Formazione

Io, vescovo in esilio

Dal 1991 è in esilio per aver denunciato l’islamizzazione forzata attuata dal governo sudanese. Ma in patria torna ugualmente, di nascosto, con un piccolo aereo carico di aiuti

di Antonietta Nembri

Con quei calzoni e quel maglione che indossa non sembra neppure un vescovo, eppure lo è, altro che. Come dimostra l?anello vescovile al dito della mano scura. Monsignor Macram Max Gassis è a capo della diocesi di El Obeid, in Sudan. Però dal 1991 non può entrare ufficialmente nel suo Paese: è esiliato per aver denunciato la politica del regime di Khartoum, le violenze, i soprusi, l?islamizzazione forzata del paese. Un vescovo profugo, dunque. «Come vescovo appartengo alla comunità ecclesiale e non mi sento straniero in nessun luogo, appartengo alla Chiesa e sono pastore ovunque», ci dice. «Ma come cittadino sudanese sì, mi sento in esilio. Sento l?umiliazione dei rifugiati, ne sono toccato come uomo e vivo sulla mia pelle l?essere fuori dal mio Paese, al pari di tanti miei concittadini. Se l?olocausto continua, i sudanesi che fuggiranno dal Paese saranno sempre di più».
Non è uomo che si da per vinto, Macram Max Gassis. Anzi, stando all?estero ha potuto alzare ancor più la voce. Quando ancora nessuno parlava dei monti Nuba, lui denunciò la persecuzione delle genti che li abitano, e da allora non ha cessato di gridare al mondo che «gli uomini sono creati da Dio liberi, con una dignità di cui nessuno è autorizzato a privarli: la dignità è addirittura superiore ai diritti».
Dalle parti di Milano è ormai di casa: da anni l?ha inserita come tappa nel suo peregrinare per il mondo a perorare la causa del suo popolo davanti alle nazioni ricche della terra. Qui ha trovato amici che hanno fondato un?associazione, ?Un sorriso per il Sudan?, che si preoccupa di raccogliere fondi. Il vescovo non ama parlare di se stesso, ma usa tutto il suo fiato per denunciare. Soprattutto non capisce gli europei. «È difficile comprendere la logica dei nostri fratelli occidentali. Da un lato vogliono dare una mano e mandano aiuti. Dall?altra, se si tratta di salvare una vita dalla persecuzione o dalla schiavitù, di salvare le donne dagli stupri, non fanno niente. Certo, si raccolgono viveri, ma inviare sale e medicine spesso è solo un?iniezione di morfina alle coscienze. Essere cristiani vuol dire avere solidarietà, non pietà. Quando vedo che il principale interesse degli Stati ?cristiani? è puramente economico e non è la situazione della popolazione vittima di regimi tirannici, allora mi chiedo che tipo di cristianesimo seguono i miei fratelli europei».
Eppure gli aiuti sono importanti, e anche nel suo ultimo viaggio clandestino in patria, effettuato nel periodo di Natale, monsignor Macram ne ha portati con sé parecchi. Ma come sempre, prima di partire, non ha voluto dire quando e dove sarebbe atterrato con il piccolo aereo che lo riporta nella sua diocesi due o tre volte l?anno. «Non lo dico mai, è troppo pericoloso anche per la gente che mi accompagna, e poi posso fermarmi solo nella zona controllata dal movimento di liberazione (lo Spla, Sudan People Liberation Army – ndr). La mia diocesi è divisa in due: la parte nord è controllata dal regime islamico, quella a sud dallo Spla». La sede episcopale, El Obeid, è nella parte nord e uno dei rimpianti di monsignor Macram Max Gassis è di non aver più rivisto la sua cattedrale. «Oggi noi preghiamo sotto gli alberi, nelle cappelle fatte di paglia». Nel suo giro pastorale oltre ai monti Nuba ci sono la zona della tribù dei Dinka (una delle più numerose del Sudan) e il distretto di Abiyei, quest?anno colpito dalla carestia.
«I veri eroi sono i sacerdoti che giorno e notte vivono lì, devo chinare il capo davanti ai miei sacerdoti e collaboratori che condividono la solitudine e la mancanza di comunicazione, i pericoli dei bombardamenti aerei e degli attacchi delle mine che il regime di Khartoum ha disseminato ovunque. Chino il capo anche davanti ai catechisti che continuano a portare il peso del lavoro pastorale: sono loro i veri eroi». Il vescovo ha un cruccio: riesce a mandare viveri e aiuti ai suoi sacerdoti e catechisti solo ogni sei mesi. «Ci sono costi pazzeschi per il trasporto aereo dal Kenya fino ai monti Nuba». E nonostante la guerra e le persecuzioni, la vita continua, il ?gregge? non si è disperso. «Nella visita che ho fatto a Pasqua ho impartito 460 battesimi, soprattutto di adulti, 503 cresime. La domenica di Pasqua ho ordinato un sacerdote e benedetto 58 matrimoni».
Un gregge che cresce dunque, nonostante le persecuzioni, in questi ultimi mesi fattesi ancor più dure verso la Chiesa cattolica e i suoi sacerdoti: due di essi, attualmente sotto processo a Khartoum per accuse montate ad arte contro di loro, rischiano addirittura di essere condannati alla crocifissione. E intanto non passa mese in cui una chiesa non venga spianata dai bulldozer, con un qualunque pretesto. «Il governo dice che la Chiesa interferisce nella politica quando io e gli altri sacerdoti denunciamo i soprusi e le violazioni dei diritti umani» spiega monsignor Gassis.
Un altro cruccio del vescovo deriva da come in Occidente si semplifichi tutto: «Quando voi dite arabi pensate subito musulmani, ma l?etnia araba non è una religione. Una persona può essere araba e cristiana, come me, che avevo una nonna siriana». E per il Sudan il vescovo parla di apartheid non solo religioso, ma anche razziale: «Ci sono sudanesi africani la cui madre lingua non è l?arabo, che hanno cultura e tradizioni non arabe e che sono musulmani. In Sudan però vengono considerati comunque ?asuad? cioè negri, che è come dire ?abd? cioè schiavi. E se non si arabizzano vengono perseguitati come i cristiani e gli animisti».
Monsignor Macram Max Gassis è ora tra la sua gente, e al centro dei suoi pensieri ci sono sempre i bambini e. A nome loro ha scritto un appello: ?Non essere indifferente. Non rimanere in silenzio. Il silenzio ci uccide?.

Per aiutarlo

Associazione ?un sorriso per il Sudan?
via Magenta, 6 – 21010 Arsago Semprio (Va)
telefono 0331/801572
Banco Lariano San Paolo di Gallarate
c.c. 931247.3.401 ABI 1025 CAB 50240

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