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Iraq, alle urne in massa

Nonostante gli attentati, sussulto popolare della fragile democrazia

di Franco Bomprezzi

Mentre in Italia le elezioni sono tema di scontro politico senza precedenti, attorno al rispetto delle regole, l’Iraq dà una insospettata prova di vitalità democratica, facendo registrare un afflusso altissimo alle urne, nonostante gli attentati. E così oggi dedichiamo la rassegna stampa a questo argomento.

“Il coraggio degli iracheni: alle urne tra le bombe” titola il CORRIERE DELLA SERA in prima pagina: «Voto nel sangue in Iraq, ma la popolazione ha fatto la coda ai seggi nonostante gli attentati non hanno provocato quasi 40 morti. Alta l’affluenza ai seggi chiusi alle 17. I servizi interni alle pagine 12 e 13. A Franco Venturini il compito di tracciare lo scenario in cui avviene la consultazione. Questo l’incipit: «Per una volta non è retorico definire storiche le elezioni in Iraq. Nel senso che saranno decisive, che faranno la storia, che ci diranno presto quale sarà la sorte del martoriato paese e con quali conseguenze dovrà fare i conti Barack Obama». “Al seggio sfidando le bombe” è invece il reportage firmato da Lorenzo Cremonesi: «Un dato che circolava in serata fra le tv locali era che il 60% dei 19 milioni di iracheni aventi il diritto di voto sarebbe andato alle urne. Circa l’8% in più rispetto al 2005». Lo stesso Cremonesi firma anche due pezzi da legge: “Le donne non si fermano più: «vogliamo più diritti»” e la storia di al Jubburi, il picconatore della statua di Saddam che oggi dice: «Una volta avevamo un ladro alla guida del Paese. Ora sono diventati tanti» e poi «non credo a tutti questi burattini controllati da Teheran, Washington o dall’Arabia Saudita». 

LA REPUBBLICA apre con gli interni (“In piazza conto il salva-liste”) e dedica all’Iraq la foto-notizia, cui fanno seguito due pagine, la 2 e  la 3. “Le bombe non fermano il voto l’Iraq in massa alle urne le elezioni sono un successo”. Riferisce Bernardo Valli: l’affluenza è stata più forte e massiccia del previsto arrivando in alcune zone, sunnite, al picco del 90%; in crescita anche nelle aree sciite. Un risultato notevolissimo visto che già dalla mattina, ieri, hanno cominciato a esplodere bombe, razzi mortai. Il giorno è iniziato con un attacco terroristico in piena regola – 40 morti e decine di feriti – ma gli iracheni hanno risposto scegliendo la democrazia. Per i risultati occorre aspettare: lo spoglio sarà lungo (favoriti Al-Malik e Allawi), intanto, nota Valli, «la partecipazione al gioco democratico della minoranza sunnita rinnova il paesaggio politico iracheno. E favorisce la posizione del paese nel mondo arabo, dove sussisteva la diffidenza delle grandi capitali sunnite (da Riad al Cairo) nei confronti di un paese dominato dagli sciti». In appoggio da New York Angelo Aquaro riferisce circa le reazioni politiche: “Obama «Una pietra miliare malgrado gli attentati andiamo avanti con il ritiro»”. Il presidente Usa ha aggiunto: «ho grande rispetto dei milioni di iracheni che si rifiutano di essere intimoriti dagli atti di violenza e che hanno esercitato il loro diritto. La loro partecipazione dimostra che l’Iraq ha scelto di disegnare il proprio futuro attraverso il processo politico».

E’ un commento di Fiamma Nirenstein a introdurre dalla copertina de IL GIORNALE il tema delle lezioni in Iraq dal titolo “Bush aveva ragione: da Bagdad speranza di libertà” perché Nirenstein spiega: «L’ex presidente e il suo gruppo avevano capito come i dittatori abbiano i piedi di argilla. Non posso dimenticare il senso di sollievo quando vidi il 15 dicembre 2005 la foresta di dita blu sollevate dopo il voto dalle donne velate e dagli uomini in coda davanti ai seggi che avevano sfidato la reazione sanguinaria del saddamismo». E oggi La cronaca di Micalessin mette in chiaro che le “Bombe di Al Qaeda non fermano gli iracheni” e di coraggio ce n’è davvero visto che «esplosioni, razzi katyusha e colpi di mortaio ai seggi uccidono quasi 40 persone e fanno almeno 100 feriti. Ma la popolazione ha affrontato le minacce e l’affluenza è salita oltre il 60%. I primi risultati giovedì».

“Iraq, il voto batte anche il terrorismo”. Una donna solleva la sua impronta viola dopo aver votato in un seggio di Mosul nella foto in prima pagina su LA STAMPA. Ad aprire il servizio a pagina 6 è il corrispondente da New York Maurizio Molinari, che spiega anche la posizione tenuta degli americani in questi giorni. «Washington temeva che le violenze potessero innescare una spirale di scontri inter-etnici» scrive, «e proprio per scongiurare l’infiltrazione di cellule dal vicino Iran il confine orientale iracheno è stato sigillato». Le forze armate americane, inoltre «hanno fatto attenzione a non mostrarsi in pubblico». Nonostante le intimidazioni di gruppi della guerriglia, le operazioni di voto si sono svolte con regolarità in tutto il Paese, tanto che «fino a tarda sera le radio locali concentravano i resoconti di cronaca non sulle violenze avvenute ma sulla sfida per la guida del futuro governo». Sugli scenari che si apriranno dopo il voto LA STAMPA intervista Marina Ottaway dell’istituto Carnegie di Washington: «I primi risultati parziali arriveranno giovedì» dice.  «Ma per formare un governo ci vorranno comunque da tre a sei mesi». Nel frattempo chi reggerà lo Stato? «La costituzione non è chiara a questo riguardo» dice l’esperta. «I partiti sunniti chiederanno probabilmente una grande coalizione. Curdi e sciiti cercheranno la continuità mente andranno avanti le trattative per la spartizione del potere».

E inoltre sui giornali di oggi:

8 MARZO
IL GIORNALE – Intervista a Mara Carfagna “ Con me al Governo le donne sono più forti” perchè il ministro dice, rispondendo a Barbara Benedettelli, «il 2010 è dedicato alle donne che lavorano e hanno figli, quindi asili nido nei condomini e nei posti di lavoro e un albo delle baby sitter. Abbiamo stanziato 40 milioni di euro per i servizi alle mamme e all’infanzia». E inoltre «Abbiamo introdotto la legge sullo stalking, dopo 15 anni rispetto al resto d’Europa e i risultati già si vedono. Lo stalking è l’anticamera del 40% dei reati di violenza sessuale, reati per cui abbiamo introdotto le aggravanti, il divieto di arresti domiciliari, la difesa gratuita per le vittime. Poi  ho voluto che l’Italia adottasse la Convezione di Lanzarote per la tutela dei minori  con l’introduzione del reato di adescamento di minori su internet». Il GIORNALE pubblica uno stralcio del libro “L’inganno” di Souad Sbai, in uscita per le edizioni Cantagalli. Dalla recensione a pag. 15 si legge: «Attraverso un’attenta analisi della condizione delle donne musulmane in occidente la deputata del parlamento italiano denuncia le ipocrisie del politicamente corretto».

NIGERIA
LA REPUBBLICA –  “Nella Nigeria dei massacri dove cristiani e musulmani si uccidono in nome di Dio”. Reportage di Guido Rampoldi: ieri l’ultima strage con 500 morti, cristiani di Doko Nahawee. È solo l’ultima tappa di una battaglia sciagurata  di cui il cronista traccia i contorni: il sud del paese è a maggioranza cristiana, mentre sul totale i musulmani rappresentano il 50% della popolazione. «Come altrove in Asia e in Africa, anche in Nigeria ne profitta tanto l’estremismo islamico quanto il cristianesimo dei pentecostali, un credo che ha conosciuto un boom spettacolare nell’ultimo secolo».

CORRIERE DELLA SERA – “Nigeria, 300 cristiani uccisi a colpi di machete” è il titolo di pag 16. Questo il racconto di Paolo Salom: «Gli assalitori, pastori nomadi musulmani. Di etnia fulani, hanno colpito i loro nemici contadini cristiani, con la ferocia dei predatori affamati. Al mattino quando finalmente sono arrivati nella zona i militari che da anni cercano invano di frapporsi tra le etnie, le strade erano ricoperte di cadaveri, l’aria oscurata dai nugoli di mosche attirati dall’odore della morte. Grehory Yenlong, commissario dello stato del Plateau per l’Informazione, ha parlato di almeno 300 cadaveri, la maggior parte donne e bambini, quasi tutti uccisi a colpi di machete. Ad alcuni è stato dato fuoco».  

LA STAMPA – “Nigeria, cristiani uccisi con il machete” titola a pagina 16 un articolo soprattutto di analisi del corrispondente Domenico Quirico da Parigi. A compiere i massacri della scorsa notte a Jos, in cui sono stati uccisi centinaia di contadini, sedentari, cristiani di etnia Berom, sarebbero stati membri delle popolazioni fulani, «pastori nomadi musulmani malvisti dai contadini». Il furto di alcuni capi di bestiame sarebbe la fragile scusa della carneficina, in realtà ad innestarsi sugli scontri inter-etnici sono diversi fattori. «Le violenze sono croniche in questa frontiera interna» scrive Quirico, «ma la frattura religiosa si sovrappone ad un’altra più antica e profonda, quella fra “indigeni” e “immigrati. In Nigeria un indigeno (come è scritto scriteriatamente anche nella Costituzione) è colui che può dimostrare che i suoi antenati sono originari di uno dei 36 stati della federazione. Il nativo di uno stato meridionale, invece, potrà vivere anche 40 anni in una regione del Nord, ma sarà sempre uno straniero. «La xenofobia contro questi immigrati interni si è inasprita negli ultimi anni» scrive Quirico, a questo si aggiunge la fragilità attuale dello Stato, con il presidente Umary Yar’Adua, malato, che ha vissuto negli ultimi mesi in un ospedale in Arabia Saudita, e c’è chi dice che questa volta dietro i fulani ci sarebbero anche i movimenti fondamentalisti del Nord musulmano, più o meno legati ad Al Qaeda.

LIVE AID
IL GIORNALE – Il quotidiano di Vittorio Feltri  riporta la denuncia che la radio BBC ha fatto a proposito della raccolta fondi dell’evento, a metà degli anni 80, Live Aid per l’Etiopia. Fausto Biloslavo scrive: « Una montagna di soldi – 250 milioni di dollari- è finita nella mani dei guerriglieri di allora, oggi al potere, per comparsi le armi». La raccolta fondi era partita dal mega concerto organizzato da Bob Geldof che ora, furioso, chiede le prove  o querela. Ai microfoni della BBC parlano Gebremedhin Araya e Aregawi Berhe, al tempo dei fatti protagonisti e oggi testimoni.

REGIONALI
LA REPUBBLICA – Nelle molte pagine che il quotidiano di Ezio Mauro dedica a questa vicenda, segnalo l’intervista al governatore Formigoni: “La mia lista in regola senza decreto col fuoco amico faremo i conti dopo”. «La mia candidatura non è stata recuperata grazie a una leggina», esordisce giustamente soddisfatto il presidente lombardo: la Polverini «poveretta, lei non è ancora stata riammessa. Però è certo: quel provvedimento a noi non era necessario. Posso dire ai lombardi che chi li ha governati per 15 anni ancora una volta ha fatto la cosa giusta». Per quanto riguarda il pasticcio delle liste: «Dico solo che non mi sono piaciuti certi toni che hanno usato alcuni militanti del Pdl e della Lega. E neppure le discussioni che ci sono state tra qualche mio assessore… Ci sarà l’occasione di parlarne dopo il voto: chi ha orecchie per intendere intenda».

PROCESSI
IL SOLE 24 ORE – “A palazzo Madama Ddl blocca-processi in dirittura d’arrivo” di Roberto Turno parla de «lo scudo per il premier contro i processi che lo riguardano» e a «la garanzia delle cure palliative e della terapia del dolore per tutti i malati cronici e terminali per portare finalmente l’Italia della salute nel novero dei paesi civili». Si parla di «due leggi di segno totalmente contrapposto – l’una a valenza ristretta (il premier e i ministri), l’altra a carattere generale – potrebbero essere varate definitivamente in questi giorni da Camera e Senato». Tutto questo tenendo conto che «Con l’improvviso irrompere sulla scena dell’ingombrante “pratica elezioni regionali”, infatti, i calendari delle due Camere potrebbero andare incontro a scombussolamenti in piena corsa, anche per effetto del prevedibile acuirsi dei contrasti politici». 

LAVORO
ITALIA OGGI – Approfondimento in prima pagina sul collegato lavoro, una legge approvata mercoledì scorso dal parlamento che si propone di modernizzare numerosi aspetti della disciplina giuslavorativa. Secondo il pezzo “Lavoro in cerca di certezze”, le novità di questa legge sono la certificazione del rapporto di lavoro e la procedura arbitrale per limitare i tempi delle controversie. L’articolo 18 non è stato toccato. La riforma è composta da 50 articoli. Secondo l’analisi del quotidiano dei professionisti gli articoli più interessanti «sono probabilmente quelli che si propongono di dare maggiori certezze a lavoratori e imprese sul futuro del rapporto di lavoro nel momento in cui lo vanno a stipulare».

VALLANZASCA
IL GIORNALE – Pagina dedicata a Renato Vallanzasca, il titolo “Ora esce pure Vallanzasca. In semilibertà per lavorare”. L’occhiello anticipa il taglio dell’articolo a firma di Enrico Silvestri: “Era stato condannato a quattro ergastoli e 460 anni di reclusione. Dalla mattina alla sera sarà in una pelletteria che gli ha offerto il posto”. «Uscirà dal carcere per andare a lavorare. Tutte le mattine alle 7.30 lascerà il carcere di Bollate inforcherà la bicicletta per raggiungere la cooperativa  in cui cucirà borsette quindi di nuovo  in sella entro le 19 di ritorno al carcere, seguendo un percorso preciso. Se sgarra, itinerario o orario, scatta l’allarme».


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