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Iraq: analisti cauti sul voto, non è ancora una svolta

Il voto "è il momento migliore dalla caduta di Saddam, ma arriva con diciotto mesi di ritardo''.

di Chiara Brusini

Con un’alta affluenza alle urne e una guerriglia praticamente relegata ai margini, il voto in Iraq e’ stato particolarmente importante, ma non e’ ancora il punto di svolta, la rimozione dell’ultimo ostacolo sulla strada della stabilizzazione e della democrazia.

All’entusiasmo di George Bush e della sua amministrazione – scrive il Washington Post – fa da controcanto la cautela di esperti e analisti, che frenano l’entusiasmo di chi esalta le lunghe file davanti ai seggi e la partecipazione di tutte le componenti della società.

Al presidente americano che parla di ”pietra miliare”, al segretario alla Difesa Donald Rumsfeld che inneggia alla ”sconfitta per chi sta dietro a decapitazioni e attentati suicidi” e al segretario di Stato Condoleezza Rice che festeggia il ritorno dell’Iraq alla sua essenza di ”grande nazione”, rispondono gli analisti, anche del partito repubblicano. Come il senatore della South Carolina Lindsey Gaham, secondo cui il voto, se ha rappresentato una ”seconda chance” per gli iracheni, non puo’ certo essere visto come la soluzione a tutti problemi del Paese.

Lo stesso approccio è adottato da Anthony Cordesman, esperto di Medio Oriente del Centro per gli studi strategici e internazionali, per cui le elezioni non solo non sono un punto di svolta, ma potrebbero solo anticipare un periodo di forte contrapposizione politica che rischia di provocare nuovi e piu’ gravi disordini e spaccature. Per Henry Barkley, ex funzionario del dipartimento di Stato oggi docente all’universita’ di Lehight, il voto ”e’ il momento migliore dalla caduta di Saddam, ma arriva con 18 mesi di ritardo”.

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