Non profit

Iran, Sakineh e le altre

Bloccare la lapidazione, sottoscrizione di Amnesty

di Franco Bomprezzi

Cresce la mobilitazione per scongiurare l’esecuzione di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per lapidazione. I giornali italiani, nonostante uno sfoglio ampiamente dedicato alle fibrillazioni della politica, dedicano ampio spazio, per fortuna, anche a questa drammatica vicenda, che Vita segue sin dal primo giorno. Segnaliamo, prima della consueta rassegna, il link alla sottoscrizione di firme curata dalla sezione italiana di Amnesty International: http://www.amnesty.it/pena_di_morte_Iran_lapidazione_adulterio

Richiamo in prima pagina e servizi a pag 15 per la mobilitazione a favore di Sakineh sul CORRIERE DELLA SERA di oggi che centra i servizi sull’intervento del capo dello stato che ha aderito alla campagna mondiale per salvare la vita alla prigioniera iraniana. «…L’Italia insieme alla Francia è ora in prima linea nella difficile missione di impedire a Teheran l’esecuzione – per lapidazione – della donna simbolo di migliaia di prigionieri e centinaia di condannati a morte in Iran. Che vedono avvicinarsi il rischio delle esecuzioni con l’imminente fine del Ramadan», scrive Cecilia Zecchinelli. Viviana Mazza nel suo “Il silenzio dei leader dell’Onda verde: «Ci sono altre battaglie»”, mette la lente sul dibattito interno all’opposizione al regime. Il silenzio dei leader dell’Onda Verde viene spiegato così dal giornalista Farahmand Alipour, considerato vicino all’oppositore Mehdi Karroubi: «Quando Kouchner dice che quella di Sakineh è una questione nazionale, io mi chiedo: perché i leader europei non hanno detto niente quando quattro mesi fa cinque attivisti iraniani sono stati impiccati?». Alipour spiega pure che Karroubi e Mousavi non sono favorevoli alla lapidazione, ma sanno che se lo dicessero, gli estremisti li accuserebbero di fare il gioco dei regimi occidentali, di tradire l’Iran e il Corano.

Per difendere la vita della donna iraniana, accusata di adulterio, scendono in campo i premi nobel come Shirin Ebadi, iraniana, e altri tredici personaggi autorevoli del calibro di Umberto Veronesi, Ingrid Betancourt, Umberto Eco, l’economista John Broome, Rita Levi-Montalcini. Un appello lanciato da LA REPUBBLICA, a cui oggi il quotidiano diretto da Ezio Mauro dedica la spalla in prima e una doppia pagina interna (14-15): la protesta dei Nobel da un lato, e le parole di Giorgio Napolitano in difesa di Sakineh dall’altro. Sullo sfondo la presa di posizione dell’Unione europea e in particolar modo dei parlamentari di Strasburgo. «La posizione del governo italiano in merito alla vicenda della condanna a morte dell’iraniana Sakineh Muhammadi Ashtiani è stata netta e non solo di principio: c’è stata un’iniziativa nei confronti del governo iraniano e lo stesso ministro Frattini mi ha riferito che nessuna decisione è stata presa». Le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, suonano infatti come una risposta diretta alle accuse mosse da Teheran, secondo le quali Italia e Francia sbaglierebbero a politicizzare il caso della donna condannata a lapidazione. Il presidente della Repubblica ha parlato durante la conferenza stampa seguita alla visita di Stato della presidente finlandese, Tarja Halonen, al Quirinale.

IL GIORNALE allarga il riflettore e titola “Iran, non c’è solo Sakineh: incubo patibolo per altri 50. Sono attivisti per i diritti umani, avvocati e blogger senza paura, manifestanti dell’Onda verde antiregime arrestati nei mesi scorsi”. Fausto Biloslavo scrive: «Altri 14 iraniani sono in attesa di lapidazione nella Repubblica degli ayatollah. Le condanne a morte  per motivi ideologici o politici, in attesa di venire confermate o eseguite, sono 13. Cinque  di queste  riguardano persone arrestate durante le manifestazioni dell’ultimo anno contro il presidente iraniano. Il numero di Moharbeh, i nemici di Allah, che rischiano la pena capitale perché oppositori, sarebbero fra i 50 e i 60. L’ultima è la blogger Shiva Nazar Ahari, attivista dei diritti delle donne, arrestata  diverse volte. Da sabato è sotto processo come nemica di Dio. In carcere anche l’avvocatessa dei diritti umani, Nasrin Sotoudeh». Dopo questa tragica conta biloslavo annuncia che «Dall’Iran  cominciano a arrivare assicurazioni che il caso sarà rivisto, ma pure pliche piccate. Il portavoce del ministero degli Esteri di Theeran, accusa l’Europa di voler difendere una persona accusata di omicidio e adulterio».

«Perché il regime ha paura di Sakineh» è il titolo dell’articolo firmato da Giuliana Sgrena che inizia in prima pagina e prosegue poi a pagina 9 de IL MANIFESTO. Ed è l’unico dedicato alla donna iraniana che rischia la lapidazione nell’edizione di oggi. «L’onore di una società patriarcale sarà santificato con il sangue di un’”adultera”?» si chiede Sgrena che continua con un altro interrogativo: «Perché il mondo occidentale, che sobbalza a ogni notizia che riguarda il nucleare iraniano (ma non quello israeliano, pachistano…), non ha chiesto le sanzioni contro l’Iran per la questione ben più valida dei diritti umani, del diritto alla vita?» Entrando più addentro nella vicenda osserva anche che «Non è il primo caso in Iran e non sarà l’ultimo. E non solo in Iran, anche in Arabia saudita, Afghanistan, Iraq, Bangladesh, Nigeria e molti altri paesi musulmani. Sono sempre le donne a dover salvare l’onore del marito, del maschio, della famiglia. (…) Ma di quale adulterio si tratta se non aveva nemmeno il marito? L’ossessione del controllo della sessualità rende la donna oggetto nelle mani di un marito, di un carceriere o di un regime teocratico. Perché le donne sono così pericolose agli occhi dei fondamentalisti accecati dal fanatismo? (…)». Aggiunge poi «Uno stato islamico è incompatibile con i diritti delle donne», ma al di là di Sakineh «non dovremo tuttavia abbandonare la lotta. Altre Sakineh vivono dietro le sbarre di prigioni come Tabriz o Evin. (…) e Sakineh morirà con lei avremo perso anche una parte della nostra libertà (…)».

“Sakineh non è sola” titola in prima pagina AVVENIRE che ricorda anche l’appello di Napolitano (“Non si compia un atto lesivo del principio della difesa della vita”) e l’avvertimento della Farnesina, secondo cui sarebbe “controproducente” interrompere le relazioni con Teheran. Oggi è previsto sul caso il voto dell’Europarlamento e il presidente José Barroso ha dichiarato «condanniamo questi atti che non hanno giustificazione morale né religiosa». La vicenda della donna condannata alla lapidazione in Iran e la grande mobilitazione internazionale per salvarla offrono poi lo spunto per parlare nel Primo piano di pagina 5 delle “Sakineh che il mondo ignora”, altre 20 donne iraniane che rischiano come lei. Secondo il Comitato internazionale contro la lapidazione molte sono minorenni o giovani madri. Il caso più noto è quello di Maryam Ghorbanzadeh, incarcerata per aver tradito il marito che da tempo la segregava in casa e la sedava con psicofarmaci. Arrestata mentre era in attesa di un figlio, è stata costretta ad abortire. Nella “prigione delle adultere” altre tre donne sono prossime all’esecuzione. Il loro legale si affida ai blogger per far conoscere la loro tragedia sperando in questo modo di fermare la magistratura. Ma sul tema dell’adulterio, in Iran neanche i riformisti contestano la ferocia del regime. AVVENIRE infine ricorda il precedente della giovane nigeriana Amina Lawal, accusata nel 2002 e salvata da una grande campagna internazionale.

“Napolitano con Sakineh «Si eviti l’esecuzione», è il titolo del servizio de LA STAMPA dedicato alla donna iraniana, che si sofferma sulle ricadute diplomatiche della vicenda: «L’attivismo dell’Italia sta indispettendo i vertici della Repubblica islamica. “I Paesi stranieri – ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Ramin Mehmanparast – dovrebbero smetterla di interferire sul caso Sakineh che non deve diventare una questione di diritti umani”. Il ragionamento di Teheran è che l’Italia e la Francia, i principali bersagli della piccata replica iraniana, stanno difendendo “una persona accusata di omicidio e adulterio”. (…) L’Italia si sta muovendo per ottenere un gesto di clemenza senza, è la linea indicata dal ministro Frattini, voler entrare direttamente in conflitto con Teheran. Il titolare della Farnesina infatti anche ieri ha sottolineato che “rompere le relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica se Sakineh fosse lapidata sarebbe inutile”. Il timore è che così facendo calerebbe un silenzio definitivo sulla sorte degli altri detenuti. Almeno 14 detenuti rischiano la stessa orrenda sorte della 43enne Sakineh, denuncia Shahrzad Sholeh, presidente delle Donne democratiche iraniane in Italia».

E inoltre sui giornali di oggi:

METALMECCANICI
CORRIERE DELLA SERA – Alla disdetta del contratto nazionale delle tute blu di Federmeccanica il CORRIERE dedica due pagine. Il direttivo di Federmeccanica ha dato mandato al presidente, Pierluigi Ceccardi, di comunicare il recesso. La disdetta dell’accordo, come ha spiegato lo stesso Ceccardi, è avvenuta «a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all’applicazione di tale accordo» ed è comunicata «in via meramente tecnica e cautelativa allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende».  La disdetta entrerà in vigore dal 1° gennaio 2012. Alla questione è dedicato anche il commento (che parte dalla prima) del vicedirettore Dario Di Vico (“Il rischio Aventino per la Cgil”) che dopo aver attaccato le posizioni della Fiom (ancora a schemi novecenteschi) dice: «La Fiat e l’Indesit dei Merloni, così come gli altri gruppi che chiederanno deroghe al contratto nazionale, daranno il loro apporto di idee e proporranno le loro soluzioni di breve e di lungo periodo. Il sindacato è chiamato ad operare uno sforzo analogo, a nessuno serve che la Cisl e la Uil siano dei punching ball, occorre invece che continuino a dare il loro contributo per costruire qualcosa di nuovo, di durevole e di efficace. Questo ragionamento vale anche, e forse di più, per la Cgil, un sindacato che è leader di mercato e nel corso della sua lunga storia ha saputo fornire grandi esempi di responsabilità e lungimiranza. Siamo alla vigilia di un cambio alla testa della Cgil e per la prima volta il numero uno sarà una donna, Susanna Camusso, che conosce bene i problemi dell’industria italiana e viene dal Nord. Speriamo che non ami l’Aventino e prediliga invece la discontinuità».

IL MANIFESTO – Il tema di apertura è la decisione di Federmeccanica di considerare decaduto il contratto nazionale del 2008 «Che disdetta»  è il titolo a tutta pagina a sfondare sulla simbolica fotografia di due operai in tuta. «Niente sciopero, mensa, orari, diritti sindacali. E chi non ci sta, fuori dai piedi. L’ordine di Marchionne  stato eseguito: il contratto nazionale dei metalmeccanici non esiste più, Federmeccanica ne decreta la morte tra gli applausi di un governo in crisi e dei sindacati complici. Era stato firmato da tutte le sigle e votato dai lavoratori, ma non importa. Passa il diktat della Fiat, l’industria italiana diventa una grande Pomigliano» riassume IL MANIFESTO. Al fatto è dedicato anche il commento di Loris Campetti «Strappo suicida», mentre a pagina 8 l’articolo dedicato al caso entra nel dettaglio e spiega che la disdetta ha valore dal gennaio 2012, mentre il ministro del welfare Sacconi ha dichiarato: «La disdetta di Federmeccanica del contratto 2008 non ha alcuna valenza sostanziale per i lavoratori, che sono protetti dal ben più conveniente contratto dell’ottobre 2009 sottoscritto da Cisl, Uil, Ugl e Fismic».

MOSCHEE
LA STAMPA – “Musulmani d’Italia. Un milione in cerca di moschee”. Inchiesta sulla questione moschee in Italia. Parla il presidente dei Giovani Musulmani d’Italia Omar Jibril: «Ad eccezione delle moschee di Roma e Milano (probabilmente si riferisce a Segrate, ndr), quelle con tanto di minareto e fontane, in Italia ci sono solo centri islamici ricavati spesso in scantinati fatiscenti. La moschea dovrebbe essere il faro che rassicura la comunità circostante come il campanile. Ma da qualche tempo avviene l’opposto. A Sassuolo, per esempio, la nuova amministrazione ha ritirato i permessi concessi da quella precedente costringendo i musulmani a pregare in strada un anno e mezzo prima che il Consiglio di Stato restituisse loro lo stabile sequestrato e il diritto». Approfondimento su tre casi simbolo, Milano («In questo muro contro muro che divide Milano, si trova nessuno per impilare qualche mattone per tirare su la moschea. L’anno prossimo scade la convenzione con il Palasharp, luogo del rock e pure delle provvisorie preghiere ad Allah. Altri posti non ce ne sono».), Torino («A Torino la comunità marocchina che si riconosce nella Moschea della Pace di Porta Palazzo ha acquistato i locali di un ex mobilificio in Barriera Milano, periferia Nord e chiesto al Comune, il 3 dicembre dello scorso anno, il permesso di realizzarvi una moschea. L’associazione, una Onlus – con dovere perciò di rendere pubblici i bilanci – ha acquisito l’edificio e previsto i lavori di adeguamento sfruttando un autofinanziamento interno alla comunità, donazioni e un contributo del ministero per gli affari religiosi del Marocco. Totale: 1,2 milioni di euro. (…) L’edificio, all’esterno, non porterà segni visibili, tanto meno il minareto chiesto dai musulmani ma negato dal Comune) e Genova («Il 16 luglio 2008 la sindaco Marta Vincenzi firma un patto di intesa, il primo in Italia, con il rappresentante della comunità islamica genovese Salah Husein. Nel 2009 il comune propone l’estrema alta periferia del quartiere del Lagaccio, ridotta a discarica, dove la comunità potrà realizzare la sua moschea da un milione e trecentomila euro, 600 metri quadrati, tre piani con minareto di 15 metri, posteggio e giardini, previa costituzione di una Fondazione»).

SOROS
LA REPUBBLICA – Piccolo francobollo a pagina 16 di taglio basso per la decisione del magnate, George Soros, di donare 100 milioni di dollari alla ong Human Rights Watch, utile per aumentare la presenza dell’associazione nelle varie capitali.

IL SOLE 24 ORE – “Soros tra speculazione e diritti umani”. Marco Valsania racconta della maxi donazione di George Soros a Human Rights Watch, cento milioni di dollari: «Cento milioni sono anche il più generoso regalo che l’organizzazione  per la difesa dei diritti  umani ha mai ricevuto nella sua storia. Nonchè la seconda donazione  nelle classifiche filantropiche  di quest’anno, che si sta profilando come una stagione magra per la beneficenza ancora all’ombra della crisi.  Le promesse dei super-ricchi, in realtà, non mancano. Bill Gates e Warren Buffett hanno di recente  strappato a decine di miliardari  l’impegno a devolvere almeno metà del patrimonio, in futuro, al bene collettivo. Parola chiave, però, è qui il futuro: il 2010, stando a dati compilati dall’Indiana University, può contare solo su un’altra donazione  effettiva superiore a quanto annunciato da Soros, 200 milioni offerti da un anonimo benefattore  alla Baylor University per  la ricerca medica.  Con il nuovo gesto, così, Soros sembra voler sfidare adesso i suoi pari non solo nella finanza il suo hedge fund Quantum Endowment è cresciuto del 29%  nel 2009 facendogli guadagnare 3,3 miliardi- ma anche nella filantropia.  Tanto da aver precisato di  non aver chiuso il portafoglio ai versamenti multimilionari: il dono  a Human Rights Watch, anzi, sarà il primo di una serie. Perchè, ha fatto sapere, a 80 anni compiuti  intende accelerare la beneficienza  in vita. Crisi o non crisi: da gennaio ha ormai regalato 700 milioni. (…) Di sicuro Human Rights Watch sa  già come impiegare le insperate risorse:  assumerà 120 funzionari che aumenteranno di quasi un terzo il suo staff internazionale di 300 persone. Aprirà nuovi uffici  e diffonderà i rapporti sulle violazioni dei diritti umani in un numero crescente di lingue.

VASSALLO
IL GIORNALE – «Mio fratello tradito dalle forze dell’ordine» è il titolo che apre la pagina in cui Claudio Vassallo, fratello del sindaco di Pollica, denuncia «Prima di essere ammazzato mi disse che qualcuno fra i Carabinieri della zona era in combutta con personaggi poco raccomandabili». L’Arma risponde: «Nessuna ombra sul nostro operato». IL GIORNALE, con l’inviato a Pollica Carmine Spadafora, raccoglie le reazioni della gente, fra queste quella del vicesindaco, Stefano Pisani che si rivolge ai giornalisti: «Smettetela di parlare di camorra, qui non è mai arrivata. Questa non è terra di clan». Il consigliere comunale Domenico Palladino avanza un’ipotesi: «Vassallo aveva dichiarato guerra agli spacciatori di droga che stavano conquistando la piazza di Acciaroli (frazione di Pollica ndr).  Li aveva minacciati di denunciarli se non avessero lasciato il paese. L’uccisione è stato il gesto di un folle, mosso da motivi  di rancore personali».

IL MANIFESTO – Due pagine (la 4 e la 5) sono dedicate all’omicidio del sindaco di Pollica, si racconta la reazione del paese e delle piste seguite: droga o porto. A corredo anche un’ampia intervista all’ex presidente del Parco del Cilento Giuseppe Tarallo in un articolo intitolato «Altro che isola felice vi racconto le minacce» che ricorda come «Mi dicevano che se li accontentavo potevo continuare a fare liberamente l’ambientalista». Sullo stesso tema in prima pagina la vignetta di Vauro, è disegnato un uomo armato, stile mafioso, che accanto al cartello Pollica Italia e con la pistola fumante dice: «Non è un paese per angeli»

IL SOLE 24 ORE – “Vassallo capofila dei sindaci coraggiosi”. Racconta Roberto Galullo inviato a Pollica: «Negli ultimi due anni la fila degli amministratori pubblici alla Procura di Vallo della Lucania  non è stata una processione ma un costante pellegrinaggio.  Non era solo Angelo Vassallo,  il sindaco di Pollica trucidato tre giorni fa dai sicari,  a bussare alla porta del procuratore Alfredo  Greco. Lui era l’unico ad avere il coraggio di sfondare il muro dei crescenti interessi camorristici.  Gli altri no: si affacciavano e chiedevano aiuto perché  non avevano la stessa forza per dire no senza l’aiuto dello Stato. Alberghi ed esercizi commerciali passati di mano e in odore  di camorra, immobili e terreni  acquistati cash senza battere ciglio sul prezzo: ecco cosa raccontavano gli  amministratori». In taglio basso un approfondimento sul partito di Slow Food: “La grande famiglia dei politici slow”: Politicamente Slow food  potrebbe essere definita  “un partito degli ex”. Ex militanti che hanno sostituito  l’impegno civile a quello partitico oppure ex amministratori  locali che hanno voluto  dare un seguito alle battaglie  avviate nel corso del loro mandato. A spiegarlo è Roberto  Burdese, presidente  dell’associazione fondata nel 1986 da Carlo Petrini per difendere  il piacere legato al cibo  e tornata agli onori della cronaca negli ultimi giorni perché il compianto sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, era anche vicepresidente delle  “città slow”: una rete di 70 municipi selezionati lungo lo Stivale per rispetto dell’ambiente  e qualità della vita.  La sinergia con Vassallo,  spiega Burdese, era nata sul campo. Dalla ”condivisione degli stessi valori” e dall’intento  comune di difendere alcuni  interessi legati al territorio  come la piccola pesca o i prodotti tipici. Come avvenuto  con tanti altri primi cittadini,  a prescindere dallo schieramento  di appartenenza. Due gli esempi citati:l’ex primo cittadino  di Francavilla a Mare (Chieti), Roberto Angelucci,  di centro-destra; l’ex vicesindaco di San Miniato (Pisa), Raffaella Grana, di centro-sinistra.  Entrambi, aggiunge, hanno continuato ad abbracciare  la causa di Slow food anche  dopo aver riposto nell’armadio  la fascia tricolore».

FINANZA
LA REPUBBLICA – “La grande finanza affonda ancora l’imposta che aiuta i poveri”. E’ questo l’epitaffio che il quotidiano dedica all’ennesimo flop della Tobin Tax. L’Ecofin, ovvero l’incontro dei ministri economici dell’Unione avrebbe infatti accantonato ancora una volta l’ipotesi di introdurla. Il problema principale sarebbe quello del suo funzionamento: per farla funzionare servirebbe che tutti i paesi al mondo la adottassero. Pagina 23.

BCE
ITALIA OGGI – «Trichet chiede ancora fiducia» a pagina 9 si riassume l’intervista data da Jean Claude Trichet, governatore della Bce ai microfoni di Class Cnbc e Class News Msnbc la cui ricetta per riportare la stabilità «dipende dalla fiducia delle famiglie», altri temi sono la stabilità dei prezzi, il mercato unico europeo e la flessibilità. Viene citato il «buon esempio tedesco», in Germania si è riformato il mercato del lavoro «Quando l’economia di Berlino va bene anche le altre ne traggono dei vantaggi. Vorrei ricordare però che oggi l’economia tedesca sta ottenendo buoni risultati, ma nello scorso decennio non è stato così perché stava lavorando sulla sua competitività» afferma Trichet.

FAMIGLIA
LA REPUBBLICA – Caterina Paolini su R2 racconta la storia di Claudia, 15 anni, con una mamma settantatrenne. Occasione per ritornare su un fenomeno in crescita, ovvero la maternità in età avanzata, a cui le cranache recenti hanno prestato particolare attenzione come nel caso di Gianna Nannini (54 anni), o Heather Parisi (50 anni).

SCUOLA
AVVENIRE – Al fenomeno della dispersione scolastica AVVENIRE dedica oggi l’editoriale e un’inchiesta a pagina 6 intitolata “Studenti fantasma: uno su tre scompare”. I dati del ministero dell’Istruzione sul quinquennio 2005/2009 fotografano un quadro desolante: su 616mila studenti iscritti se ne sono persi per strada 190mila. Scrive in prima pagina Alessandro D’Avenia: «La scuola dovrebbe essere “un andare a bottega”: scoperta e incoraggiamento dei talenti personali per opera di maestri… la crisi dei giovani è crisi di maestri…. Esiste un terreno sul quale la scuola sta mancando e non è questione di ideologie, ma di amore all’uomo. Nella scuola è dei docenti – alleati dei genitori – il compito di trasmettere una vita più grande e nuova attraverso le loro ore di lezione».


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