#Basaglia100
Io, maestro nell’ospedale psichiatrico che alla legge Basaglia non ci credeva
Come primo incarico da maestro, il pedagogista Daniele Novara scelse la scuola all'interno dell'ospedale psichiatrico di Piacenza. Era il 1983, la Basaglia era già legge, ma lì nulla era cambiato. «In molti luoghi quella riforma veniva osteggiata e tradita, ma allo stesso tempo occorre ricordare ciò che si è fatto collettivamente in quegli anni di grandi conquiste civili».
Ho scoperto oggi di essere nato lo stesso giorno del grande Franco Basaglia. Lui nacque l’11 marzo 1924, io il medesimo giorno ma a distanza di 33 anni. Questa coincidenza mi spinge a raccontare per la prima volta un passaggio della mia vita che si incrocia con la sua opera.
Le mie scelte scolastiche furono molto altalenanti, passai dal liceo scientifico a lettere moderne con l’idea di fare l’insegnante, ma poi virai verso la via pedagogica. Per un po’ percorsi tuttavia la strada dell’insegnamento, anche facendo esperienze nel doposcuola popolare e nella casa di accoglienza che avevo promosso con altri amici quando avevo tra i 19 e i 23 anni. Dopo la laurea e il servizio civile presi il diploma di scuola magistrale, che nel 1983 mi permise di partecipare al concorso per maestro elementare. Lo vinsi.
Ed è lì che incrociai l’operato del famoso psichiatra: scelsi di prendere la cattedra di alfabetizzazione degli adulti presso l’ospedale psichiatrico di Piacenza che in teoria avrebbe dovuto già da qualche anno attuare la riforma Basaglia. A 26 anni così iniziai a fare scuola ad alcuni pazienti, alcuni più giovani altri quarantenni, e toccai con mano come la situazione in quell’ospedale psichiatrico non era cambiata minimamente. Anzi, forse sapendo della futura chiusura, le vessazioni verso i pazienti erano anche più spregevoli, per esempio l’ordine di terminare il pranzo in soli 5 minuti.
Nel 1983 vinsi il concorso per maestro elementare. Scelsi di prendere la cattedra di alfabetizzazione degli adulti presso l’ospedale psichiatrico di Piacenza. Toccai con mano come la situazione non era cambiata minimamente
Daniele Novara
In quel contesto, cercai di instaurare un rapporto positivo con i miei “alunni”. Facevamo gite, giravamo per la città, mangiavamo insieme. Una ventata di aria fresca che, pur non essendo ben vista dalle autorità psichiatriche, mi portò a rilanciare: con altri miei coetanei, ribadii la necessità, per quei pazienti ancora in buone condizioni neurocognitive, di uscire dalla struttura per essere ospitati in una casa-famiglia, da realizzare il più presto possibile.
Sapete quale fu il risultato? La scuola statale all’interno del manicomio, la “mia” scuola, venne chiusa per spegnere la voce di chi tentava di mettere in atto, nel concreto, ciò che affermava la riforma Basaglia. Un episodio di tanti, che mise in luce come in molti luoghi quella riforma venisse osteggiata e tradita. Purtroppo non c’era una vera adesione diffusa a questo processo di rinnovamento che metteva l’Italia al primo posto tra tutti i Paesi, peraltro dopo la chiusura (anche qui, primi al mondo) delle classi differenziali per i bambini disabili. In quegli anni Settanta tutti guardavano all’Italia come un punto di riferimento, ma la realtà troppo spesso differiva da questo racconto. Per me fu un momento di grande amarezza, che però non mi portò a mollare il mio impegno. Perché se non c’era una adesione diffusa, c’erano certamente alcuni psichiatri illuminati.
Negli anni Settanta tutti guardavano all’Italia come un punto di riferimento, ma la realtà troppo spesso differiva da questo racconto. Per me fu un momento di grande amarezza
Oggi così non posso che ricordare Franco Basaglia e la sua opera, rammentando che si svolgeva all’interno di un movimento molto ampio che andrebbe maggiormente ricordato. Anche per evitare di personalizzare ciò che si è fatto collettivamente in quegli anni, troppo spesso ricordati come un periodo di bombe e terrorismo ma che furono in realtà un tempo di grandi conquiste civili.
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