracheno, spetta di definire il mandato, l?ampiezza e la titolarità del comando delle forze di peace keeping. A loro spetta la programmazione ed il coordinamento degli aiuti, da quelli umanitari a quelli per la ricostruzione. 3. Presto – e non entro il prossimo mese di giugno – va costituito un Governo provvisorio iracheno dotato di reali poteri e reale autonomia, rappresentativo di tutte le componenti politiche e religiose, sostenuto dalla comunità internazionale sia finanziariamente che nella formazione e nel rafforzamento delle nuove istituzioni, isolando così le forze legate a Saddam Hussein e quelle legate al terrorismo internazionale. Al fine dello sviluppo delle nuove istituzioni civili e militari vanno inoltre recuperate tutte le capacità e le forze irachene disponibili, senza alcuna esclusione politica. 4. Abbiamo considerato illegittima l?occupazione militare del paese, peraltro avversata dalla maggioranza degli iracheni. Il ritiro delle attuali forze militari dovrà quindi avere luogo come atto riparatore e di formale cambiamento agli occhi degli iracheni e della comunità internazionale. Esso può avvenire però solo a seguito di una valida, precisa e condivisa strategia politica definita dall?ONU, con la piena partecipazione dei paesi dell?area e dell?Autorità transitoria irachena, che definirà anche la composizione e il mandato della forza di sicurezza e di peace keeping necessaria. Altrimenti banditismo, saccheggi, vendette, disordini e sopraffazioni si moltiplicherebbero a danno della popolazione civile e potrebbe divenire realtà l?ipotesi di una sanguinosa guerra civile. 5. L?Europa e l?Italia. Se esiste ancora una speranza di uscire dal caos iracheno, questa passa anche dall?impegno dell?Europa. L?Italia ha la presidenza del Consiglio europeo; ha deciso di allearsi alla Coalizione fin dalla prima ora; ha avuto i suoi morti. Si trova quindi nelle condizioni migliori per sollecitare quella volontà europea che non è ancora riuscita ad esprimersi al fine di un confronto leale ma franco con gli Stati Uniti. La presidenza italiana proponga immediatamente un?iniziativa dell?Europa, riprendendo le posizioni di Francia e Germania, per rilanciare il ruolo dell?ONU in Iraq e per coinvolgere i paesi della regione mediorientale. Pur con la necessaria prudenza e valutando quotidianamente la realtà in cui opera, INTERSOS continua a rimanere in Iraq finché vi saranno le condizioni e finché i suoi operatori non si sentiranno in pericolo. Lo sentiamo doveroso non perché ci viene chiesto, imprudentemente e sconsideratamente, da governi della Coalizione (che così facendo rendono ancora più difficile la nostra permanenza che deve essere e apparire pienamente indipendente e imparziale), ma per dare continuità al patto di solidarietà stabilito con la popolazione irachena che rimane la nostra unica e migliore garanzia di sicurezza.


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