Welfare

Ipab, sfida per svecchiare l’assistenza

Con il decreto di riordino, oltre 4 mila enti dovranno scegliere tra pubblico e privato. E mettersi sul mercato

di Benedetta Verrini

A quattro mesi di distanza dall’approvazione della Legge quadro sull’assistenza, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo di riordino delle Ipab. Le oltre 4 mila “Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”, la cui disciplina risaliva ad oltre un secolo fa, alla legge Crispi del 1890, ora sono destinate ad assumere un nuovo profilo giuridico (di tipo pubblico o privato) e a concorrere alla realizzazione della rete dei servizi sociali e sociosanitari. «Con la struttura organizzativa che vantano, le Ipab ora hanno la grande opportunità di diventare punto di aggregazione della rete sociale di sussidiarietà», dice il professor Giorgio Fiorentini, docente di Economia delle aziende non profit all’Università Bocconi di Milano. «Le Ipab rappresentano la parte più imponente e, se vogliamo, più visibile dell’offerta di servizi assistenziali in Italia», dice Fiorentini, «ma cominciavano ad avere il fiato corto in fatto di flessibilità e qualità dei servizi ai cittadini. Per questo l’art. 10 della Legge 328 ne ha disposto un generale riordino, assegnando la competenza degli indirizzi e dei criteri di gestione alle singole Regioni». Secondo quanto dispone la legge, questi organismi dovranno scegliere entro il 2003 se restare soggetti di diritto pubblico (azienda di servizi-Asp) o persone giuridiche di diritto privato (Onlus, fondazioni) e nell’ambito di questa trasformazione godranno di esenzioni fiscali (dalle imposte di registro, ipotecarie, catastali e sull’incremento degli immobili). Inoltre, la disciplina delle erogazioni liberali relativa alle Onlus verrà estesa alle Ipab riordinate in aziende di servizi. Sempre per le Ipab pubbliche, il Capo II chiarisce che l’istituzione non ha fini di lucro, personalità giuridica pubblica, autonomia statutaria, patrimoniale e contabile e operatività secondo criteri imprenditoriali. «Questa nuova disciplina non consente dunque solo uno svecchiamento della struttura istituzionale, ma anche una maggiore autonomia di finanziamento», prosegue Fiorentini. «A partire dall’ingente patrimonio di cui le Ipab dispongono, stimato sui 37mila miliardi. Una risorsa che ha bisogno di essere riqualificata e resa più redditizia, con operazioni di emersione e trasparenza: queste istituzioni potranno spendere la loro credibilità e il trattamento fiscale di favore per avere donazioni; potranno praticare le forme tradizionali di fund raising. Attraverso una cartolarizzazione di quei beni immobiliari che non sono direttamente utilizzati per la realizzazione dei fini istituzionali (palazzi affittati, terreni, cascine) potranno, ad esempio, ottenere anticipazioni finanziarie dagli istituti bancari e realizzare così nuovi investimenti». Le diverse tipologie di istituzioni Ipab, che attualmente operano nel settore socio-assistenziale e in quello scolastico, potranno così «diventare le capofila pubbliche o private di una nuova filiera della sussidiarietà», osserva il professore, «aggregando le realtà del privato sociale, e avvicinarsi sempre di più alla domanda degli utenti». Uno dei nodi più complessi del nuovo decreto riguarda il trattamento e la qualificazione degli oltre 51mila dipendenti, fino ad ora vincolati da un rapporto di lavoro pubblico. L’art. 11 segnala che, per il personale delle Ipab riordinate come aziende di servizi, il rapporto di lavoro sarà disciplinato previa istituzione di un autonomo comparto di contrattazione collettiva effettuata secondo i criteri della legge 29/93 (che regola i rapporti di pubblico impiego). L’indicazione di “comparto” significa che tali contratti potranno “avere norme contrattuali modulate sui servizi da loro erogati” e “alla definizione di tali norme contrattuali saranno chiamate a concorrere le rappresentanze delle aziende Ipab”. «Dal momento che i servizi hanno come risorsa critica proprio le persone», sottolinea Fiorentini, «è evidente che queste dovranno riqualificarsi. Le varie Ipab dovranno puntare alla migliore gestione delle risorse umane, anche attraverso remunerazioni più flessibili e adeguate al servizio offerto. Questo approccio innescherà un meccanismo di competizione tra le varie Regioni, enfatizzato dalla maggiore mobilità degli utenti, che possono decidere di spostarsi per ottenere il servizio migliore. Insomma, i dipendenti e la dirigenza delle Ipab dovranno cambiare radicalmente l’approccio con il pubblico. E capire che non sono più i guardiani, ma i promotori dell’assistenza». L’universo Ipab in Italia Ipab esistenti 4.226 Patrimonio 37 mila miliardi Dipendenti 51.571 Settori d’intervento gestione strutture residenziali per anziani, minori disabili/gestione di strutture prescolari e scolastiche Scadenza riordino 31 dicembre 2003


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