Mondo

Io, americano non allineato

Giulia Fossà intervista Dennis Bernstein, giornalista e attivista (di Giulia Fossà).

di Redazione

È cominciato il count-down del giorno dell?orrore, come Bush stesso ha voluto definire l?inizio di quella guerra annunciata da oltre quattro mesi, almeno dal discorso dell?anniversario delle Torri. Il suo “God Bless America” suona questa volta meno rituale del solito: un congedo freddo, amaro, preceduto da un confidenziale “Buona serata”. Bush ha fatto irruzione nelle case di tutto il mondo. Il presidente ha appena terminato il suo discorso che mi collego telefonicamente con un giornalista di Berkeley, Dennis Bernstein. L?ho conosciuto durante la preparazione del libro The Bush Show. Sono stata subito colpita dal suo stile chiaro, diretto, voce di un?America che rivendica un?immagine di libertà. Bernstein, giornalista radiofonico, è anche avvocato, attivista per i diritti civili, e alterna il suo lavoro al microfono con l?impegno nelle università. Dennis, Bush ha lanciato il suo ultimatum in 14 minuti: quale è stata la reazione del popolo americano? Una terribile certezza. Non ci ha colto di sorpresa: il mondo dei media con qualche eccezione aveva anticipato questa decisione sempre più inevitabile. Inevitabile. La bandiera della determinazione e dell?orgoglio. Credo sia dominante un enorme senso di confusione. Il popolo americano accetta una guerra senza l?avallo dell?Onu? Il consenso è in discesa. Poco più del 50 per cento è d?accordo con le parole del presidente. Ma l?influenza dei media è stata pesante: in tutto questo tempo non hanno fatto altro che strillare “Guerra, guerra, guerra”. è difficile comprendere cosa stia accadendo. “I rischi di inazione sono più grandi di quelli dell?azione”. Così Bush. Le proteste in America e nel mondo, le invocazioni del Papa non sono state ascoltate? Gli Stati Uniti hanno armato l?Iraq, l?hanno dotato di armi di distruzione di massa. Hanno aiutato l?Iraq a usare i gas contro l?Iran. Per dodici anni la gente irachena ha sofferto la mancanza di cibo e medicinali: ora, gli si dice, se collaborerà avrà presto cibo e medicine. Sono state distrutte scuole. E ospedali. No, Bush non presta orecchio alle grida di protesta, all?urlo del Papa. Antagonizzare l?intero mondo arabo provocando sofferenze ai loro e ai nostri figli. Questa è la sua idea di ?action?. La guerra, secondo te, riunirà gli americani attorno al suo presidente? Ti posso dire che ieri (17 marzo, ndr) in America ci sono state nuove azioni di disobbedienza, proteste contro la guerra. A Washington trenta persone sono state arrestate mentre cercavano di bloccare il convoglio presidenziale. A San Francisco blocchi del traffico mentre moltissima gente è scesa in piazza fermando il lavoro. Altri arresti nel Kentucky, e davanti alle Nazioni Unite. L?accusa, resistenza alla guerra. Io credo che l?operato di Bush condurrà a una sola riunificazione, quella del movimento pacifista, che sarà così aiutato a crescere. Bush ha posto l?accento sul diritto sovrano alla sicurezza degli Stati Uniti. Dunque dissenso più difficile? è già difficile oggi non essere allineati. Un arabo americano, studente universitario, mi viene in mente. Per arrestarlo sono stati inviati cento agenti federali. Siamo sottoposti a controlli e intimidazioni, in particolare la popolazione arabo americana. Un gruppo di razzisti bianchi, una ventina di persone, ha circondato proprio ieri in California un diciottenne. Al grido di “potere bianco” lo hanno picchiato selvaggiamente malmenandolo al punto che non riesce più a parlare. è difficile, sempre più difficile essere contro la guerra. Bernstein, tu ci racconti l?altra faccia dell?America, quella che compare raramente sui giornali e nelle televisioni di tutto il mondo. Studenti, movimento delle donne, comunità religiose. Ripetiamo le parole di Bush rivolte al popolo iracheno “Your fate will depend on your action”, il vostro futuro dipenderà dalle vostre azioni. Se la guerra sarà lunga, che cosa accadrà? Posso dirti che se cominceranno a morire degli americani, ci saranno reazioni. E sicuramente anche conseguenze politiche. A me e a molti americani interessa anche il destino del popolo iracheno. In migliaia rischiano di morire per le conseguenze della guerra. Dirette e indirette. C?è, a questo punto il rischio, di un?America più lontana dall?Europa? Adesso ci resta vicino Tony Blair, il britannico ambasciatore degli Stati Uniti. Ma gli inglesi non sembrano entusiasti del loro premier. Così, quando si libereranno di Blair, la lontananza sarà totale. Dietro l?atteggiamento irriducibile del presidente si dice vi siano interessi di società private nella ricostruzione dell?Iraq. Si tratterebbe di gruppi molto forti legati ai repubblicani. E’ così? è il tipico sistema americano. Entrare in un Paese, distruggerlo. Dopo le devastazioni fare grossi investimenti di denaro pubblico con le compagnie, per esempio, del vice presidente Dick Cheney. Costruire bombe, sganciarle, distruggere un Paese, ricostruirlo è la Bush-tecnica del far soldi. Dennis, quali i commenti, sempre a caldo, dei tuoi ascoltatori? Siamo una delle poche radio non commerciali, una voce libera per un messaggio di pace e riconciliazione. I nostri ascoltatori non credono che la pace si raggiunga attraverso la guerra. è gente molto preoccupata. E ne ha motivo. di Giulia Fossà


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