“Io e la mamma abbiamo deciso di non entrare più nei bar dove ci sono le slot”. Questo è quanto mi ha confidato Giovanni (nome di fantasia) dopo che ho presentato i pericoli del gioco d’azzardo legalizzato ad un gruppo di adolescenti della parrocchia di San Donato Milanese. Avevo già notato che, mentre parlavo, lui mi seguiva con particolare attenzione. A volte pecchiamo di presunzione e pensiamo che senza di noi le persone non si accorgano di quello che gli succede intorno. E invece no. Ad ogni incontro che facciamo a scuola, tra la cittadinanza o in una parrocchia ci rendiamo conto che il problema del gioco d’azzardo è sentitissimo. Ci sono quelli che si sono informati e sanno già tutto, ci sono quelli che vogliono sapere cosa si può fare nel concreto e c’è chi come Giovanni e la sua mamma hanno deciso autonomamente di iniziare una loro personale battaglia, non violenta, basata su una forma di disobbedienza civile.
Non so voi, ma a me è sembrato di vedere in Giovanni e la sua mamma il segno tangibile di un’Italia sana, che non si arrenderà mai alla decadenza morale a cui ci vogliono far abituare e di cui la diffusione dell’azzardo nella quotidianità è solo una tessera. Forse, dovremmo dire a Giovanni e alla sua mamma “non vi preoccupate, noi ci batteremo per voi”. Ma non stanno così le cose. Sono loro che vinceranno la battaglia e noi siamo solo il megafono imperfetto della loro coscienza.
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