Cultura

Iraq. Berlusconi: “L’Italia resta”. Ulivo pronto a mozione per il ritiro

Mentre Berlusconi e Fini riaffermano agli Usa la volontà del governo di "restare in Iraq oltre il 30 giugno" l'opposizione (unita) si avvia a chiedere "il ritiro immediato" delle truppe

di Ettore Colombo

L’Italia non si ritirera’ dall’Iraq, neanche dopo il 30 giugno. A riaffermarlo sono sia il premier Silvio Berlusconi da Londra che il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini da Washington, che parla di una ”gestione politica” dei sequestrati e ”un tentativo di destabilizzare le istituzioni”. Le affermazioni di Berlusconi e Fini giungono nel giorno in cui i famigliari degli ostaggi decidono di dar vita, giovedi’ prossimi, ad una manifestazione a Roma che, alle ore 17, partira’ da Castel sant’Angelo per giungere in piazza San Pietro. Manifestazione o no, Fini non ha dubbi sulla reale portata del video con le minacce di morte trasmesso ieri dalla tv araba Al Arabiya e sull’ultimatum posto dai sequestratori dei tre italiani. Al termine dell’incontro con il vicepresidente dell’amministrazione Usa Dick Cheney, Fini infatti sottolinea: ”E’ un attacco rivolto sia alla maggioranza che all’opposizione”. E aggiunge: ”Fa piacere che tutte le forze politiche abbiano rigettato quel ricatto”. Rispondendo poi a un’ulteriore domanda relativa alle manifestazioni che si annunciano per il 1 maggio, il leader di Alleanza nazionale si e’ limitato a una battuta: ”Ci mancherebbe altro che per il 1 maggio non si manifestasse per il lavoro”. ”Ancora per qualche tempo si rendera’ necessaria mantenere la presenza delle nostre truppe in Iraq. Avremo un passaggio in Parlamento, ma non siamo intensionati a ritirarci dopo il 30 giugno”, precisa il leader di An incontrando i giornalisti presso l’ambasciata italiana dopo gli incontri avuti con il vicepresidente Cheney e il segretario alla Difesa Rumsfeld. Fini dice poi di essere relativamente ottimista sulla possibilita’ di arrivare a una nuova risoluzione delle Nazioni Unite, considerati i diversi appuntamenti in programma per i protagonisti della comunita’ internazionale, giudicata necessaria. E ricorda la ”favorevole congiuntura temporale che portera’ prima il presidente del Consiglio Berlusconi negli Stati Uniti il prossimo 19 maggio, il viaggio di Bush a Roma e poi in Normandia, dove avra’ forte valenza simbolica l’incontro con Chirac, Schroeder e Blair”. Insomma, tutto il quadro della diplomazia occidentale e’ in movimento per arrivare ad una risoluzione che consenta ”un consistente trasferimento di quote di sovranita’ all’Iraq”.

Intanto, dall’altra parte, è ormai matura la svolta zapaterista della lista Prodi. La mozione parlamentare per il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq non sara’ presentata da Fassino, Rutelli e Boselli questa settimana, soprattutto per non dare l’impressione di un cedimento al ricatto dei terroristi, ma con tutta probabilita’ il passo sara’ compiuto tra una, due settimane, comunque prima della chiusura delle Camere per le europee che scattera’ il 28 maggio. ”Non sussistono piu’ le condizioni perche’ la missione italiana continui”, dice Luciano Violante, e intanto si chiede al governo una informativa in Parlamento sugli ostaggi italiani. Quanto all’altro dilemma che da ieri incombe sul centrosinistra circa la partecipazione o meno al corteo promosso dai familiari dei tre ostaggi italiani, certamente non ci saranno adesioni di partito da parte di Ds, Dl, Sdi e Repubblicani, ma semmai individuali. ”I margini sono sempre piu’ stretti”, ammette Francesco Rutelli aprendo la riunione del Comitato nazionale del Listone. E dunque se ”nelle prossime settimane” non ci sara’ una svolta nella gestione della vicenda irachena – chiarisce Fassino, pessimista su questa possibilita’ dopo il colloquio avuto mercoledi’ scorso con Lakhdar Brahimi – ”noi proporremo al Parlamento di prendere atto della necessita’ di un ritiro”. E indica come data ultima proprio il 28 maggio. Anche Enrico Boselli pronuncia la fatidica parola: ”Se entro il 30 giugno non c’e’ una svolta radicale allora le nostre truppe si devono ritirare”. La posizione del vertice diessino favorisce un primo disgelo col Correntone, anche se quest’ultimo, nella riunione del gruppo della Camera di questa sera, insiste, con Fabio Mussi, perche’ la mozione, che dovrebbe compattare tutto il centrosinistra, venga presentata la prossima settimana. Sul ritiro immediato continuano poi ad insistere l’area Salvi, il Pdci, i Verdi, Occhetto-Di Pietro e il Prc, mentre Clemente Mastella si dissocia comunque dalla richiesta del ritiro. Piu’ sfumate le posizioni dopo l’appello ultimativo alla protesta lanciato dai sequestratori di Agliana, Stefio e Cupertino. Il no al ricatto e’ unanime, ma si e’ aperta la delicata questione non tanto delle manifestazioni del Primo Maggio, quanto del corteo organizzato per giovedi’ a Roma dai familiari dei rapiti e dai sindaci locali. Andare o no? La linea e’ che ogni strada va tentata per la liberazione dei tre italiani, e poi si tratta di una iniziativa umanitaria, e non di un cedimento ai rapitori. Tanto che perfino nel centrodestra albergano dubbi. ‘Bisogna favorire le adesioni individuali – dice il segretario dei Ds ai rappresentanti della Tavola per la pace – ma i partiti non devono aderire in quanto tali”. A spiegare il perche’ non si puo’ disertare la manifestazione del 29 interviene anche Walter Veltroni: ”Un appello che viene dai familiari degli ostaggi ha un significato del tutto particolare, che nasce dal dolore, la cosa del tutto inaccettabile e’ l’appello dei terroristi”. Piu’ prudente il leader dei Dl: ”Pendendo il ricatto, non ci puo’ essere alcuna iniziativa politica ne’ istituzionale. Guardiamo pero’ con rispetto e interesse alle iniziative umanitarie delle famiglie dei rapiti”. La Margherita comunque sembra piu’ orientata a non farsi vedere al corteo di Castel S. Angelo (”ben vengano le manifestazioni dei familiari, ma e’ opportuno che i partiti stiano un passo indietro”, dice Dario Franceschini), mentre i Ds ”come singoli” quasi certamente ci saranno. Anche se e’ da valutare chi. I Verdi andranno, anzi secondo Pecoraro Scanio dovrebbero esserci tutti i leader del centrosinistra, sia pure senza bandiere. Anche Rifondazione sembra orientata a partecipare, cosi’ come molte organizzazioni pacifiste e i Disobbedienti romani. Le manifestazioni del primo maggio, poi, ”convocate da molti mesi”, come ricorda Fassino, si terranno come previsto. ”Noi ci comportiamo come sempre – spiega Massimo D’Alema – Non ci facciamo condizionare dal ricatto dei terroristi, ne’ in un senso ne’ in un altro”. Piuttosto il tradizionale concerto romano organizzato dai sindacati ”puo’ essere l’occasione – propone il segretario dei Ds – per lanciare un grande appello per la liberazione senza condizione degli ostaggi”. Intanto in casa Ds si registra un avvicinamento tra Correntone e maggioranza. Nella riunione del direttivo della Quercia di stamane Fabio Mussi annuncia che sta maturando nel partito ”una posizione favorevole al ritiro del contingente italiano. Il tempo stringe. E’ vero pero’ – ammette Mussi – che ci sono gli ostaggi e per qualche giorno c’e’ bisogno di una certa prudenza”. Piu’ tardi il leader della minoranza, al comitato nazionale del Listone, interviene per chiedere la mozione in tempi stretti. La scadenza del 28 maggio indicata da Fassino viene giudicata troppo lunga. Ma nella riunione del gruppo a Montecitorio le parole di Luciano Violante vengono giudicate dal Correntone ”la rottura di un tabu”’: ”Si e’ esaurito il senso stesso della presenza italiana in Iraq – dice il capogruppo Ds – non sussistono piu’ le condizioni per la nostra permanenza”. Ma Violante ha anche detto che questo vale nel caso non ci sia una svolta entro maggio, chiosa il responsabile esteri della Margherita Lapo Pistelli, convinto che in questa fase occorre dare il massimo di aiuto all’iniziativa diplomatica del consigliere speciale per l’Iraq di Kofi Annan Lakhdar Brahimi.

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