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Io, cooperatrice del Sud, vi dico perché l’autonomia differenziata è una minaccia

Gaetana Castellaccio fa parte della cooperativa sociale Dedalus di Napoli. «Come realtà», scrive, «abbiamo aderito con convinzione al comitato napoletano per la raccolta firme per il referendum per abrogare la legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Questa legge lascerà sempre più sole le persone più vulnerabili e in difficoltà, determinando gravissime ingiustizie»

di Gaetana Castellaccio

La cooperativa sociale Dedalus ha aderito con convinzione al comitato napoletano per la raccolta firme per il referendum per abrogare la legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Lo ha fatto per contribuire a una sfida complicata (vanno raccolte ben più di 500mila firme in poco più di 50 giorni) ma necessaria  per chi ha a cuore i diritti delle persone e la lotta alle disuguaglianze.

Noi operatrici e operatori infatti crediamo che, se non cancellata dalla volontà popolare, la legge Calderoli determinerebbe l’aggravarsi e il cronicizzarsi di tutti i drammatici divari socio-economici e territoriali che già oggi pesano sul Paese e ne depotenziano lo sviluppo. 

L’autonomia differenziata apporrebbe, infatti, un “sigillo di legalità” alle disparità non solo tra Nord e Sud ma anche all’interno delle stesse Regioni per cui, in definitiva, solo chi è ricco potrà ricevere servizi adeguati, chi è povero sarà costretto ad improvvisare in un contesto che lascerà sempre più sole le persone più vulnerabili e in difficoltà determinando gravissime ingiustizie. Una Legge, in altre parole, che spacca l’Italia, la parcellizza in tante piccole “patrie” impedendo così, nei fatti, la possibilità per la “Repubblica” di rimuovere per tutte e tutti e nello stesso modo “gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Inoltre, in un mercato del lavoro già caratterizzato dall’aumento della precarietà e della povertà, dove le condizioni di lavoro riproducono svantaggi e discriminazioni, l’autonomia differenziata, dando alle regioni la possibilità di porre in essere regole diverse e lasciando alle stesse l’autonomia rispetto ai requisiti inerenti le retribuzioni e gli albi professionali (demolizione dei presupposti che consentono la contrattazione nazionale e aprono la strada all’introduzione delle “gabbie salariali”) finirà per inasprire la perdita di potere del lavoro e l’allargamento della aree del lavoro povero e mal retribuito.

E a pagare il prezzo più alto, ancora una volta, saranno le donne, in un Paese dove vergognosamente il  tasso di occupazione femminile risulta essere già il più basso tra gli Stati dell’Unione europea e le condizioni delle lavoratrici, se comparate con quelle degli altri paesi europei, sono connotate dalle peggiori condizioni lavorative, salariali, di orario che compromettono seriamente la possibilità per le lavoratrici di essere pienamente autonome. Condizione questa che rende ancora più difficile il faticoso processo di autodeterminazione in atto e determina l’aggravarsi dell’asimmetria tra i generi, che rappresenta la condizione cruciale che ha storicamente determinato la violenza maschile contro le donne.

Gi effetti dell’autonomia differenziata si faranno sentire anche in termini di accelerazione dei processi di dismissione da anni in atto sul welfare pubblico. Infatti essi appaiono coerenti con le direzioni che da anni vanno verso un’idea di cura non  più centrata sullo stato che assume a se la responsabilità di farsi carico dell’esigibilità dei diritti ma che scarica  tale funzione in parte sul mercato (come dimostrano i dati dell’aumento delle persone che non si curano più perché non possono permetterselo) e in parte sulle famiglie (e quindi, in una società ancora patriarcale,  sulle donne visto le forti asimmetrie di potere tra uomini e donne su cui ancora si distribuiscono i compiti in tale ambito). Mantenendo per il pubblico un ruolo meramente contenitivo e assistenziale per tutte le fragilità e marginalità poco appetibili per il profitto e non scaricabili sulle famiglie.

Come cooperativa sociale, che da anni interpreta il suo lavoro non in un’ottica di contenimento o del fare del bene ma come insieme di processi e azioni tese a promuovere e tutelare diritti. Che non vuole trasformarsi in mero soggetto gestore di politiche tendenzialmente tese a contenere le persone e a ammortizzare i conflitti. Che non vuole rinunciare a pensare i proprio lavoro come azione politica e culturale non possiamo che essere fortemente contarti alla legge Calderoli e nello stesso tempo non possiamo esimerci, oggi, dal contribuire alla raccolta firme (anche aprendo la nostra sede per tale scopo) per poter svolgere il referendum abrogativo, domani per attivarci con tante e tanti altri, a partire dalle persone con cui tutti i giorni lavoriamo e che in larga parte saranno le più colpite dai suoi effetti, per al sua abrogazione.  Per costruire con loro un’alternativa  che ponga al centro le persone e non il mercato e dove welfare, sanità ed educazione pubblica, parità di genere, interculturalità siano presupposti imprescindibili di giustizia sociale e ambientale.

Il ministro per gli Affari Regionali e autonomie Roberto Calderoli durante i lavori parlamentari alla Camera dei Deputati su Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, Roma, Martedì 18 Giugno 2024 (foto Mauro Scrobogna /LaPresse)

In foto Roberto Calderoli, ministro per gli affari regionali e le autonomie del Governo Meloni- credit Mauro Scrobogna/LaPresse


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