Famiglia

Io,apprendista scrittore

"La letteratura è un continuo imparare" dice l'autore di"Grande Circo Invalido", "e più invecchio più mi considero un principiante".

di Marco Patrioli

A sentirla, pareva una di quelle leggende metropolitane che ormai respirano quasi da sole. Diceva di uno scrittore romano che fa l?insegnante in un istituto di periferia, che ha trascorsi da inquieto vespista, che si muove tra detriti urbanistici e gorghi di lamiere come fossero ruderi imperiali, e che soprattutto ama lanciarsi nell?inferno del Grande Raccordo Anulare con la beatitudine di un putto, giusto per vedersi seppellito in mezzo a migliaia di incolonnate solitudini. Tutto vero. Tanto che Marco Lodoli, già solo a vederlo arrivare, ci sembra uscito da uno dei suoi racconti: il casco ancora in testa, gli occhiali spaesati sopra il naso e l?aria trafelata di chi ha l?orologio sempre indietro. Siamo al Labaro, quartiere periferico di Roma raggrumato intorno a giganteschi alveari di cemento, all?interno di una biblioteca che vista da fuori sembra più bunker che santuario di libri. «È uno di quei posti che popolano i miei racconti», esordisce Lodoli. Un autore che piace ai giovani È venuto fino qui per i pomeriggi di lettura che il Comune di Roma ha organizzato in varie biblioteche della cintura urbana, tra queste praterie di abbandono che si allungano oscene verso l?aperta campagna. Uno come lui non sarebbe potuto proprio mancare. Scrittore, insegnante, collaboratore per ?l?Unità?, talvolta persino traduttore, tra Lodoli e la città c?è sempre stato un rapporto privilegiato, spesso testimoniato dai suoi romanzi che di Roma hanno tracciato anche una ideale mappa sentimentale. I libri di Lodoli non hanno mai abitato i piani alti delle hit parade bibliofile, eppure riescono ogni volta a trovare un?accoglienza entusiasta soprattutto tra i più giovani: non è un caso che anche in quest?oasi ritagliata tra le fondamenta del delirio d?un architetto, l?eta media non superi i trent?anni. Nelle storie di Lodoli ciò che più risalta è la sofferta levità dei suoi personaggi: uomini che si saggiano senza risolversi, clowneschi e sbilenchi, i volti disegnati su smorfie e lacrime, gonfi di vita ma con la morte nel cuore. Un mondo felliniano di mutilati e invalidi, folli e bislacchi, giocolieri con la propria esistenza e sfrontati col mondo. E il diaframma attraverso cui viene distillata questa materia è una scrittura sospesa tra grottesco e fantastico, contratta e avvolgente allo stesso tempo, capace di far strofinare realtà e immaginazione con la mano morbida di chi scrive da quasi vent?anni. Accettare il dolore e la diversità Ma la cifra caratteristica comune a tutta l?opera di Marco Lodoli è sicuramente il ritratto di un?umanità alla deriva, di quello stesso popolo che Fabrizio De André nella sua canzone Smisurata preghiera diceva viaggiare ?in direzione ostinata e contraria / col suo carico speciale / di speciale disperazione?. Da dove nasce l?affinità elettiva con questo universo di marginali, di antagonisti, di persone che dichiarano ?io invece?? «Io nelle mie storie cerco di raccontare l?innocenza, l?infanzia dello spirito di chi ancora guarda alla vita con uno sguardo vergine, senza pregiudizi o rivestimenti culturali. E se dovessi scegliere un solo titolo dai libri che ho scritto sceglierei ?Grande Circo Invalido?: perché la vita è così, qualcosa di apparentemente zoppo ma anche di avventuroso, di bello. Se è vero che siamo tutti vittime di una mutilazione, dobbiamo imparare ad attraversare il dolore e accettarla, senza averne paura. Il nostro punto d?arrivo deve essere questo riconoscimento dell?imperfezione, ma è impossibile riuscirci se non accettiamo la diversità». Questo tuo essere uno scrittore fuori dagli schemi, che insegna in una scuola, scrive articoli e traduce dal francese, nasce da una tua versatilità oppure è una precisa scelta di campo? «Il fatto è che io ogni libro che scrivo lo vedo come un percorso di conoscenza, e ogni volta mi sembra l?ultimo: con tutta la buona volontà non riesco proprio a pensarmi come uno di quegli scrittori chiusi nella loro turris eburnea, sospesi a distanza di sicurezza dalla vita, soli davanti a se stessi e alle proprie parole. Ho sempre avuto molte riserve nei confronti della letteratura ?pura? e del dibattito culturale: quando faccio incontri con altri scrittori per esempio mi sento quasi a disagio. Li vedo così adulti, così compiuti, mentre io continuo a sentirmi un apprendista, uno che ha l?impressione di non avere imparato a sufficienza. Quando ci si comincia a prendere sul serio il rischio è questo: fermarsi lì e dare soltanto giudizi, esprimere opinioni, rompere le palle agli altri. I dibattiti culturali spesso non sono altro che questo, un biliardo in cui le sponde sono già date e le buche già messe, e non c?è la capacità di rischiare, perché ogni energia creativa viene dissuasa, ogni libero slancio guardato con sospetto. E questo per me è davvero terrificante». La ?primavoltità? dello sguardo Ma se è vero che la letteratura è uno sconfinamento, come è possibile per te gettartici dentro e poi tornarne fuori per andare ad insegnare in un istituto professionale di periferia? «No, non mi è affatto difficile. Anche perché come ti dicevo non credo per nulla alla figura dell?intellettuale organico: è molto più deflagrante, molto più anarchico tenere viva una sorta di ?primavoltità? dello sguardo sulle cose. E poi insegnare mi permette di tenere lontano quella sedimentazione pigra, cementata da qualche idea, per cui il tuo punto di vista adulto diventa una resa e un?indolenza, più che una forza». È per questo che nell?introduzione a un tuo libro hai scritto che ?più invecchio più mi considero un principiante?? «Sì, e infatti è di questo che parlavo quando ti dicevo che continuo a sentirmi un apprendista, e se ci pensiamo bene la stessa letteratura è proprio un apprendistato. Quando ho scritto i tre romanzi e li ho raccolti insieme, la trilogia l?ho voluta chiamare ?I principianti? perché quella era anche la mia posizione, come d?altra parte lo è in questo momento». In compagnia di lupi, cani e fannulloni Marco Lodoli è nato nel 1956 a Roma, dove è sempre vissuto. Oltre a scrivere libri, insegna lettere in un istituto tecnico di Torre Spaccata, e collabora col ?Diario della settimana?. I primi racconti da lui pubblicati risalgono agli anni Settanta, mentre il suo primo romanzo, ?Diario di un millennio che fugge?, viene scritto nel 1983 ma pubblicato solo nel 1986 da Theoria (ora in economica Einaudi). Nel 1987 Lodoli pubblica il secondo romanzo, ?Snack Bar Budapest? (Bompiani) scritto a quattro mani con Silvia Bre. Per una piccola casa editrice romana (Rotundo) l?anno dopo esce il volumetto di poesie intitolato ?Ponte Milvio?. Il 1989 è l?anno dei racconti del ?Grande Raccordo? (Bompiani) mentre nel 1990 esce anche ?I Fannulloni? (Einaudi). Sempre per Einaudi nel 1992 pubblica ?Crampi? e l?anno seguente ?Grande Circo Invalido?, l?ultimo dei tre romanzi che poi verranno raccolti nella trilogia de ?I principianti?, sempre per Einaudi. ?Cani e lupi?, una raccolta di racconti, esce nel 1995 (Einaudi). Ancora un anno ed è la volta de ?Il vento?, l?ultimo romanzo pubblicato da Lodoli. Dal Melangolo nel 1997 Lodoli ha pubblicato la raccolta satirica ?Boccacce?, mentre è ormai imminente l?uscita del suo ultimo romanzo, ?I fiori?.


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