Non profit

Ipab, due anni di tempo per la rivoluzione

Una ricerca di Ernst & Young analizza le trasformazioni per le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza dopo la riforma introdotta dalle legge 328/00

di Carlo Mazzini

Correre. La costante della legislazione sul non profit, da quattro anni a oggi, è di correre, di recuperare il tempo perduto. Volessimo elencare i provvedimenti di un certo rilievo di questi ultimi tempi, non basterebbe questa pagina di Vita per riportarne i soli estremi. Ciò può voler dire molte cose. Per esempio, come l?Istat ha di recente confermato, può voler dire che c?è la necessità di disciplinare alcuni aspetti di un universo sempre più variegato, sempre meno settore ?terzo?, sempre più sdoganato da ambiti residuali per preconcetto, anche economicamente. In questa corsa non si potevano lasciare indietro quegli enti che storicamente reggono gran parte del sistema socio sanitario in Italia. E permane il paradigma della corsa. Due anni. Solo due anni. Questo è il tempo concesso dalla legge alle Ipab, ossia alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, per riorganizzare le proprie strutture al fine di mettere in atto quella trasformazione, prevista dall?art. 10 della legge 8 novembre 2000, n. 328 e recentemente regolamentata dal decreto legislativo n. 207 del 4 maggio 2001.
Saranno le Regioni a sovrintendere al processo di trasformazione stabilendo i criteri generali richiesti dalla legge per definire la sussistenza dei requisiti relativamente alle dimensioni, all?entità e alla gestione del patrimonio, piuttosto che, sempre nell?ambito della programmazione degli interventi in materia socio-sanitaria, al numero di posti letto da assegnare alle singole unità (si pensi che nel solo Veneto le Ipab che erogano servizi a favore di anziani sono 108, a fronte di circa 19mila assistiti). Compiti gravosi e complessi che potrebbero, a nostro avviso, richiedere un intervento, anche leggero, di coordinamento dal centro, e quindi dal ministero del Welfare, al fine di evitare una leopardizzazione del territorio nazionale.
Per fare chiarezza relativamente alla dimensione del fenomeno Ipab è utile richiamare alcuni dati, tratti dal rapporto trasmesso dal ministro per la Solidarietà sociale alla Commissione parlamentare incaricata dell?elaborazione della legge n. 328/2000: il numero delle istituzioni è di circa 4.200 unità; i patrimoni stimati ammontano a più di 19 miliardi di euro (circa 37mila miliardi di lire); i servizi residenziali per anziani gestiti sono pari a circa un terzo dei posti letto per un totale di 67mila utenti; le entrate per prestazioni di servizio derivano per il 44 per cento dai bilanci pubblici; le istituzioni sono amministrate per circa i due terzi da amministratori di nomina pubblica.
La trasformazione comporterà una modifica sostanziale delle strutture esistenti; essa darà, infatti, origine a due distinte categorie di soggetti: le aziende pubbliche di servizi alla persona (Asper) e le persone giuridiche private (associazioni e fondazioni), disciplinate dal codice civile.
In sintesi: le istituzioni che svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali saranno tenute a trasformarsi in aziende pubbliche di servizi alla persona, mentre le istituzioni che non sono in possesso dei requisiti per assumere la predetta veste, si trasformeranno in associazioni o fondazioni di diritto privato, pur conservando i diritti e gli obblighi anteriori al riordino e subentrando in tutti i rapporti attivi e passivi delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972.
Per attuare il processo di trasformazione gli enti dovranno procedere alla revisione degli statuti per adeguarli alle previsioni della nuova normativa e predisporre un inventario completo dei beni mobili e immobili a essi appartenenti.
Sotto il profilo contabile, gli enti, nell?ambito della propria autonomia, dovranno, altresì, prevedere:
«a) l?adozione del bilancio economico pluriennale di previsione nonché del bilancio preventivo economico annuale relativo all?esercizio successivo;
b) le modalità di copertura degli eventuali disavanzi di esercizio;
c) la tenuta di una contabilità analitica;
d) l?obbligo di rendere pubblici, annualmente, i risultati delle proprie analisi dei costi, dei rendimenti e dei risultati per centri di costo e responsabilità;
e) il piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare anche attraverso eventuali dismissioni e conferimenti».
Le verifiche amministrative e contabili saranno affidate ad un apposito organo di revisione previsto dallo statuto o ?affidate a società specializzate? nei casi individuati dalle Regioni. Sarà, quindi, necessario dare corso all?attuazione delle modifiche disposte dalla legge per perseguire il dettato dell?articolo 6 del decreto legislativo n. 207/01: «l?azienda pubblica di servizi alla persona ha personalità giuridica di diritto pubblico (con autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica) e opera con criteri imprenditoriali. Essa informa la propria attività di gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità».
Da queste premesse si deduce chiaramente che il compito che spetta alle istituzioni, in merito agli adempimenti richiesti dalla legge per improntare la propria attività ai criteri su menzionati, è particolarmente gravoso. Si richiedono specifiche conoscenze tecniche, che difficilmente sono già patrimonio delle esistenti gestioni.
Ernst & Young ha pianificato il proprio intervento per attuare nel modo più proficuo una eventuale opera di collaborazione: dapprima verrà predisposta la mappatura generale di tutte le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, per individuare le caratteristiche peculiari di ognuna di esse, a mezzo di apposito questionario. Successivamente, il risultato dell?indagine, riassunto in sintetici prospetti riepilogativi suddivisi per aree geografiche e raccolto in un unico documento, verrà pubblicato sulla stampa per diffondere le conoscenze acquisite.

Costantino Magro e Carlo Mazzini
Area non profit – Ernst & Young

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.