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Iran, Moghaddam: «La nostra protesta diventata rivoluzione»

«I cittadini iraniani vogliono una vita normale, chiedono che vengano rispettati i loro diritti umani», dice Mahmood Amiry Moghaddam, direttore di Iran Human Right. «Sono passati più di 100 giorni dall'inizio delle proteste e, nonostante l'ampia violenza usata dal regime, queste continuano. La barriera della paura è stata infranta e il regime sta facendo tutto il possibile per ricostruirla, ma non ci riesce. Quello che sta accadendo in Iran è probabilmente il più grande movimento per i diritti umani del nostro tempo»

di Anna Spena

Le proteste erano iniziate lo scorso settembre con l’omicidio di Mahsa Amini. La giovane donna di 22 anni era stata arrestata dalla pattuglia di guida della Repubblica islamica dell’Iran, una squadra speciale di polizia incaricata dell’applicazione pubblica delle norme islamiche sull’hijab, la “polizia morale”, perché il velo le lasciava intravedere qualche capello. Secondo il rapporto ufficiale della polizia Mahsa Amini avrebbe avuto un’insufficienza cardiaca durante la custodia, e sarebbe morta dopo due giorni di coma. Ma la clinica in cui è stata ricoverata aveva rilasciato una dichiarazione su Instagram secondo cui la ragazza era già in stato di morte cerebrale quando è arrivata in ospedale. Il post poi è stato cancellato. Con la morte di Mahsa, proteste e marce si sono diffuse in tutto il Paese. Ad oggi, durante le manifestazioni, sono state uccise quasi 500 persone, di cui 64 bambini. Sono quattro i manifestanti già giustiziati e 109 quelli che sono a rischio esecuzione, 20mila la stima delle persone arrestate. La situazione e la tutela dei diritti umani è sempre stata drammatica nel Paese, ma da quando Ebrahim Raisi è diventato presidente nell’agosto del 2021, tutto è peggiorato. Raisi è infatti ex capo del potere giudiziario e faceva parte della “commissione della morte” che presiedette all’esecuzione extragiudiziale di diverse migliaia di dissidenti politici nelle prigioni di Evin e Gohardasht tra la fine di luglio e l’inizio di settembre del 1988. Di fatto un presidente del Paese è sospettato per crimini contro l’umanità. «Il brutale omicidio di Mahsa è stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso», dice Mahmood Amiry Moghaddam, direttore di Iran Human Right, che ha sede ad Oslo. «E fin dai primi giorni abbiamo capito che queste proteste avevano il potenziale per portare a un grande cambiamento»

Come descriverebbe la situazione attuale in Iran?

Sono passati più di 100 giorni dall’inizio delle proteste e, nonostante l’ampia violenza usata dal regime, queste continuano. La barriera della paura è stata infranta e il regime sta facendo tutto il possibile per ricostruirla, ma non ci riesce. Più che una protesta, sembra l’inizio di una rivoluzione. La gente vuole cambiamenti fondamentali e il primo passo è cambiare il regime.

Quanti manifestanti sono stati uccisi durante le proteste?

Secondo il nostro ultimo rapporto, dall’inizio delle proteste, sono stati uccise almeno almeno 481 persone, tra cui 64 bambini e 35 donne, 4 manifestanti sono stati giustiziati e un numero imprecisato di persone è stato ucciso durante la detenzione. Almeno 109 manifestanti sono attualmente a rischio di esecuzione o condanne alla pena di morte. Si tratta di un numero minimo, poiché la maggior parte delle famiglie è sotto pressione per rimanere in silenzio. Riteniamo infatti che il numero reale sia molto più alto.

Quanti sono stati quelli rinchiusi in prigione?

Non abbiamo un numero preciso, ma stimiamo che siano stati arrestate quasi 20mila persone.

Cosa succede davvero agli uomini e alle donne rinchiusi nelle carceri iraniane?

Il regime iraniano usa sistematicamente la tortura fisica e psicologica. Ci sono anche segnalazioni di violenze sessuali sui detenuti.

Quando le proteste sono iniziate, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, vi aspettavate che sarebbero evolute in questo modo?

Negli ultimi 5 anni abbiamo avuto due grandi proteste e molte altre più piccole. Ogni volta il regime è riuscito a controllare la situazione ricorrendo alla violenza. Nel novembre 2019 hanno ucciso centinaia di persone in una sola settimana. Poi è arrivato il Covid e ha impedito altre proteste. Ma da quando le restrizioni del Covid sono state rimosse sapevamo che ci sarebbero state nuove manifestazioni. La gente in Iran ne ha abbastanza di un regime oppressivo, incompetente e corrotto. Il popolo aveva solo bisogno di un innesco. Il brutale omicidio di Mahsa è stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Fin dai primi giorni abbiamo capito che queste proteste avevano il potenziale per portare a un grande cambiamento. I cittadini sono stanchi di questo regime e le proteste continueranno.

Cosa chiedono i cittadini iraniani? Soprattutto cosa chiedono i giovani?

Chiedono una vita normale. Vogliono i loro diritti umani fondamentali. Soprattutto le donne e le minoranze etniche, che per tanti anni sono state trattate come cittadini di seconda classe.

Perché i governi occidentali non sembrano prendere una posizione ferma su quanto sta accadendo?

Negli ultimi mesi diversi Paesi occidentali e l’Unione Europea hanno assunto una posizione più decisa rispetto al passato, e questo è positivo. Tuttavia, devono fare di più. Purtroppo in passato i governi occidentali si sono concentrati solo sull’accordo nucleare e non sul problema principale, ossia un regime totalitario che non gode del sostegno del suo popolo. L’Occidente dovrebbe pensare e agire a lungo termine e mettere la situazione del popolo iraniano in cima alla sua agenda. Il mondo non deve tollerare che milioni di donne, ad esempio, siano trattate come cittadini di seconda classe. Quello che sta accadendo in Iran è probabilmente il più grande movimento per i diritti umani del nostro tempo. Un Iran democratico, in cui i diritti umani di tutti i cittadini siano rispettati, è l’unica via sostenibile per la pace e la stabilità nella regione.

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