Cultura

Io e Ponzio Pilato

È l’unico vero personaggio che Gesù incontra nei Vangeli, con le sue paure, ombrosità e ipocrisie. In quell’incontro (fugace: è durato circa sei ore, dal primo mattino all’ora sesta) fra Pilato e Gesù a me pare sia in questione un evento enorme e inaudito

di Redazione

Perché Pilato? Perché quest’uomo, il prefetto della Giudea tra il 26 e il 36, si è imposto con tanta urgenza alla mia attenzione, quasi obbligandomi a riflettere a scrivere su di lui, senza darmi requie finché, interrompendo la stesura di un’opera in corso, non ho portato a termine in tre frenetici mesi il libretto di cui sono venuto a parlarvi. Forse con altrettanta forza si era imposto a Bulgakov, costringendolo a inserire nel suo capolavoro, senza apparente ragione, lo stupendo capitolo su Ponzio Pilato, che non è Bulgakov, ma Satana stesso a narrare. Certo il suo nome, Ponzio Pilato (forse l’uomo con la lancia, pila, o, più probabilmente, col berrettuccio a forma di cono che i romani chiamavano pilleus) è l’unico nome, oltre a quello di Gesù e di Maria, a comparire nel credo in cui i cristiani compendiano da due millenni la loro fede: «Crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato».

Perché Pilato? Per provare, si è detto a ragione, il carattere storico della passione di Gesù, che è avvenuta quel certo giorno, sotto Ponzio Pilato, appunto. Ma perché nominare proprio lui, un oscuro vicario, e non, secondo l’uso romano, l’imperatore Tiberio? Perché, si risponderà, egli non è solo un nome, è un personaggio in carne e ossa, forse l’unico vero personaggio dei Vangeli. Gli altri o sono figure già in qua!che modo sacre, come Giovanni il Battista e gli Apostoli, oppure escono solo per un attimo dalla turba anonima che circonda Gesù, per fungere da esempio, come il buon samaritano, o da profezia come Lazzaro, che risorge dalla morte. Ma, nella narrazione dei Vangeli e soprattutto in Giovanni, lui, Pilato, è qualcosa di meno e insieme, molto di più: un uomo di cui conosciamo le esitazioni, la paura, il risentimento il sarcasmo, le ombrosità, l’ipocrisia (come quando si lava le mani per purificarsi del sangue di un giusto). E, infine, l’autore di battute memorabili, come la famigerata replica a Gesù che vuole testimoniare della verità: «Che cos’è la verità?». O come il motto con cui mette a tacere gli ebrei che gli chiedono di cambiare l’iscrizione sulla croce: «Quel che ho scritto, ho scritto». È lui, infine, che poco prima di consegnare Gesù al supplizio, pronuncia le parole fatidiche:
«Ecce homo, ecco l’uomo!».

Le ragioni per l’interesse non mancavano certo, se Nietzsche ha potuto scrivere che Pilato «è l’unica figura dei Vangeli che meriti rispetto». Eppure non era questo che mi spingeva a rileggere i testi, a spiare ogni suo gesto, a pesare ogni sua parola. Mi pareva, infatti, che nell’incontro (fugace: è durato circa sei ore, dal primo mattino all’ora sesta) fra Pilato e Gesù fosse in questione un evento enorme e inaudito, che in quelle sei ore, al di là del dramma della passione e della redenzione, su cui si è così tanto riflettuto e non si cessa di riflettere, si fosse consumato anche un altro evento, non meno decisivo e che proprio questo si trattava per me di capire.

Che cosa avviene fra questi due uomini che si stanno di fronte e si parlano nel pretorio di Gerusalemme? L’uno, il vicario di Cesare, che il quadro di Tiziano nel museo di St. Louis mostra riccamente vestito, con il capo coperto da un cappello trapunto di pietre preziose e con le mani inanellate, è investito di tutti i poteri mondani («Non sai», dice a Gesù, «che ho il potere di liberarti e di crocifiggerti?»), l’altro inerme, che Tiziano ritrae nudo e con le mani legate e che tuttavia dichiara al prefetto: «Il mio regno non è di questo mondo».

Quando Gesù viene portato davanti a Pilato, è stato detto, due mondi si stanno immediatamente e inconciliabilmente di fronte, quello dei fatti e quello della verità. Ma non basta: in questo pretorio di provincia, di cui gli archeologi hanno creduto di identificare l’improbabile sito, a fronteggiarsi non sono soltanto i fatti e la verità: qui, come mai altrove nella storia del mondo, l’eternità ha incrociato in un punto esemplare la storia, il temporale è stato traversato dall’eterno. Questo mi premeva capire, questo urto e questa reciproca trafittura fra i due mondi era il rompicapo di cui sentivo di dover venire a capo. Ma subito a questo enigma se ne sovrapponeva un altro, ancora più tenace, ancora più oscuro e, in questo, proprio lui Pilato era l’elemento in ogni senso decisivo. Perché l’incrocio fra i due mondi, l’umano e il divino, lo storico e ciò che non ha storia, ha la forma di un processo?

Mi resi conto, a poco a poco, ma con chiarezza sempre crescente, che questo e non altro era il problema con cui dovevo misurarmi, con cui, «sul pavimento di pietra detto in ebraico Gabbanà», si erano in ultimo dovuti misurare, ciascuno a suo modo, tanto Pilato, il giudice, quanto Gesù, l’accusato. L’incontro fra il divino e l’umano ha la forma di un processo, di una krisis (krisis significa in greco il giudizio in un processo). Ma proprio qui le cose si complicavano in modo inestricabile. Perché, man mano che analizzavo il testo del Vangelo di Giovanni, diventava per me sempre più evidente che, al termine della sesta ora, il giudice non aveva pronunciato un giudizio, aveva semplicemente «consegnato» – così dicono concordemente gli evangelisti – Gesù ai sinedriti e ai carnefici. Per tutta la durata del processo Pilato non aveva fatto, del resto, che tergiversare, provando dapprima a dichiararsi incompetente e a rimandare il giudizio a Erode, proponendo poi una amnistia per la Pasqua, infine facendo flagellare l’accusato per sottrarlo all’accusa maggiore. Ma quando ogni espediente, ogni tergiversazione risultano vani, egli non pronuncia il giudizio, sì limita a «consegnare» Gesù.

Vi è stato un processo – o, almeno, un simulacro di processo: ma questo non si è concluso con un giudizio. Tanto più enigmatico si faceva il mio problema. Che cos’è, infatti, un processo senza giudizio? E che cos’è una pena – in questo caso, la crocifissione – che non consegue a un giudizio? Pilato, l’oscuro procuratore della Giudea, che doveva agire come giudice in un processo, si rifiuta di giudicare l’accusato; Gesù, il cui regno non è di questo mondo, accetta di sottoporsi al giudizio di un giudice, Pilato, che si rifiuta di giudicarlo.

 da La Stampa del 25/9/2013

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