Cultura

Io non ho nemici

«Spesso nelle tante interviste dopo il rapimento non sapevo cosa dire. Ho fatto una grande fatica. di Gerolamo Fazzini

di Redazione

Padre Giancarlo, l?esperienza del rapimento ti ha costretto a ?uscire allo scoperto? ben oltre le tue previsioni. Come hai vissuto la notorietà che ti è piombata addosso, tuo malgrado?

Giancarlo Bossi: Con molta fatica. Mi ha pesato molto il fatto che tutti si aspettassero da me qualche dichiarazione, una battuta, una riflessione. Spesso non sapevo cosa dire. Non ero preparato a tutta questa improvvisa notorietà: non appartiene per nulla al mio stile. Ho fatto fatica anche a rilasciare una serie di interviste e a convincermi dell?idea di un libro su di me. La mia esperienza è che più lavori nel segreto, meglio è.

Domanda: Non v?è dubbio: prima viene la testimonianza e poi, nel caso, il suo racconto. Non pensi tuttavia che i missionari dovrebbero forse imparare a comunicare di più e meglio il loro vissuto?
Bossi: Può essere. Per quanto mi riguarda, io non sono il tipo che parla molto in pubblico. Altri sono più bravi di me. Io amo raccontare di me dove sono conosciuto; mi trovo più a mio agio in un ambiente piccolo. Ma quando esci in pubblico, è come una bomba che scoppia.

Domanda:Eppure, nelle settimane successive al rientro in Italia hai rilasciato diverse interviste, sei stato contattato da radio, tv e giornali?
Bossi: Ripeto: l?ho fatto con notevole fatica. Per una persona schiva come me l?uscire dal proprio ambiente costa un grande sforzo. Se ho accettato di parlare di me, l?ho fatto soltanto per una convinzione maturata gradualmente. Come ho spiegato a Loreto, a me non piace essere in prima fila. Ma ho capito che in questo momento sono chiamato a dar voce a tutti quelli che nel silenzio testimoniano il Vangelo, si prendono cura dei fratelli, costruiscono nel piccolo un mondo più giusto e solidale… Sono diventato ?mediatico?, ma vorrei tornare prima possibile alla mia tranquillità. Ho paura di sentirmi gli occhi addosso quando tornerò nelle Filippine?

Domanda: Il guaio dell??eccesso di pudore? – chiamiamolo così – di tanti missionari, volontari ecc. talvolta fa sì che l?opinione pubblica scopra personaggi meravigliosi solo all?indomani della loro morte. Penso ad Annalena Tonelli o a Carlo Urbani, il medico ucciso dalla Sars?
Bossi: Ho letto la bellissima testimonianza di Annalena e quella altrettanto forte di Urbani. Entrambi, è vero, sono diventati famosi dopo la morte. Quando uno diventa famoso dopo la morte rivela quante persone ci sono nascoste dietro di lui. La Tonelli aveva parlato tutta la vita con un certo stile, ma lo si è conosciuto solo dopo la morte. Tante volte non ci accorgiamo del bene che c?è già.

Domanda: Tu stesso hai detto: «Ho fatto un casino, speriamo sia servito. Quella frase è passata alla storia perché il Tg1 ci ha ricamato un servizio in cui la notizia era lo ?sdoganamento? di un termine un tempo censurabile?
Bossi: (Ride?) Sì, ne sono convinto. Da un fatto negativo – come il sequestro – il Signore ha tratto cose positive? Speriamo solo che quanti si sono avvicinati o riavvicinati al Signore in quell?occasione siano rimasti anche dopo, passata l?onda delle emozioni e dei buoni sentimenti.

Domanda: Per chiudere: è possibile coniugare il «Non sappia la tua destra cosa fa la sinistra» con l?altrettanto evangelico «Gridatelo dai tetti»?
Bossi: Sì. Però Gesù ha messo in guardia i suoi discepoli: «Quando tutti parleranno bene di voi?». Il Vangelo è una parola esigente e io credo che comunque un?esposizione mediatica eccessiva sia contro il Vangelo.

Domanda: Nei giorni della tua liberazione, su una rivista culturale italiana, Reset, è uscito un editoriale a firma del direttore Giancarlo Borsetti dal titolo «Missionari pericolosi». Prendeva spunto da una vicenda che non ti riguarda (la polemica tra Magdi Allam e Paolo Branca – ndr), ma è interessante perché evidenza un certo modo di guardare al missionario. Ecco alcune frasi: «Lo spirito missionario consiste nella devozione, pura e totale, all?idea che gli altri cambieranno idea davanti alla nostra Verità, che la nostra Verità è manifesta perché viene da una superiore logica, da Dio o dalla Storia o dalla Ragione, o da tutt?e tre insieme. Il missionario è così sicuro della sua investitura morale che gli deriva da quel Sapere che non esita a impugnare la spada per fargli largo tra gli uomini. (?) Nelle relazioni tra le culture, le identità e le patrie lo spirito missionario è inaccettabile anche a piccole dosi: esso scatena conflitti. La Verità manifesta è fonte perenne di massacri, perché una volta che ce l?hai dentro pensi che basti aprire gli occhi agli altri, curare le loro cecità o perfidia, liberarli dalla loro superstizione, o religione, o cultura (fa lo stesso) . E il gioco è fatto». Condividi questa lettura?

Bossi: Per nulla. Il missionario per me è uno che tenta di vivere, con la gente in mezzo alla quale sta, i valori del Vangelo. Senza imporli. È lì per testimoniare Cristo. Punto e basta. L?atteggiamento di fondo non è quello di chi riempie un vuoto, ma di chi si mette in cammino insieme verso un Altro. Se c?è una cosa che posso dire, è che nella mia vita di missionario ho sempre imparato, più che insegnato.
Domanda: Appena dopo la tua liberazione, tornato a Payao, hai invitato la tua gente a continuare il dialogo con i musulmani. Perché?Bossi: Ho spiegato: chi mi ha rapito è semplicemente un criminale, non lo ha fatto in quanto musulmano. È sbagliata l?equazione musulmano-criminale. Lo stesso vale, a parti rovesciate, nel caso dei cristiani. Ci tenevo a tornare a Payao per dirlo chiaro. Perché il dialogo, dopo il rapimento, rischiava di interrompersi. La situazione è sempre sul filo del rasoio e basta poco per farla precipitare. Nel caso del mio rapimento non c?entravano questioni religiose ma solo questioni economiche. Punto e basta.

Partecipa alla due giorni per i 30 anni di VITA

Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.