Welfare
Io ho parlato Lo Stato no
«Uccidere un uomo è aberrante. Oggi lo so, ma allora mi sentivo in guerra. Noi abbiamo fallito ma chi ha vinto non è molto migliore di noi. I politici devono raccontare ancora molto. Per chiudere con
di Redazione
Severo e ancora appassionato. L?ex capo delle Brigate rosse siede dietro la scrivania della cooperativa sociale ?Geometrie variabili?. Giunto alla soglia dei 50 anni dopo 17 di carcere, 9 di clandestinità e 6 ergastoli sulle spalle, Moretti parla volentieri di sé, del carcere, del regime di semilibertà, di quello che è stato e di quello che è diventato.
«Sono un uomo con una bellissima figlia di un anno e mezzo, una compagna che è stata la mia fortuna e un?attività, l?informatica. Il mio mondo oggi è fatto di amici che non dimenticano, come di giornalisti, avvocati, gente normale. Ma io sono anche Mario Moretti, ex militante Br. Non posso né voglio dimenticarlo».
Cosa ha trovato fuori dal carcere?
«Sono uscito per la prima volta nel settembre di quattro anni fa, in articolo 21. Sono stato più fortunato di altri; non ho trovato il vuoto, ma molti amici e un lavoro. In carcere sono diventato esperto di informatica. Così a Opera è nata la Spes che fa informatizzare ai detenuti le ricette farmaceutiche. Con Geometrie variabili si cerca un passo ulteriore: non solo reperire lavoro per i detenuti, ma fare in modo che questi non siano alienanti».
La maggior parte dei suoi amici, una volta fuori dal carcere, si è rivolta a strutture di volontariato cattolico. Perché?
«Perché non c?è altro. La Chiesa è l?unica che ha saputo affrontare l?emarginazione sociale e la detenzione. Mondo laico e sinistra hanno preferito dimenticare».
E lei a chi si è rivolto?
«A nessuno. I cattolici non mi hanno cercato e io non ho cercato loro, ma sono sicuro che mi avrebbero accolto a braccia aperte. Ho continuato la mia professione nelle cooperative sociali non profit perché credo siano l?unica alternativa a disoccupazione e detenzione».
Lei non si è mai pentito né dissociato. Perché le hanno concesso la semilibertà?
«E perché non dovevano? I magistrati sanno bene che la lotta armata è irripetibile e che anche se non lo rinnego so guardare con occhio critico al mio passato».
Cos?è oggi il cuore del carcere?
«L?impossibilità di rendere praticabili le misure alternative. Il tempo passato in carcere non è inerte, ma corrosivo. Perciò occorre attivare un complesso di interventi che consenta a chi è recluso di riallacciare relazioni con la società, potenziare il reinserimento. Per questo abbiamo fondato Geometrie variabili, per organizzare corsi di formazione professionale, offrire consulenze informatiche e collaborazioni giornalistiche».
Si sente mai colpevole?
«Cerco sempre di capire cosa è successo; di capire l?incredibile e complesso crocicchio storico in cui sono sorte le Br. Uccidere un uomo è aberrante, ma ci sentivamo in guerra. Forse detto così suona incomprensibile, ma quando hai scelto la lotta armata scegli anche che devi abbattere i simboli dello Stato. Solo dopo ho potuto fermarmi a pensare che il nemico è un uomo che mangia, dorme e ama come te; che ha una famiglia e magari legge Kafka. Allora vedi quello che c?è dietro la divisa e il simbolo e qualcosa dentro di te si rompe, lacerandoti. La morte fa male sempre e comunque, a chi colpisce e a chi è colpito. Ma allora io partecipavo a una guerra. Per chi ha fatto la lotta armata è una contraddizione insanabile, una schizofrenia incurabile. E chi di noi ha cercato di risolverla è diventato pazzo. Sono cicatrici che porterò con me fino alla morte».
Perché ha deciso di raccontare di essere stato lei a uccidere Aldo Moro?
«Ritengo la mia responsabilità politica e umana così completa da doverne rispondere in termini sia simbolici che d?immagine. Bisognava dire la verità fuori dalle aule giudiziarie. Per non lasciare ombre sul nostro comportamento. Oggi le ombre di quel periodo appartengono solo allo Stato. C?erano troppi se e troppi ma, bisognava avere il coraggio di parlare. Noi abbiamo già scritto quel periodo di storia, i politici di allora non l?hanno mai scritta».
Le cose potevano andare diversamente?
«Bastava un segno, il riconoscimento dell?esistenza dei prigionieri politici, anzi bastavano due parole di meno. Se Montini avesse tolto nel suo appello alle Br quel ?senza condizioni?, tutto, forse, sarebbe ricominciato da capo. E invece nessuno sapeva fare la cosa giusta e abbiamo sbagliato, tutti».
Lella Costa dice nel suo spettacolo «se le Br avessero fatto una cosa giusta, rilasciando Moro senza contropartite…».
«La sinistra ci usa come capro espiatorio. Siamo la spiegazione di tutto ciò che non sono stati capaci di fare. Gli anni ?80 e quel che ne è conseguito è solo il prodotto di quella classe dirigente e di quella sinistra. Abbiamo fallito, ma dovevamo provarci. E poi quelli che hanno vinto non sono poi tanto migliori di noi».
Ci sarà l?indulto?
Lo spero, ma ho molti dubbi. Esiste una maggioranza politica favorevole, ma non c?è la maggioranza ultraqualificata richiesta dalla legge. Per approvare l?indulto bisognerebbe cambiare la Costituzione. E poi gli uomini politici che in quegli anni erano al potere non hanno mai superato il travaglio di quella vicenda. Il nostro fallimento è lo specchio del loro, perché non hanno saputo salvare Moro. Devono uscire Sofri, Bompressi e Pietrostefani, ma anche Fioravanti e la Mambro. Bisogna consentire loro di tornare a vivere, obbligandoli se necessario, come per gli irriducibili. In realtà ci vorrebbe un?amnistia, solo senza più ipoteche giudiziarie potremo riparlare seriamente degli anni di piombo».
Chi è oggi Mario Moretti?
«Una persona che una volta ha pensato di fare la rivoluzione e non si è risparmiato. A differenza di tanti compagni sono qui per render conto del passato e di quelle tremende ferite. Quando non saprò più spiegare cosa accadde allora, sì, sarò definitivamente sconfitto».
Le sigle del terrore rosso e nero
GAP Gruppi di azione partigiana
Il primo gruppo clandestino armato, fondato a Milano dall?editore Giangiacomo Feltrinelli con il progetto di creare un?insurrezione rivoluzionaria sul modello della guerriglia castrista. Feltrinelli morì nel 1972 per l?esplosione di una carica di tritolo che tentava di piazzare su un traliccio dell?alta tensione a Segrate.
NAP Nuclei armati proletari
Sorgono a Napoli negli ambienti attivi sulla questione carceraria. Trasferitisi a Roma, i militanti dei Nap mettono a segno, il 6 maggio 1975, il rapimento del magistrato Giuseppe Di Gennaro.
NAR Nuclei armati rivoluzionari
Gruppo di estrema destra ritenuto responsabile di 23 omicidi, tra cui quello del giudice Amato. Tra i militanti dei Nar c?è Francesca Mambro, condannata poi con Valerio Fioravanti per la strage alla stazione di Bologna, di cui hanno sempre rifiutato la responsabilità.
BRIGATE ROSSE
Compaiono per la prima volta a Milano, compiendo azioni di propaganda armata negli stabilimenti della Sit Siemens e della Pirelli. Tra i fondatori delle Br, che ha come simbolo la celebre stella a cinque punte racchiusa in un cerchio, ci sono esponenti del movimento studentesco dell?Università di Trento, Renato Curcio e Mara Cagol, ex militanti comunisti come Alberto Franceschini, attivisti di gruppi estremisti di fabbrica, come Mario Moretti. Con un?organizzazione clandestina e un inquadramento militare, le Br compiono il rapimento del giudice Mario Sossi e il ferimento dell?esponente democristiano Massimo De Carolis. Dopo l?arresto di Curcio, nel 1976, le nuove Brigate Rosse compiono un?escalation impressionante di attentati, ferimenti e omicidi di esponenti simbolo dello Stato, fino alla strage di via Fani e il rapimento e l?uccisione dell?allora presidente della Dc, Aldo Moro, il 18 marzo 1978.
PRIMA LINEA
All?inizio, l?organizzazione di estrema sinistra punta sulla presenza territoriale, poi il salto nel terrorismo e nella clandestinità. Tra i suoi militanti c?è Marco Donat Cattin, figlio di Carlo, esponente della sinistra Dc e ministro in diversi governi. È il 1979, quando Prima Linea firma l?assassinio del sostituto procuratore Emilio Alessandrini. Il primo di una lunga serie, che fece quasi concorrenza al terrore delle Br. Prima Linea venne sgominata grazie alle confessioni di Patrizio Peci, primo pentito nella storia del terrorismo. Per ritorsione, Prima Linea assassinò suo fratello.
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