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Invisibili, storie di bambini che arrivano soli in Italia
Sono oltre 22.000, secondo le cifre più recenti del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, al 31 ottobre 2016, i minorenni non accompagnati registrati in Italia. Si tratta in 9 casi su 10 di maschi, di età compresa tra 15 e 17 anni, provenienti principalmente dall’Egitto, dall’Albania e dall’Africa subsahariana. L'Unicef ha deciso di raccontarne le storie con un docufilm
Sono oltre 22.000, secondo le cifre più recenti del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, al 31 ottobre 2016, i minorenni non accompagnati registrati in Italia. Si tratta in 9 casi su 10 di maschi, di età compresa tra 15 e 17 anni, provenienti principalmente dall’Egitto, dall’Albania e dall’Africa subsahariana. Quasi del tutto assenti, a differenza del 2015, i minori siriani. Più di 6.000 quelli che hanno fatto perdere le loro tracce, fuggiti in altri paesi europei per riunirsi a familiari e amici.
«Nei primi 10 mesi dell’anno l’80% dei minorenni stranieri approdati in Italia ha compiuto un lungo e pericoloso tragitto senza adulti che li accompagnassero: mai, nella storia delle migrazioni, avevamo avuto a che fare con un simile fenomeno», ha dichiarato il presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera. «Ciò che abbiamo di fronte oggi sulle coste italiane ed europee del Mediterraneo è al tempo stesso un’emergenza umanitaria e un cambiamento epocale, che coinvolge l’intera società e richiede capacità di risposta e di gestione senza precedenti».
Per fronteggiare questa crisi umanitaria, l’Unicef è sceso in campo con un nuovo programma che prevede di seguire in Italia metodologie e interventi propri dei programmi di protezione dell’infanzia applicati nei paesi extra-europei. Ci riferiamo al progetto “One UNICEF Response”, che si svolge nel quadro del recente accordo tra UNICEF e Ministero dell’Interno, mira a fornire a circa 6.000 minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro paese misure di assistenza che vanno dalla primissima accoglienza al trasferimento in strutture più piccole e stabili, dal monitoraggio degli standard sui diritti umani all’inclusione scolastica e culturale nelle comunità locali sparse in tutto il territorio nazionale.
«L’Italia è la frontiera dell’Europa, ed è qui che, dopo la chiusura della rotta balcanica a seguito dell’accordo UE-Turchia, si concentra la quasi totalità degli sbarchi. Saremo sulle navi della Guardia Costiera, che nel 2016 hanno soccorso e salvato da morte certa decine di migliaia di naufraghi, ma anche nei centri di prima accoglienza in Sicilia e in Calabria, nelle strutture ricettive della Campania, e i nostri team mobili saranno operativi a Roma, nelle zone di frontiera con Francia, Svizzera e Austria e ovunque si renda necessario un intervento urgente” ha aggiunto Guerrera. Questi bambini e ragazzi hanno viaggiato e sofferto senza nessuno al loro fianco, per arrivare fin qui. Aiutiamoli a non rimanere più soli».
Il nuovo programma dell’Unicef è stato presentato ieri in occasione della proiezione, contemporaneamente a Roma, Milano e Palermo, del docufilm “Invisibili, Non è un viaggio, è una fuga. Storie di ragazzi che arrivano soli in Italia”. Si tratta di un progetto-inchiesta delle giornaliste Floriana Bulfon e Cristina Mastrandrea.
Nel documentario si raccontano le storie di Abdul, Fathi, Ibrahim, Mohammed, bambini costretti a vivere per strada e a vendere il loro corpo per non morire di fame. Vittime di pedofili nel centro di Roma, cuore d’Italia. Bambini che si ritrovano ad essere invisibili tra viaggiatori distratti e pellegrini. Alle loro spalle lasciano macerie, guerre, ma anche affetti e, da una tragedia apparentemente scampata, ne trovano un’altra. Le due registe scendono con la loro telecamera nei cunicoli maleodoranti in cui dormono, arrotolati in coperte sporche e bucate, fagotti buttati tra i sacchetti della spazzatura, con i topi che ogni notte provano a infilarsi nei loro pantaloni.
Le immagini mostrano i segni di calci e botte sul corpo di Gloria, considerata solo merce da usare e gettare, il coraggio di Joy scappata dalle mani della sua sfruttatrice che oggi urla: «Non consiglierei a nessuno di venire in Europa».
E poi c’è chi aspetta. Ebrima lo fa da mesi e chiede un’unica cosa: «Non voglio stare qui, nel centro, a mangiare con i soldi di qualcun altro. Voglio i miei documenti perché altrimenti non posso trovare un lavoro». Chi si sente «un ragazzo fortunato» perché, come Menga, ha trovato una famiglia in cui «l’integrazione è una bellissima parola, è una ricchezza la diversità». E chi come Michele scappa e basta. Senza sapere dove andare.
«Ascoltando le testimonianze di questi minorenni, veniamo a conoscenza di privazioni e violenze spaventose, di viaggi che durano anche anni, di sacrifici indicibili compiuti per un’unica speranza: quella di avere una nuova opportunità per vivere e aiutare le proprie famiglie rimaste nei paesi di origine. Non dobbiamo mai dimenticare che gli adolescenti che affrontano simili prove sono ancora bambini, esattamente come i nostri figli», ha concluso il presidente dell'UNICEF Italia.
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